È morto a 27 anni Thiago Elar, il ragazzo che chiedeva aiuto su TikTok
È morto a 27 anni Thiago Elar, ragazzo transgender noto su TikTok per i suoi appelli accorati. Ricoverato da mesi in psichiatria, chiedeva ascolto e rispetto.

È morto a 27 anni Thiago Elar, ragazzo transgender noto su TikTok per i suoi appelli accorati. Ricoverato da mesi in psichiatria, chiedeva ascolto e rispetto.
Aveva 27 anni Thiago Elar, ed è morto il 21 luglio in una clinica psichiatrica a Treviglio, provincia di Bergamo. Era ricoverato da oltre un anno e mezzo. La sua morte è stata annunciata sui social, lo spazio dove negli ultimi mesi aveva vissuto la sua esistenza in una continua richiesta d’aiuto. A darne conferma anche un necrologio pubblicato sul portale Il Commiato, dove però – come in altri contesti – il suo deadname continua a comparire.
Thiago Elar era diventato noto su TikTok, dove condivideva anche dieci, venti video al giorno. Parlava della sua condizione, delle sue paure, dei suoi desideri. E del suo dolore.
“Sono ancora qui. Domani ho appuntamento col medico che mi manderà in un posto migliore”, diceva in uno degli ultimi video pubblicati. Un messaggio tragico, se letto oggi. In un altro, ancora più esplicito, diceva: “Sto aspettando di andare in un posto… mi porterà alla fine dei miei giorni probabilmente”.
I suoi contenuti raccontavano la vita dentro una clinica psichiatrica, l’isolamento, le difficoltà del percorso di transizione, il trauma di sentirsi invisibili. E la richiesta di essere chiamato col nome che aveva scelto. “Thiago”, appunto. Nome ignorato persino nel necrologio, ultimo simbolo di un’identità sistematicamente negata.
Secondo quanto raccontava nei video, Thiago soffriva di un grave disturbo dell’alimentazione e parlava di un passato segnato da traumi, anni in comunità, accuse di violenza, relazioni familiari difficili e l’assenza di una rete di supporto. Il rapporto con la madre era uno dei temi ricorrenti dei suoi video, tra rabbia, disperazione e il desiderio di essere riconosciuto.
Più volte aveva denunciato maltrattamenti nella struttura dove era ricoverato, chiedendo pubblicamente di essere trasferito. In molti hanno risposto con solidarietà, ma altrettanti lo hanno accusato di manipolazione, sollevando sospetti su raccolte fondi effettuate in privato.
Dopo la notizia della sua morte, TikTok si è riempito di video commemorativi, messaggi di cordoglio, e anche rabbia. Molti utenti hanno sottolineato come Thiago avesse trasformato il suo profilo in un grido collettivo e come, ancora una volta, una persona transgender sia stata lasciata sola. Senza risposte dalle istituzioni, ignorata nei suoi appelli.
Thiago chiedeva amore, ascolto, libertà. Chiedeva – in fondo – di essere visto. La sua morte solleva interrogativi scomodi su come vengano gestiti i casi psichiatrici complessi, sulla mancanza di supporti per le persone trans e neurodivergenti, e su quanto ancora sia presente una patologizzazione sistemica delle identità trans nei contesti sanitari italiani.
Come ha scritto Il Post in una recente inchiesta sul disagio psicologico giovanile, «molte strutture non sono attrezzate per ascoltare davvero chi chiede aiuto in modo non convenzionale».
D’altra parte la sua vicenda non può non interrogare le responsabilità dei social e della costante sovra esposizione di soggetti fragili.
Resta una domanda che pesa come un macigno: chi ha ascoltato davvero Thiago? Chi ha raccolto quelle decine di video quotidiani non come una performance, ma come una richiesta reale? Chi, tra le istituzioni, i professionisti della salute mentale, il sistema familiare, ha provato a rispondere?
Thiago Elar è morto in una stanza d’ospedale, a pochi giorni dall’ennesimo video in cui diceva di non volere morire così.
Da quando sono diventata mamma sono convinta che le donne abbiano i super poteri.
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