La "poliziotta dei femminicidi": "Quelle donne che tornano dai loro uomini"

Elena Jolanda Ceria, poliziotta che si occupa di femminicidi e violenze presso la Questura di Bologna, spiega alla 27esima ora i passi in avanti compiuti per arrestare definitivamente il fenomeno e quelli (tanti) ancora da compiere. A partire dalle vittime che accettano di tornare a casa dal proprio aguzzino.

La piaga dei femminicidi vista attraverso gli occhi di una donna che cerca di combatterli con i mezzi che ha a disposizione. Elena Jolanda Ceria, vicequestore aggiunto e dirigente della Sezione omicidi e reati contro la persona, in danno di minori e reati sessuali della Squadra mobile, è la poliziotta che ha dedicato gli ultimi anni della propria vita a occuparsi delle violenze sessuali, dei maltrattamenti, degli abusi denunciati alla Questura di Bologna.

Raggiunta dalla 27esima ora, sezione del Corriere che si occupa di donne a 360°, Ceria ha affrontato molti aspetti del suo lavoro, in particolare della difficoltà che si trova a dover fronteggiare ogni volta che una delle vittime decide di fare ritorno a casa, tornando con l’uomo che le ha usato violenza.

Perché quasi mai questo significa che le violenze siano terminate, anzi – spiega la dirigente della Sezione omicidi, che aggiunge anche l’aspetto psicologico che spesso si nasconde dietro questa scelta, totalmente controproducente – Quando tornano indietro è perché non sono ancora consapevoli di quello che stanno subendo“.

Naturalmente, la decisione di fare rientro a casa provoca notevoli difficoltà, per tutta l’attività investigativa nel suo complesso, dato che molti giudici interpretano, spiega Ceria, la scelta della donna di tornare con una non esigenza di custodia in carcere per il suo aguzzino, decisione che vanifica del tutto la raccolta degli eventuali elementi di prova, utili a chiedere una misura cautelare.

Si dovrebbe invece considerare il rientro della vittima a casa un aggravamento dell’esigenza, perché è più alto il pericolo di recidiva“.

I numeri dicono che, in quattro anni, la metà delle denunce per violenza di genere è stata archiviata in fase di indagine. Spesso, aggiunge Ceria, questo accade perché non è semplice dimostrare i reati, nonostante, tenga a precisare, “A Bologna in Procura c’è un gruppo di magistrati specializzati in reati contro le fasce deboli, c’è una spiccata sensibilità […] Ci sono violenze sessuali, anche su minori, denunciate dopo tanto tempo, quando ormai è difficile cristallizzare le prove“.

Il vicequestore aggiunto, tiene a precisare, tuttavia, che l’altra faccia della medaglia è rappresentata da donne che “quando si rivolgono alla polizia hanno alle spalle lunghi periodi di violenze, hanno intrapreso un percorso di consapevolezza, spesso hanno una rete familiare e sociale di supporto“, cosa che significa che “non sono molte quelle che ritirano le querele“.

Negli ultimi due anni a Bologna il Viminale, seguendo quanto fatto nel resto del paese, ha lanciato la campagna di sensibilizzazione “Questo non è amore“, in cui, a bordo del camper blu, poliziotti, psicologi e volontarie della Casa delle donne hanno organizzato più o meno 40 incontri in piazze e scuole, con una media di 200 contatti alla volta.

C’è maggiore consapevolezza, tuttavia le denunce per stalking non accennano a diminuire. Colpa, in parte, anche dell’universo social, che ha indubbiamente allargato il campo delle possibilità per i molestatori, siano essi puramente virtuali o no. “C’è un trend in aumento, WhatsApp e Facebook creano uno scollamento dalla realtà che deresponsabilizza lo stalker, perché non vede o sente la reazione della vittima“. Ma c’è un altro tipo di stalking, spiega Ceria, diverso ma pur sempre radicalizzato nell’era digitale: “Capita sempre più spesso di trovarsi di fronte anche ad altri tipi di stalking: genitori che superano il limite nei confronti dei figli. In questo senso l’ammonimento del Questore è uno strumento molto utile, perché interrompe un comportamento diventato ossessivo, evitando le lungaggini del processo“.

Che il fenomeno dello stalking sia ancora così fortemente permeato nella società è ovviamente un male eppure, volendo guardare l’aspetto positivo, se ci sono denunce è perché, sottolinea Elena Jolanda Ceria, “lo strumento del reato di stalking funziona, le donne denunciano“.

Finché non si porrà un freno definitivo al grave problema delle molestie, che spesso sfociano in qualcosa di ben più terribile, è fondamentale che le vittime trovino almeno quello: il coraggio di non restare in silenzio e la forza per denunciare. È il primo, importantissimo passo per abbattere il velo di omertà, vergogna e paura in cui proliferano gli aguzzini e coloro che approfittano della debolezza altrui.

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