Ucraina: l'esodo delle donne

Del milione di persone in fuga dall’Ucraina, la maggior parte è costituita da donne e bambini. Agli uomini, per decreto nazionale, in età compresa tra i 18 e i 60 anni è vietato lasciate il paese, pena l’arresto. Ad una parte l’onere bellico, all’altra l’onere della sopravvivenza.

Del milione di persone in fuga dall’Ucraina, la maggior parte è costituita da donne e bambini.
Agli uomini, per decreto nazionale, in età compresa tra i 18 e i 60 anni è vietato lasciate il Paese, pena l’arresto. Ad una parte l’onere bellico, all’altra l’onere della sopravvivenza.

Trasportare bambini e anziani, ma anche sé stesse al confine, talvolta con il proposito di rientrare a combattere, è un impegno che trascende il personale, è un impegno verso la nazione che sopravvive grazie a questo viaggio e a chi lo rende possibile.

I resoconti raccolti di prima mano, come quelli riportati dal The Washington Post, raccontano le singole biografie di guerra, momenti spezzati che hanno lasciato spazio a nuovi doveri e nuove pratiche di sopravvivenza. Dallo spostamento verso zone sicure nelle città, sino ai lunghi viaggi, spesso preceduti da attese altrettanto lunghe per l’imbarco, fino alle code ai confini, con il terrore per chi è rimasto alle spalle e davanti la preoccupazione per quelle generazioni da proteggere, da spostare fisicamente dal conflitto.

Gli attacchi orientati a colpire i civili sono una minaccia crescente per i bambini. Martedì 1 marzo Zelensky ha dichiarato che il giorno prima le forze d’invasione russe avevano ucciso 16 minori. I bollettini di guerra di ambo le fazioni rimangono vagamente inaffidabili, soprattutto dopo che il presidente Russo Vladimir Putin ha bloccato l’accesso a twitter e facebook e ridotto ulteriormente la libertà di stampa con un decreto che rende perseguibile legalmente chiunque parli dell’attuale invasione indicandola come tale o riferendosi ad essa in termini di guerra.

Di qualche giorno fa le dichiarazioni del ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba che denunciavano, tra i crimini di guerra commessi dalle truppe russe, anche lo stupro, al momento solo The New York Post ha riportato una testimonianza diretta e la notizia è ancora da confermare in maniera definitiva.

La vita delle donne in guerra

La vita delle donne in guerra, però, è drasticamente diversa da quella degli uomini, e il conflitto in Ucraina ce lo sta confermando.

Alle donne viene chiesto, viene imposto, di impacchettare la propria vita, ma anche il proprio amor patrio, nella fuga. Figli e persone non autonome vengono loro affidate affinché non solo possano raggiungere quel mondo oltre il confine, ma anche perché vi possano sopravvivere, vi si possano insediare con la prospettiva di non tornare o di poterlo fare un giorno.

Migrare per sfuggire alla guerra è un percorso lungo, che non è fatto solo di attraversamenti, ma principalmente di attese. Di permessi e consensi, di accettazione e rifiuto. E una volta ottenuta il giusto permesso, l’autorizzazione a passare, il viaggio prosegue. Al confine con Medyka, le persone che giungono hanno a disposizione diversi servizi, primi fra tutti un tendone di Medici Senza Frontiere, giunto direttamente da Israele, con tutta l’assurdità del caso.

Accanto qualche stand offre carne appena cotta, salsicce color cioccolato che i volontari preparano a nastro. Ogni tanto giunge uno scatolone, spesso contenente caramelle o dolcetti per i bambini. Proseguendo verso i punti di raccolta dei pullman le persone possono trovare riposo in uno dei tendoni prossimi ai punti di attesa o mangiare un panino. Montagne di vestiti, pannolini, succhi di frutta, omogeneizzati e abiti da bambini si riversano fuori dagli scatoloni, per tutti quelli che non sono riusciti a portarsi via abbastanza o che, durante il tragitto, hanno perso o dovuto lasciare indietro qualcosa.
Molti di questi beni di prima necessità provengono direttamente dai centri di raccolta sparsi in Europa.

Foto di Saverio Nichetti

La strumentalizzazione di donne e bambini

La presenza massiccia di donne e bambini, poi, sta venendo strumentalizzata da chi, come Salvini, non può più giustificare una politica di respingimento. Salvini infatti parla di profughi veri, di donne e bambini da salvare, asserendo quindi che tutte le altre persone in cerca di accoglienza, costrette a migrare da guerre, carestie, persecuzioni, cambiamenti climatici e prospettive limitate da infrastrutture assenti o corrotte non siano degni di accoglienza in quanto ingenitamente malvagi, giunti al confine non per migrare ma per ledere, anzi, nella sua retorica decennale il politico della Lega ha più volte fatto coincidere la migrazione stessa con un crimine.

Eppure, oggi parla di accorrere in soccorso di persone, di fatto, migranti, indossando i panni dell’uomo che deve tutelare donne e bambini, ripercorrendo la sua narrativa che giustifica il razzismo di fondo con del sessismo benevolo, ovvero la convinzione che le donne siano deboli e abbiano bisogno della protezione, ma anche dell’accettazione, di un uomo.

Vi sono poi casi di donne, molte in verità, che una volta raggiunto il confine affidano i figli ai parenti residenti all’estero per rientrare a combattere. E ancora, The Guardian, riporta la storia di sei donne, rimaste a combattere, parte del battaglione Aidar – accusato di diverse violazioni dei diritti umani da Amnesty International – che operano come personale medico e come soldati attivi.

La storia delle donne in guerra, è sempre preda della condizione di marginalità in cui il femminile viene compresso. Anche nel conflitto infatti, le donne diventano pezzi della nazione, mezzi a cui è affidato il futuro, diventano il corpo della nazione, da colpire per colpire più duramente, soldati che rimangono a combattere o come personale ausiliario demandato alla produzione di armi di sabotaggio.

Storie che i politici riescono a usare per giustificare le proprie politiche. La guerra distrugge l’umano, lo subordina a necessità di violenta sopravvivenza, ma la divisione sociale dei ruoli di genere modifica la traiettoria di questa sopravvivenza.

E non è il solo stigma a colpire le modalità di sopravvivenza e il loro avveramento, diversi filmati mostrano come, sui treni dedicati al trasporto di donne, bambini e persone non cittadine dell’ucraina, donne e bambini neri siano state lasciate indietro, con un diverso ordine di priorità.
Attraversare un paese in guerra non è uguale per tutti e per molte donne non è così semplice partire o raggiungere i treni che da Lviv portano in Polonia.

L’Ucraina non sopravvive solo nella strenua resistenza all’invasore o nei discorsi di Zelensky, ma anche nel viaggio, nel salvataggio compiuto da chi ha sulle spalle la memoria, il presente e il futuro dell’Ucraina.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!