La veglia repressa per Sarah Everard, rapita e uccisa da un poliziotto mentre rincasava

Il brutale femminicidio di Sarah Everard, avvenuto a Londra lo scorso 3 marzo, ha scatenato un'ondata di indignazione in tutto il Paese, tramutata in una protesta pacifica, duramente repressa dalla polizia. Sono tanti i messaggi social di solidarietà e denuncia, che anche in Italia, condannano la piaga della violenza contro le donne, con una frase divenuta emblematica: "Scrivi quando arrivi a casa".

Lo scorso 3 marzo Sarah Everard, una manager di 33 anni, è scomparsa mentre tornava a casa a piedi dall’appartamento di un’amica nei pressi di Leathwaite Road, Londra. Dopo averne denunciato la scomparsa, sono partite le indagini di Scotland Yard che, lo scorso 10 marzo, hanno portato al ritrovamento di alcuni resti umani all’intento di un sacco in un bosco nel Kent, a circa 78 chilometri dall’ultimo posto in cui era stata vista la donna. Solo l’analisi dentale ha potuto confermare che si trattava di Sarah Everard.

Per il rapimento e l’uccisione della donna è stato arrestato l’agente di Scotland Yard, Wayne Couzens, poliziotto ex meccanico di 49 anni, sposato e con due figli, che solo tre giorni prima dell’accaduto era stato accusato di molestie sessuali per atti di esibizionismo in un fast food, una vicenda che fa discutere tanto e in molti chiedono le dimissioni del capo di Scotland Yard, Cressida Dick.

Secondo quanto ricostruito dalla procuratrice Zoe Martin, la giovane donna sarebbe uscita da casa di un’amica a Clapham e si sarebbe incamminata verso casa sua, nel sud di Londra, un percorso di 50 minuti. Durante il tragitto, verso le 21.30 Everard ha anche parlato brevemente al cellulare con il compagno. Nello stesso momento, nelle zone percorse dalla donna, l’agente Couzens finiva il suo turno di guardia all’ambasciata americana. Sono le telecamere di sicurezza a inchiodare l’uomo: la sua auto è infatti stata ripresa in prossimità dell’ultimo luogo in cui è stata vista Sarah, e, sempre grazie alle telecamere, la macchina dell’agente è stata vista arrivare fino al paesino del Kent, dove abita l’uomo e dove è stata ritrovata la donna.

La vicenda, come ovvio, ha scosso l’intero Paese in cui da tempo è acceso un dibattito sulla sicurezza delle donne, e proprio in questi giorni è stato reso noto un sondaggio condotto dall’ente delle Nazioni Unite, UN Women UK, che ci dice che il 97% delle donne inglesi tra i 18 e i 24 anni ha subìto molestie sessuali e l’80% delle donne di tutte le età ha dichiarato di aver subito molestie sessuali in spazi pubblici.

Nei giorni successivi alla tragica scoperta, in moltissimi hanno voluto rendere omaggio alla donna, depositando fiori nei pressi del chiosco di Clapham Common, vicino al luogo in cui Everard è scomparsa. Tra loro anche la duchessa di Cambridge, Kate Middleton.

La veglia e gli scontri della polizia

Il femminicidio di Sarah Everard ha scatenato un’ondata di indignazione e acceso numerose proteste in tutto il Regno Unito contro la violenza sulle donne. Il movimento Reclaim These Streets (Riprendiamoci queste strade) ha organizzato una veglia in Clapham Common e in altre 31 località del Regno Unito lo scorso sabato sera, successivamente annullata perché dichiarata illegale dalla polizia a causa delle limitazioni previste per la pandemia in atto.

Sabato 13 marzo, centinaia di donne sono comunque scese in strada dando vita a una protesta pacifica, in cui hanno deposto fiori e esposto cartelli che dicevano “Non saremo messa a tacere”, per chiedere giustizia. La polizia è però intervenuta duramente, usando maniere forti nei confronti delle partecipanti, trattenute e ammanettate, e portando all’arresto di quattro di loro per violazione delle norme anti-Covid.

Anche il sindaco di Londra, Sadiq Khan, è intervenuto per condannare la violenta repressione della protesta. Questo quello che scrive dal suo profilo Twitter:

Le scene di Clapham Common sono inaccettabili. La polizia ha la responsabilità di far rispettare le leggi di Covid, ma dalle immagini che ho visto è chiaro che la risposta non è stata a volte né appropriata né proporzionata. Sono in contatto con il commissario e sto cercando urgentemente una spiegazione.

