Vagoni rosa per le donne sì o no? Parliamone, ancora!

Vagoni rosa sì o no? I vagoni separati sono una risposta immediata ad un problema di lungo corso che, però, sposta la responsabilità della prevenzione sulle vittime stesse, le uniche a vedersi ridurre lo spazio sociale e pubblico.

Nell’ultima settimana il dibattito si è acceso ripercorrendo sempre quelle direzioni monolitiche e funzionalmente incapaci di osservare la prospettiva opposta, Di fatto la stessa idea che le prospettive siano opposte è sbagliata perché nascono dalla medesima istanza: la percezione di un pericolo reale e il bisogno collettivo di depotenziarlo fino a distruggerlo. Questo pericolo è la violenza di genere, nella fattispecie la violenza sessuale.

La proposta dei vagoni rosa

La proposta di vagoni rosa è una delle tante espressioni di quelle pratiche definite “segregazione di genere” il cui scopo è ridurre la violenza separando fisicamente le persone che ne sono colpite, interpretando la loro diversità come un elemento monolitico ascritto a due soli generi, il maschio ingestibile e incorreggibile e il femminile da proteggere. Protezione che si traduce in pratiche di compressione di limitazione dello spazio occupabile in modo da disinnescare la violenza responsabilizzando le donne. De facto, questo genere di pratiche nulla sono se non diretto intervento sulle vittime e sul loro spazio sociale.

Responsabilizzazione della parte lesa

La ragione alla base delle opinioni contrarie è proprio questa, il nascondimento dello spostamento di responsabilità velato dallo spauracchio della protezione. Protezione che, tra l’altro, sarebbe solo temporanea e connaturata alla presenza e all’allerta delle altre passeggere presenti sul vagone rosa di turno. Il carattere temporaneo è da sottolinearsi in quanto, tale protezione, viene meno nel momento in cui il treno è vuoto, vagone rosa compreso, o nel momento stesso in cui una passeggera smontasse dal treno. La sicurezza dei civili durante i trasporti pubblici o privati, non può essere ridotta al moto del mezzo, stazioni, percorsi, strade, scale e ascensori sono ambienti potenzialmente pericolosi tanto quanto i sedili dei treni. E non perché insitamente problematici, ma perché occupati da quei medesimi violenti il cui spazio non subisce restrizioni di sorta.

Ecco quindi che, la parte lesa, diventa anche parte responsabile della prevenzione. In caso fallisse nella prevenzione, permanendo nel vagone sbagliato o indossando una gonna corta, diverrebbe anche istigatrice, e quindi colpevole. E con lei anche le altre persone che avrebbero potuto prevenire la violenza: le altre passeggere. Alle donne, quindi, si chiede di provvedere a se stesse, una non-novità nel sistema attuale.

A chi sono destinati  i vagoni rosa?

Si parla poi di rosa e vagoni separati, chi sono quindi i passeggeri ammessi in tali vagoni? Donne, intese nell’accezione più binaria, transfonica e abilista, sostanzialmente tutte quelle donne a cui è reso possibile dalle strutture raggiungere la carrozza designata e quelle il cui aspetto consente di occupare un sedile “rosa”.

Le persone non binarie e le persone trans* potrebbero quindi trovarsi di fronte a un bivio, nella condizione di dover scegliere tra il rischio di una violenza transfobica e il rischio di un’altra violenza transfobica, come il dover dimostrare di essere abbastanza o vedersi rifiutare l’accesso nel caso in cui i documenti non presentino ancora il nome di elezione o, in caso di uomini trans, sapere di non essere accettati ed essere costretti a sostare in vagoni in cui non sono tutelati in alcun modo. Si tratta, in buona sostanza di una non scelta, in quanto scegliere tra una potenziale violenza fisica e una potenziale violenza psicologica ed emotiva non è una scelta: è sempre una forma di violenza che riduce la possibilità di autoderminarsi.

