Se una sentenza dice che la realtà non esiste

La legge spesso nega la realtà. È un dato di fatto. Lo sanno bene persone queer, omosessuali, single, persone disabili e tutte le persone che escono dalla cosiddetta norma. È grave e a questo servono le battaglie per i diritti. Ma ancora più grave è quando una sentenza nega una realtà che aveva già ottenuto riconoscimento.

“Donna” è solo la “donna biologica”: questa la decisione della Corte Suprema del Regno Unito, che ha emesso una sentenza destinata a cambiare in modo drammatico la vita delle persone transgender. Secondo quanto stabilito all’unanimità dai giudici, i termini “donna” e “sesso” così come compaiono nella legge sulle pari opportunità (Equality Act 2010) si riferiscono esclusivamente al sesso biologico.

Una decisione che arriva dopo anni di scontri politici, giudiziari e culturali e che avrà ricadute profonde, in Scozia, Inghilterra e Galles, sull’accesso delle persone trans agli “spazi a sesso unico”; come bagni, spogliatoi, carceri, ospedali, ma anche forze armate, sport e, in generale, in tutti gli ambiti di vita comunitaria, lavoro e associazionismo compresi.

Come si è arrivati fino a qui?

Contesto e cronologia (semplificata) delle leggi

Nel 2004 il Regno Unito approva il Gender Recognition Act (GRA), la legge che consente agli adulti transgender di cambiare legalmente genere. Il GRA istituisce il Gender Recognition Panel, che rilascia i Certificati di Riconoscimento di Genere (GRC).

Nel 2010, con l’Equality Act il Regno Unito consolida e unifica diverse normative antidiscriminatorie, tra cui l’Equal Pay Act 1970, il Sex Discrimination Act 1975, il Race Relations Act 1976, il Disability Discrimination Act 1995 e aggiunge altri strumenti normativi a tutela contro la discriminazione nel lavoro basata su religione o credo, orientamento sessuale ed età.

Nel 2018 il Parlamento scozzese, chiamato a legiferare sulle “quote rosa” nei consigli pubblici, include le donne trans nella percentuale di donne necessaria a bilanciare la disparità di rappresentanza maschile-femminile.

In seguito all’approvazione di questa legge, nota come Gender Representation on Public Boards (Scotland) Act del 2018, For Women Scotland Ltd ha fatto causa al governo scozzese sostenendo che le tutele basate sul sesso debbano applicarsi solo alle persone nate femmine. Il governo scozzese, al contrario, ha difeso il diritto delle persone trans con certificato di riconoscimento di genere (GRC) ad essere incluse nelle stesse tutele delle donne cisgender.

Da qui si arriva alla For Women Scotland Ltd VS The Scottish Ministers (2025), la sentenza del 16 aprile 2025, in cui la Corte Suprema ha stabilito all’unanimità che il significato dei termini “sesso”, “uomo” e “donna” nell’Equality Act 2010 è da intendersi in senso biologico, non certificato. I giudici di Londra ha inoltre sentenziato che le linee guida del governo scozzese secondo cui “una donna trans con un certificato di riconoscimento di genere è legalmente una donna” sono non valide ed errate.

Alcune reazioni alla notizia

Susan Smith, co-fondatrice di For Women Scotland, ha gioito sostenendo che la sentenza protegga le donne, “in base al loro sesso biologico”. Aggiungendo che

“il sesso è reale e le donne ora possono sentirsi sicure sapendo che i servizi e gli spazi designati per loro sono davvero per loro”.

Posizione ribadita dalla scrittrice JK Rowling, da anni critica verso il riconoscimento legale delle identità trans, che ha pubblicamente sostenuto la sentenza dichiarando di aver “pianto di gioia” alla notizia.

In Italia, la filosofa Adriana Cavarero, teorica della differenza, ha condiviso la sentenza con parole simili a quelle usate dal giudice Lord Hodge, che ha tenuto a precisare che questa decisione “non deve essere letta come una vittoria di un gruppo sull’altro”. Secondo Hodge, le persone transgender continueranno ad avere protezioni contro la discriminazione.

