Il giorno in cui il mondo capì che l’AIDS colpisce tutti, non solo i gay

Negli anni l'AIDS ha smesso di essere quel mostro ignoto, ma fa ancora paura. Per questo, e per capire come affrontarla al meglio, è stato importante, negli anni, capire diverse cose sul virus: ad esempio che non si trasmette solo nei rapporti omosessuali.

Il 27 luglio è una data molto importante, perché a Washington, nel 1982, durante una riunione tra i rappresentanti del governo, dei Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta e gli esponenti del movimento omosessuale, si decide di adottare la definizione di “sindrome da immunodeficienza acquisita” (Acquired Immune Deficiency Syndrome) e quindi il suo acronimo AIDS, al posto di quello fino ad allora vigente, ovvero GRID, che stava a indicare Gay-Related Immune Deficiency.

La decisione ebbe, ovviamente, portata storica, perché per la prima volta si affermava la non esistenza di una correlazione tra l’omosessualità e la sindrome.

Un po’ di storia

L’esistenza della sindrome è stata riportata per la prima volta in letteratura nel 1981, benché fin dagli anni ’70 casi isolati di AIDS fossero stati riportati in alcune zone ad Haiti, Africa ed Europa.

Alla fine del 1980 è il ricercatore dell’università della California Michael Gottlieb che, analizzando le cartelle cliniche dei ricoverati in ospedale, scopre un raro tipo di polmonite dovuta a Pneumocystis carinii, un protozoo che generalmente colpisce solo pazienti con un sistema immunitario indebolito, in alcuni pazienti omosessuali, e solo un anno più tardi i Centers for Disease Control and Prevention segnalano sul Morbidity and Mortality Weekly Report (Mmwr), il loro bollettino epidemiologico, un improvviso e inspiegabile aumento di casi di Pneumocystis carinii in giovani omosessuali; poi vengono segnalati altri pazienti che soffrono di un raro tumore dei vasi sanguigni, il sarcoma di Kaposi.

All’epoca non sono ancora chiare le modalità di trasmissione e di contagio, ma si fanno strada le prime ipotesi sulle cause di questa nuova sindrome, fra cui l’infezione da Cytomegalovirus (Cmv), l’uso di droghe, e nel contempo prende piede l’idea che il virus colpisca solo gli omosessuali, tanto che anche l’opinione pubblica se ne convince. Basti pensare al titolo di un pezzo del New York Times dell’epoca, “Raro cancro osservato in 41 omosessuali“.

Mentre la malattia non ha ancora un nome, le convinzioni sulla sua diffusione solo nel mondo gay cominciano a crollare, quando viene registrato il primo caso europeo, in Inghilterra, nonostante qualcuno, sui media, continui a usare espressioni come “gay compromise sindrome”, “cancro dei gay” e, appunto, GRID. Nel luglio del 1982 vengono registrati i primi casi tra gli emofiliaci, che sono portatori di un difetto ereditario nel processo di coagulazione del sangue, e pertanto obbligati a sottoporsi spesso a trasfusioni. Si arriva quindi alla proposta di dare alla malattia il nome di “sindrome da immuno-deficenza acquisita”, per indicarne l’origine non ereditaria e la sua trasmissione, per cause comunque ancora ignote.

Purtroppo nel 1982 si registrano anche la prima morte di un bimbo emofiliaco, a seguito di una trasfusione infetta, e il primo caso di trasmissione materno-fetale, imponendo quindi di considerarla come una sindrome capace di trasmettersi fra chiunque, e non solo fra gli omosessuali.

Nel 1986, infine, un comitato internazionale individua il virus responsabile che prende il nome di Hiv, ovvero Virus dell’immunodeficienza umana.

I vip colpiti dall’AIDS

Il primo personaggio famoso a morire per avere contratto il virus Hiv è stato l’attore Rock Hudson che, benché segretamente omosessuale, agli occhi dell’opinione pubblica americana incarnava l’esempio massimo di virilità, l’uomo bianco, etero, e repubblicano. Nel 1990 ogni possibile dubbio circa la trasmissione tra non omosessuali venne spazzato via sia dall’ammissione del cestista Magic Johnson di aver contratto l’infezione, sia per la morte del piccolo Ryan White, che aveva passato molto tempo in televisione proprio per sensibilizzare sugli aspetti ancora sconosciuti della malattia.

Dopo la sua scomparsa, il Congresso degli Stati Uniti proclamò il Ryan White Care Act, un grande programma finanziato a livello federale, fondamentale per contrastare l’AIDS.

Il 24 novembre 1991 scompare il cantante Freddie Mercury, a seguito di una patologia correlata all’AIDS, annunciata solo il giorno prima.

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Anche il ballerino Rudolf Nureyev morì di AIDS, nel 1993; la cantante Ofra Haza sarebbe stata infettata dal virus con una trasfusione di sangue, dopo un aborto spontaneo, ed è morta nel 2000. La stessa sorte è toccata allo scrittore di fantascienza Isaac Asimov, scomparso nel 1992.

Fra i vip che più recentemente hanno ammesso di essere sieropositivi figura invece l’attore Charlie Sheen.

L’AIDS colpisce di più gli omosessuali?

Benché negli anni, fortunatamente, si siano fatti passi avanti per tenere sotto controllo l’AIDS e permettere ai sieropositivi di vivere una vita il più normale possibile, secondo il rapporto Miles to Go dell’UNAIDS, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di AIDS, riferito al 2018, gli omosessuali, con prostitute, tossicodipendenti e persone transgender, hanno ancora un rischio 28 volte maggiore di contrarre il virus.

Anche i dati italiani confermano che solo nel 2019 la quota di nuove diagnosi HIV attribuibili a MSM (Men who have sex with men) è pari a quella dei rapporti eterosessuali; la stragrande maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile a rapporti sessuali non protetti – 84,5% del totale, eterosessuali 42,3% e MSM 42,2% -.

Negli anni precedenti nel nostro Paese è stata quella fra etero la trasmissione più frequente del virus.

In particolare, negli ultimi anni i più colpiti sono risultati essere i giovani nella fascia di età compresa tra i 15 e i 29 anni, con 15,6 nuovi casi ogni 100 mila nel 2016. Ciò significa che quasi l’86% delle nuove diagnosi di Hiv dipende da una trasmissione per via sessuale, ed è per questo che è importantissimo educare al sesso protetto soprattutto i più giovani, incentivandoli in particolare all’uso del preservativo, che garantisce una protezione adeguata dalle malattie sessualmente trasmissibili.

Inoltre, se tutt* facessimo il test, che può essere effettuato in autonomia, senza ricetta medica,  acquistandolo in farmacia, probabilmente si riuscirebbe davvero a debellare definitivamente il virus nel giro di una sola generazione. Questo test, denominato Oralquik, permette di rilevare dalla saliva la presenza di Hiv, e in caso di positività si deve fare un nuovo testi, ELISA di quarta generazione, da effettuare sia in un laboratorio privato che di sanità pubblica, dietro il pagamento di un ticket.

In ogni azienda sanitaria pubblica, comunque, c’è almeno un centro in cui effettuare il test Hiv in maniera anonima e gratuita, all’interno di un percorso di counselling sanitario. Se non si è mai fatto un test nella propria vita è altamente consigliabile farlo.

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