Non ci sarà nessun risarcimento per i famigliari dei 7 studenti morti durante il terremoto che il 6 aprile 2009 ha colpito L’Aquila: la sentenza della Corte d’Appello, infatti, ha confermato quanto stabilito nel primo grado del procedimento di sede civile del 2022, per il crollo dell’edificio di via D’Annunzio 14, in pieno centro storico, dove ci furono 13 vittime.

I parenti delle vittime non solo non saranno risarciti, ma dovranno, anzi, pagarsi le spese legali, che ammontano a circa 14 mila euro (e 11 mila in primo grado). Già in primo grado la giudice Monica Croci, nel caso dello studente di Frosinone, Nicola Bianchi, riconobbe il cento per cento della colpa al ventiduenne morto nel sisma, dato che avrebbe saputo di vivere in un edificio poco sicuro e avrebbe comunque scelto di rimanere in casa, per un esame che avrebbe dovuto sostenere l’8 aprile.

Un verdetto confermato in secondo grado, con il collegio giudicante che ha respinto l’istanza di appello proposta dalla famiglia di Bianchi tramite il legale Alessandro Gamberini, assieme a quella di altre sei parti, tutti studenti universitari che abitavano lo stabile.

Un verdetto contro il quale la famiglia ha proposto appello tramite l’avvocato Alessandro Gamberini del Foro di Bologna.

Per i giudici gli studenti non avrebbero perso la vita perché rassicurati dalla Commissione Grandi Rischi, che si era riunita appena cinque giorni prima del sisma, il 31 marzo 2009, e dunque indotti a rimanere in casa, ma per una loro condotta incauta.

I giudici non hanno ritenuto possibile “raggiungere un sicuro convincimento di responsabilità” per quanto riguarda le rassicurazioni alla popolazione, che avrebbero portato a sottovalutare il rischio del terremoto, da parte della Commissione Grandi Rischi. Il Tribunale dell’Aquila aveva prima condannato a sei anni i 7 scienziati che avevano partecipato alla riunione, tutti assolti in secondo grado tranne Bernardo De Bernardinis, l’allora vicecapo della Protezione civile che aveva presieduto la riunione sostituendo Guido Bertolaso, allora capo della Protezione Civile, condannato a 2 anni.

Dopo la riunione della Commissione Grandi Rischi non erano stati diffusi messaggi che spingessero a mantenere un comportamento prudente ai cittadini, e a rispettare alla lettera le misure preventive in caso di terremoto, come uscire di casa dopo una scossa: tuttavia, in entrambi i gradi di giudizio non è stato riconosciuto il nesso causale tra la condotta delle vittime e i messaggi rassicuranti lanciati dalla commissione: restare in casa.

I 7 ragazzi, dunque, secondo i giudici non sarebbero stati condizionati, o rassicurati, dalle parole della Commissione Grandi Rischi e nemmeno dalle dichiarazioni in tv di De Bernardinis e, alla stampa, dall’allora sindaco, Massimo Cialente.

L’ultima parola spetterà ora alla Cassazione, mentre Sergio Bianchi, padre di Nicola, contesta questa seconda sentenza, da lui definita “disumana”: “Come possono dare la colpa a sette ragazzi che sono morti tra le macerie? […] A lui e agli altri studenti dissero di dormire sereni a casa perché non c’era alcun pericolo. Ho parlato al telefono con mio figlio poche ore prima e mi aveva rassicurato dicendomi che erano venuti gli scienziati a L’Aquila e gli avevano detto di stare tranquilli. Io ho denunciato la commissione Grandi Rischi e oggi è arrivata questa sentenza che non è altro che una vendetta per colpire me […] Ma io non mollo – aggiunge Bianchi – e farò ricorso in Cassazione. Dopo 15 anni non credo più nella giustizia italiana, ma non voglio smettere di lottare”.

La Corte d’Appello abruzzese ha anche confermato il pronunciamento di primo grado che aveva scagionato la Presidenza del Consiglio dei ministri da ogni responsabilità.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!