“Se lo consideravano malato dovevano rinchiuderlo in una comunità e curarlo. Non lasciarlo praticamente libero di fare tutto”. La rabbia di Carmelo Zappalà emerge, composta ma ferma, nelle parole che rilascia ai quotidiani che si stanno occupando di sua figlia Vanessa, trucidata a soli 26 anni dall’ex fidanzato Antonino Sciuto, ritrovato poi impiccato a poche ore di distanza dal delitto.

È accaduto domenica 22 agosto, verso le tre del mattino, vicino al porticciolo del lungomare di Aci Trezza (Aci Castello): Vanessa Zappalà era uscita con degli amici, una delle rare occasioni dopo un periodo di reclusione volontaria vissuta proprio nel timore di incontrare lui, l’ex fidanzato lasciato a dicembre, già padre di due figli, che però quella notte l’ha raggiunta, chiedendo, pare, l’ennesimo chiarimento, per poi spararle alla testa.

Quella che racconta papà Carmelo, nei giorni seguenti all’ennesimo femminicidio consumatosi (41, dall’inizio dell’anno, stando ai dati di Femminicidio Italia) – , è una storia che purtroppo abbiamo sentito molte volte: una relazione interrotta, un uomo che sprigiona in violenza criminale l’ossessione di perdere il potere su una donna considerata oggetto. Come in molti altri casi dagli esisti purtroppo uguali, lei trova la forza di denunciare per mettersi in salvo, ma non viene ascoltata. O meglio, si prendono provvedimenti che, ormai è evidente, non salvano la vita delle donne.

Carmelo Zappalà lo dice chiaro: non nega che dei provvedimenti a carico di Sciuto siano stati presi, ma è sull’efficacia di tali misure che ci si interroga, come ci si è interrogati, in passato, su casi diventati altrettanto tristemente celebri, come quello di Marianna Manduca (12 denunce prima di essere massacrata a coltellate davanti alla casa dei genitori dove si era trasferita dopo la separazione) o di Giordana Di Stefano, uccisa con 48 coltellate dall’ex Antonio Luca Priolo, poche ore prima della udienza preliminare predisposta dal Gip nell’ambito del procedimento per stalking a seguito della denuncia che la ventenne siciliana non aveva voluto ritirare.

La sua storia ci è stata raccontata in questo video da Vera Squatrito, mamma di Giordana e nonna, nonché ora tutrice della figlia di Giordana, rimasta orfana di madre per mano del suo stesso padre:

Giordana Di Stefano viveva ed è stata uccisa a pochi chilometri da Aci Trezza, dove ha trovato la morte Vanessa Zappalà, e poco distante è morta anche Laura Russo, 11 anni, uccisa nel sonno dal padre. Altra storia drammatica, raccontataci in questa video intervista da Giovanna Zizzo, madre della bambina, che con Vera Squatrito in queste ore ha espresso solidarietà per la famiglia Zappalà. La morte di Vanessa Zappalà, del resto, arriva nello stesso giorno di quella di Laura Russo, a sette anni di distanza.

Non dà colpe alle forze dell’ordine, Zappalà, anzi spende parole molto positive sull’operato dei Carabinieri dopo la denuncia di Vanessa a carico dell’ex compagno: “Il maresciallo, un sant’uomo, dà il suo cellulare a mia figlia: ‘Chiamami in ogni momento, notte e giorno, se c’è bisogno’ – racconta al Corriere – Un padre di famiglia”.

Semmai, lo sconforto deriva dal generale modus operandi delle istituzioni di fronte a casi del genere, nonostante siano, purtroppo, tutt’altro che rari: “Prontissimi sempre tutti i carabinieri, ma forse dovevamo fare noi tutti di più, anche protestando per le leggi balorde di questo Paese, per la disattenzione finale…”

A lasciare interdetti, infatti, è la decisione del giudice di non convalidare l’arresto di Antonino Sciuto, dopo la denuncia di Vanessa, che quel giorno era stata accompagnata proprio dal padre dai Carabinieri, nonostante il racconto della ragazza, che aveva spiegato di essere perseguitata dall’ex, di averlo sorpreso nascosto nel sottotetto di casa, e persino di essere controllata con un Gps.