Ma è davvero così? No, e non si tratta di un parere personale. A riprova di questo sia detto che, durante l’udienza, la Corte ha ascoltato le testimonianze di diversi gruppi anti-trans, tra cui Sex Matters e LGB Alliance, mentre sono state assenti le voci di persone trans e, in particolare, è stata respinta la richiesta del Good Law Project di aggiungere la testimonianza di due giuristi trans.

Scrive sull’Indipendent, Diana Thomas:

Se la Corte avesse permesso a persone trans di testimoniare, o a medici e scienziati esperti in identità di genere di intervenire, avrebbe scoperto due cose. Primo: la presunta ‘minaccia’ ai diritti delle donne rappresentata dalle donne trans non esiste. Secondo: la definizione di ‘sesso biologico’ è infinitamente più complessa e difficile da definire rispetto alla semplice distinzione tra cromosomi X o Y.
Invece, è stata accettata una narrazione di bigottismo e pregiudizio che ricorda in modo inquietante quella usata per giustificare la segregazione e persecuzione di persone nere e ebree: questo gruppo è inferiore, ma anche pericoloso, e la sua stessa presenza rappresenta una minaccia per una società sana.”

Una sentenza che istituzionalizza la discriminazione delle persone trans

A prescindere dalle opinioni personali, tale sentenza istituzionalizza di fatto la discriminazione delle persone trans.
A più livelli.

Riconoscimento senza diritti

Anche se il riconoscimento dell’identità di genere resta tecnicamente una “caratteristica protetta” dalla legge, le persone transgender possono comunque essere escluse da spazi e servizi a sesso unico. In pratica, è una protezione teorica, che non si traduce in diritti concreti.

Esclusione sociale delle persone trans

La sentenza apre alla possibilità che le persone trans siano escluse in alcuni contesti sia da spazi mas-chili sia femminili. In ogni caso, le obbliga all’accesso a spazi riservati al identità di genere in cui non si riconoscono (es. bagni, sport, spogliatoi, carriere militari, carceri, ospedali…) con conseguenze in termini di disforia, salute mentale e sicurezza.

Secondo quanto documentato dal rapporto delle Nazioni Unite sul trattamento delle persone trans nel Regno Unito del 2024, le persone trans subiscono più violenza e abusi subiti di qualsiasi altro gruppo nella società. Il tutto mentre la Cass Review commissionata nel 2020 ha fragilizzato e smantellato l’assistenza sanitaria alle persone trans e i percorsi di affermazione di genere.

L’assurda motivazione della tutela delle donne lesbiche

La Corte ha motivato la decisione anche sostenendo che includere le donne trans attratte dalle donne come “lesbiche” avrebbe alterato la composizione di spazi e associazioni riservati. Un ragionamento che mette in discussione l’autodeterminazione e la legittimità delle identità queer, ma che anche in Italia trova sostenitori e sostenitrici tra le file del cosiddetto femminismo TERF.

Una sentenza può ignorare la realtà, ma la realtà non sparisce

La legge spesso nega la realtà. È un dato di fatto. Lo sanno bene persone queer, omosessuali, single, persone disabili e tutte le persone che escono dalla cosiddetta norma. È grave e a questo servono le battaglie per i diritti. Ma ancora più grave è quando una sentenza nega una realtà che aveva già ottenuto riconoscimento.

Per quanto una sentenza transfobica possa negare la realtà, non per questo essa smette di essere tale. Le persone trans esistono, le donne trans esistono e sono donne, negarlo significa solo esporle alla violenza e alla discriminazione.

Scrive Thomas:

Non pensare che si fermeranno alle donne trans. Come a voler riecheggiare la poesia di Martin Niemöller “First They Came”, i gruppi nazionalisti cristiani bianchi che finanziano la campagna anti-trans nel Regno Unito e che si battono apertamente per l’eradicazione totale del “transgenderismo” (ovvero delle persone trans) non si fermeranno con noi. Stanno lottando contro il diritto all’aborto. Stanno lottando contro i diritti degli omosessuali. Potresti essere il prossimo.

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