Ogni giorno che passa sappiamo sempre di più riguardo il coronavirus, nonostante nel corso di questi mesi alcune notizie siano state smentite e altre confermate. Poche ore fa uno studio scientifico ha confermato che la carenza di vitamina D è una caratteristica comune delle vittime e degli ammalati di coronavirus.

È stata la rivista Aging Clinical and Experimental Research a confermare quello che avevano già anticipato molti studiosi. Inizialmente erano stati due docenti universitari italiani, Giancarlo Isaia ed Enzo Medio, a evidenziare come molti ricoverati per COVID soffrissero di ipovitaminosi D.

I due professori dell’Università di Torino erano stati criticati perché non c’era alcuna conferma scientifica in tal senso e perché le loro dichiarazioni avrebbero potuto spingere molti ad assumere vitamina D in eccesso.

Oggi è arrivata la conferma: chi assume le giuste quantità di vitamina D ha meno possibilità di contagiarsi o quantomeno di subire danni severi dall’infezione da COVID-19.

Lo studio scientifico che conferma quanto affermato mesi fa dai due studiosi italiani è opera di ricercatori inglesi della Anglia Ruskin University di Cambridge e del Queen Elizabeth Hospital di Londra.

In estremi sintesi hanno concluso che c’è una “significativa coincidenza” tra bassi livelli di vitamina D e casi di COVID-19, in particolar modo quelli di mortalità.
La vitamina D viene prodotta dalla pelle quando si è esposti al sole almeno un’ora al giorno. Sotto forma di cibo, invece, è contenuta in molti pesci (salmone, sgombro, sardine) ma anche in prodotti caseari (latte intero, brutto, formaggi grassi) e in altri alimenti come uova, verdure verdi e funghi.

In Spagna e in Italia, è cosa nota, ci sono state più vittime rispetto al resto d’Europa. E non è un caso che, in media, gli spagnoli e gli italiani abbiano livelli di vitamina D più bassi rispetto ai cittadini di altri stati del Vecchio Continente. Nei paesi scandinavi, ad esempio, la media è molto più alta e la pandemia ha causato meno vittime.

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