Quando dopo botte e parolacce mia figlia l’ha mollato, quando io gli ho tolto le chiavi di casa, ha cominciato ad appostarsi per ore sotto le finestre o davanti al panificio dove Vanessa lavorava – racconta oggi Zappalà – Dopo la frattura di dicembre, dopo un inverno passato da Vanessa prigioniera in casa per paura di incontrarlo, dopo mille minacce, abbiamo dovuto mettere nero su bianco. Perché abbiamo scoperto che con un duplicato delle chiavi la sera si intrufolava nel sottotetto di casa mia, una sorta di ripostiglio, e dalla canna del camino ascoltava le nostre chiacchiere.

La persecuzione, però, non si è arrestata; Sciuto ha continuato a tenere d’occhio la ex

Con una diavoleria elettronica. Con dei Gps, delle scatolette nere piazzate sotto la macchina di Vanessa e sotto la mia. Come hanno scoperto i carabinieri quando finalmente, chiamati da mia figlia, lo hanno arrestato.

Peccato però che quell’arresto, come detto, non sia stato convalidato, ma sia stato tramutato in arresti domiciliari; inutili, visto che tre giorni dopo Vanessa e il padre si sono ritrovati di nuovo l’uomo a pochi passi da loro, stavolta con un nuovo provvedimento, un divieto di avvicinamento entro i 200 metri, motivato dal giudice in quanto “si può fare affidamento sullo spontaneo rispetto delle prescrizioni da parte dell’indagato (non gravato da precedenti penali recenti e specifici)”. Ed è qui che monta la rabbia di Carmelo.

È questa l’Italia che vogliamo? Davvero pensano che da 200 metri non si possa fare male? Oppure che un pazzo come questo non possa armarsi e sparare da tre metri? Se lo consideravano malato dovevano rinchiuderlo in una comunità e curarlo. Non lasciarlo praticamente libero di fare tutto.

Attualmente, nel Codice Penale, il reato di stalking è regolato dall’articolo 612-bis, e prevede la reclusione da 6 mesi a 4 anni, con delle possibili aggravanti, ad esempio qualora

Il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

L’eventuale procedimento può essere istituito a querela della persona offesa, che può essere presentata entro sei mesi dal momento in cui l’atteggiamento persecutorio infici in maniera considerevole la vita della vittima. Le misure attuabili a tutela della persona offesa sono appunto il divieto di avvicinamento, sancito dall’articolo 282-ter del Codice Penale, o l’ammonimento del questore, previsto dall’articolo 8 del Decreto Legge numero 11 del 2009, da considerarsi una tutela di forma amministrativa da prendere, ad esempio, nel caso in cui il procedimento penale non sia ancora iniziato.

Misure che, tuttavia, sembrano talvolta piuttosto “leggere” rispetto alla reale gravità della situazione, come i casi citati purtroppo dimostrano.

Va inoltre detto che recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno sottolineato come, per essere ritenuta idonea l’istruzione di un procedimento per stalking, non sia necessario accertare uno stato patologico nella vittima, ma solo un cambiamento nel suo modo di vivere generato dall’ansia e dalla paura. Secondo la sentenza n. 16864/2011 della Cassazione è sufficiente che gli atti persecutori “abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima”, mentre una sentenza più recente, la n. 14462/2017, ha stabilito che, per poter essere giudicato tale, e quindi essere rilevante sotto il profilo penale, lo stalking deve cagionare nella vittima conseguenze psicologiche almeno riconducibili a uno stato di ansia.

Anche per questo, in virtù di quanto stabilito dalla giurisprudenza, è difficilmente comprensibile la scelta dei giudici di non convalidare l’arresto di Sciuto, che come detto è stato ritrovato impiccato in un casolare di proprietà dello zio nelle campagne di Trecastagni, poche ore dopo aver massacrato Vanessa.

Ed è proprio per questo che, in un’altra intervista per Repubblica, Carmelo Zappalà parla di una “sconfitta per lo Stato”

Questa è una strage senza fine. Ma quel che mi addolora di più è che tutto questo si sarebbe potuto evitare se lo avessero arrestato dopo la denuncia di Vanessa. Perché quel giudice non ha convalidato l’arresto, come chiedeva la procura di Catania?

Quante volte dovremo ascoltare, o farci ancora, questa domanda?

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