Le attiviste Sofia Righetti e Valentina Tomirotti si fanno portavoce per protestare contro la decisione dell’Inps di non concedere l’assegno di invalidità per le persone con disabilità a chi presti un’attività lavorativa, seppur minima.

La decisione, comunicata dall’istituto pensionistico con  il messaggio n.3495 del 14 ottobre, ma resa nota solo ieri attraverso un articolo del Messaggero, recepisce e si uniforma al recente orientamento della Corte di Cassazione per cui “il mancato svolgimento dell’attività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge n.118/1971, integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio“.

Rifacendosi a questo pronunciamento l’Inps ha quindi modificato le proprie indicazioni sull’assegno mensile di assistenza di 287 euro concessa agli invalidi parziali – dal 74 al 99% – che non superino i 4931 euro annui, precisando, con il nuovo messaggio, che non debba sussistere alcuna attività lavorativa, anche minima, che produca reddito, anche se inferiore ai 4931 già citati e minimo.

È chiaro che l’interpretazione dell’istituto sia estremamente restrittiva, e limiterà notevolmente la possibilità di un inserimento lavorativo delle persone con disabilità, pena la perdita di quel sussidio della cui importanza hanno parlato le due attiviste nei rispettivi post.

[…] La gravità di questa decisione non può passare in sordina: questa cifra che, per molti, può sembrare irrisoria, contribuiva a sostenere spese assistenziali che spesso quadravano al centesimo in un bilancio famigliare. Per chi avesse ancora qualche dubbio, spessissimo la vita delle persone con disabilità è più onerosa delle altre persone, non per sfizi, ma per necessità di coinvolgere professionisti per compiere azioni quotidiane. No, non è questione di genere, è solo frutto di una visione di questa tematica orientata sempre e solo all’assistenzialismo e mai alla progettualità e all’ascolto del soggetto.

Le persone con disabilità hanno diritto di lavorare, hanno diritto ad una socialità conquistata e a questa misura economica mensile. Non può essere trasformata in una scelta di colpa ambire ad essere un soggetto economicamente attivo. Questa decisione non farà altro che aumentare il lavoro in nero, l’assenza di sicurezza o la scelta di galleggiare semplicemente per sopravvivere.

L’Associazione Pepitosa in Carrozza, di cui Valentina è presidente, ha lanciato anche una petizione su Change.Org, rivolta alla ministra della disabilità Erika Stefani, affinché la normativa venga bloccata, anche nel rispetto dell’articolo 4 della Costituzione, che recita “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.

Anche Righetti, atleta paralimpica e attivista, ha criticato fortemente la decisione dell’Inps.

[…] In pratica è un ricatto: puoi scegliere se lavorare e non ricevere alcuna tutela economica dallo Stato, oppure non lavorare e non fare nulla e continuare a ricevere la pensione.

È una condanna alla solitudine, all’inattività e contro qualsiasi valore di emancipazione sociale e di indipendenza economica fondamentale per tutti i cittadini.

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