A lui si è aggiunto anche il ministro dell’Interno Patel, che ha definito le immagini “sconvolgenti” e che ha chiesto un rapporto “rapporto completo su ciò che è successo”.

Le immagini e i video degli scontri hanno fatto il giro dei social. In particolare, una foto in cui una donna dai capelli rossi viene messa a terra, immobilizzata e ammanettata dalla polizia è diventata il simbolo della violenta repressione messa in atto.

La donna è Patsy Stevenson, scrittrice e attrice di 31 anni e questo è quello che ha dichiarato:

Ero andata a sostenere il diritto delle donne, di tutte le donne, di camminare per strada senza aver paura. Non stavo facendo niente. Ero lì ferma, volevo mettere il mio mazzo di fiori con gli altri, non ne ho avuto il tempo. Stevenson è stata circondata da agenti della polizia, strattonata, spinta per terra, immobilizzata, ammanettata. La foto è finita sulle prime pagine di tutti i giornali britannici, il filmato sulle tv, sui siti Internet, i social.  Sono alta 1,58 m, non peso nulla, eppure mi sono ritrovata diversi agenti sulla schiena. […] Le donne non si sentono al sicuro, credo che camminare per strada sia il minimo che ci dovrebbe essere concesso, è sconcertante che questa situazione vada avanti da così tanto tempo.

Anche il movimento Reclaim These Streets, si è espresso duramente nei confronti dell’azione della polizia:

Siamo profondamente rattristate e arrabbiate per le scene di agenti di polizia che maltrattano fisicamente le donne a una veglia contro la violenza maschile.

Le testimonianze via social di denuncia e solidarietà

E sono state tante le testimonianze social che sono seguite alla tragica vicenda da parte di donne che hanno voluto raccontare le loro terribile esperienze vissute negli anni. Tra queste la giornalista di Sky Kate McCann, che così si esprime:

Chiavi sempre in mano per dissuadere eventuali aggressori. Avere sempre in mente la mappa degli alimentari notturni più vicini per rifugiarsi in caso di necessità. Scarpe buone per fuggire. Musica nelle cuffie sempre bassa, o nulla. Ecco la nostra vita.

A questo si aggiunge anche il commento della deputata laburista Alex Davies-Jones: Ci dicono di non bere troppo altrimenti corriamo il rischio di essere aggredite. Di avere le chiavi sempre in mano. Ma quando diranno agli uomini di non aggredire le donne?. 

E anche in Italia il grido di denuncia e solidarietà è forte e si fa sentire. In molte, infatti, dai loro profili Instagram stanno usando la propria voce per sensibilizzare su un tema che è diventato ormai da anni una piaga sociale e su cui è necessario un intervento urgente.

Tra questi vi è il messaggio del profilo Instagram evastaizitta:

“Scrivi quando arrivi a casa” è una frase emblematica divenuta il messaggio simbolo per denunciare il fenomeno della violenza sulle donne e fare luce sulla difficile condizione che le donne di tutto il mondo vivono quotidianamente, impossibilitate a vivere in sicurezza le strade delle loro città e continuamente esposte al rischio di perdere la libertà e, con essa, la vita.

Anche Sonia Grispo, content creator e blogger che vive a Londra, rivolge un toccante messaggio social, nel quale, in chiusura, aggiunge alcune utili istruzioni rivolte a tutte le donne, per attivare chiamate di emergenza e App sul proprio telefono.

Ecco uno stralcio del messaggio condiviso dalla donna dal suo profilo Instagram:

La sua storia diventa l’ennesima occasione per parlare delle difficoltà di essere una donna in questo mondo in cui qualcuno può decidere di interrompere la tua vita ed ucciderti mentre stai tornando a casa dopo aver trascorso del tempo con un’amica. Nella mia foto vedete uno di quei gesti che se sei una donna impari da giovane: quando sei da sola, se non ti senti sicura, afferra le chiavi e mettile fra le dita, come un tirapugni. Non dovremmo dover imparare a difenderci, dovemmo poter tornare a casa a qualsiasi ora, senza preoccuparci che qualcuno possa decidere di prendere la nostra vita e farne l’ennesimo caso di femminicidio. Dovremmo poter scrivere “sono a casa”, le parole che Sarah non ha più scritto.

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