Le stesse passeggere dei vagoni rosa, a loro volta, vivrebbero nella paura di vedere un uomo prendere posto tra i sedili e nel caso ciò accadesse, non è scontato che il senso di unità e responsabilità reciproca sia sufficiente a scatenare una reazione che lo allontani. Infatti, l’unico modo per ottenere una reazione quasi automatica alla violenza o al rischio di violenza è l’addestramento militare, e anche in quel caso i meccanismi fisici e psicologici, profondamente umani, votati alla sopravvivenza potrebbero bloccare vittime e compagne di viaggio. Pensare che un vagone possa essere sufficiente a disinnescare un comportamento violento significa negare quello che accade sui treni e nelle stazioni, in cui spesso le violenze avvengono proprio in presenza di altr* passegger*. La violenza non sparirà finché non sparirà la cultura della violenza.

Perché la segregazione di genere non è una soluzione valida sul lungo periodo

Qui s’innesta l’altra posizione del dibattito che chiede, legittimamente, cosa si dovrebbe fare fino al raggiungimento della tanto agognata società senza violenza. I vagoni rosa sono una soluzione potenzialmente immediata, capace, se non di disincentivare la violenza, almeno di offrire alle passeggere una percezione di sicurezza, una boccata d’aria tra origine e destinazione. Una situazione questa non meno importante o meno rilevante, perché in grado di impattare sulla salute mentale delle passeggere. Soprattutto di quelle persone che non hanno alternativa alcuna al mezzo pubblico. Eppure, la segregazione di genere non rimane una soluzione valida. Principalmente proprio per chi non ha scelte alternative.

Infatti, qualora dovessero dimostrarsi fallimentari o inasprire le condizioni negli altri vagoni, queste carrozze potrebbero essere agilmente evitate e con loro i mezzi pubblici da parte di chi ha alternative, economiche o strutturali, per muoversi. Le altre persone, invece, rimarrebbero bloccate nel limbo della soluzione non realistica che però verrebbe mantenuta e, anzi, diverrebbe fantoccio politico per dire di aver promosso la parità di genere.

La proposta giunge dal basso, dall’iniziativa popolare in forma di petizione online. Cosa che si costituisce come un’enorme insegna luminosa che denuncia il vuoto istituzionale e l’assenza di valide politiche di debellazione della violenza di genere, emanazione brutale della diseguaglianza sistemica.

Dunque, è opportuno ragionare sui meccanismi del sistema capitalista patriarcale che ci ha educato ad accettare prodotti (campagne di sensibilizzazione, giornate di prevenzione, eventi e vagoni genderizzati) come fossero, e al posto di, politiche di breve, medio e lungo periodo. Le politiche sono eventi complessi e continuativi, capillari, basati su progetti per i quali dovrebbero essere interpellate persone competenti e direttamente coinvolte, capaci quindi di unire le necessarie competenze, non necessariamente accademiche, alla consapevolezza profonda del problema. Certamente non sono da considerarsi politiche quelle proposte da chi mira ad acquisire una poltrona senza avere un reale progetto politico.

Vagoni rosa si o no?

Vagoni rosa sì o no? No, perché sarebbero l’ennesimo cerotto con cui il sistema invita le donne, sempre nell’ottica della cura e della tutela, a coprire e lenire l’enorme piaga della discriminazione e dell’oppressione di genere, appiattendo la pluralità di soggettività da esse colpite. No, perché la violenza di genere è un problema maschile.

Ma, ad un’analisi più sistemica, non è tanto una questione di sì o di no, di idee e posizioni personali, quanto più di cruda osservazione del sistema in cui viviamo. Così iniquo, così sbilanciato e arrogante da chiedere, ancora una volta, alle vittime di proteggere il carnefice dalle sue stesse azioni. Perché nei vagoni le donne non smetteranno di avere paura o di subire violenza. Le vittime, tutrici responsabili dei violenti, devono guarire il sistema, perché l’attività di cura è donna come pure la responsabilità di migliorare il maschile. Quella famosa scala al fattore che Beatrice ha dovuto essere per Dante. Dante, incapace di migliorarsi in nome di ciò che è giusto, umano e corretto, mosso da un motore esterno a cui è data la responsabilità di redimerlo ed, eventualmente, la colpa di non riuscire nell’intento. Dal 1472 (editio princeps) al 2021, la scala è diventata un predellino rosa su un vagone genderizzato.

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