Paolo Calissano, parla il fratello: "Non è morto per la droga, si è suicidato"

L'attore, celebre per la soap di Canale 5 Vivere, è stato trovato senza vita nel suo appartamento di Roma il 30 dicembre 2021: molti avevano parlato di una morte per overdose, ma la causa sarebbe un'altra.

È ormai trascorso un anno dal 29 dicembre 2021, giorno in cui Paolo Calissano è stato trovato senza vita nel suo appartamento di Roma, in zona Balduina. Al fianco del corpo erano presenti una serie di scatole di psicofarmaci, che avevano fatto pensare a una possibile overdose come causa della morte. La Procura di Roma aveva comunque voluto vederci chiaro sull’accaduto e aveva aperto l’inchiesta per capirne meglio le cause del decesso, ma solo ora, a distanza di mesi, il fascicolo è stato chiuso per archiviazione.

Ora a fare chiarezza sulla scomparsa dell’attore, che ha raggiunto il successo grazie alla soap di Canale 5 Vivere, ci ha pensato il fratello di Paolo Calissano, Roberto, che ha voluto spegnere una volta per tutte ogni possibile illazione, in modo particolare quelle nate da parte di chi riteneva che la sua tragica fine fosse stata causata dalla droga.

La realtà, a detta dell’uomo, sarebbe diversa: “Vorrei liberare la memoria di Paolo dallo stigma della tossicodipendenza – sono state le sue parole al Corriere della Sera -. Il pm che ha indagato per undici mesi sulla sua morte aveva disposto un esame tossicologico molto approfondito. La conclusione è stata che mio fratello non è morto a causa di stupefacenti, ma per un’intossicazione da farmaci antidepressivo”.

Si può quindi parlare con ogni probabilità di suicidio: “Quella sera Paolo accettò il rischio di morire, molto probabilmente. È morto suicida? Mai avrei pensato di dirlo, ma credo di sì. È molto doloroso per me ammetterlo”.

A spingerlo a compiere il tragico gesto sarebbero state le sue difficoltà economiche, legate alla crisi lavorativa che stava vivendo da tempo. Molti addetti ai lavori sembra si facessero condizionare dai problemi con la giustizia avuti nei primi anni Duemila (la morte per droga di una sua amica nel suo appartamento a Genova e la sua permanenza in comunità, ndr): “Non riusciva a lavorare. Aveva scritto tre sceneggiature. I suoi limiti L’ingenuità, un eccesso di fiducia nel prossimo. Forse anche un po’ di permalosità, sono stati i suoi limiti. Aspirava al diritto all’oblio. Invece i motori di ricerca continuavano a risputare fuori quell’episodio legato al consumo di stupefacenti. Non riusciva a liberarsene. Lavorare era diventato impossibile. Perciò almeno oggi, dopo la sua morte, vorrei che fosse fatta un’operazione verità nei suoi confronti”.

Impossibile per Roberto non rievocare la sua ultima telefonata con il fratello, avvenuta diversi giorni prima della tragedia: “Il 19 dicembre. Era giù. Non gli feci abbastanza domande, forse. Tutto rimase nella sfera del non detto” – ha concluso.

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