Arrestato l'assassino di Valentina Tarallo uccisa a sprangate 7 anni fa a Ginevra

La 28enne era stata colpita più volte nel quartiere dell'ospedale universitario dove lavorava: determinanti per riuscire a risalire all'identità dell'uomo le impronte digitali lasciate sull'arma del delitto.

A distanza di sette anni sembra essere arrivata la svolta nelle indagini per l’omicidio di Valentina Tarallo. La 28enne, originaria di Orta Nova, viveva a La Loggia, comune metropolitano di Torino e, dopo essersi laureata in Biotecnologie, si era trasferita a Ginevra, dove lavorava come ricercatrice; Proprio in Svizzera è stata uccisa a sprangate l’11 aprile del 2016.

Le autorità elvetiche sono ora riuscite, dopo una lunga inchiesta, ad arrestare il presunto assassino, un 43enne da sempre ritenuto il principale sospettato, che è stato rintracciato e fermato alla periferia di Dakar, in Senegal. Si tratta di Djiby Ba, che in passato aveva avuto una relazione con la ragazza, che lei avrebbe interrotto a causa della sua eccessiva gelosia, secondo quanto avrebbe rivelato la giovane ad alcuni amici.

Poco dopo il delitto l’uomo era riuscito a scappare, ma fino ad ora era riuscito a farla franca, nonostante le forze dell’ordine fossero sulle sue tracce, utilizzando diverse identità. A spingere Ba al femminicidio ci sarebbe stata la sua incapacità di accettare la fine della storia, voluta da Tarallo; lui avrebbe atteso la ragazza sotto la sua abitazione in Avenue de la Croisette, a poca distanza dall’ospedale dove lavorava, ed è qui che l’avrebbe colpita senza pietà e a più riprese con una spranga che aveva portato con sé. Alcune telecamere di sicurezza che si trovavano nella zona avevano ripreso la sua successiva fuga a bordo di un bus.

Già nel 2020 gli ispettori elvetici, come riportato da 20min.ch, si erano recati a Dakar con la convinzione che il responsabile dell’omicidio vivesse lì e avevano avuto la conferma dei loro sospetti. Il Covid aveva però contribuito a rallentare le ricerche, poi riprese solo a marzo 2023. Le impronte digitali sull’arma utilizzata per colpire la vittima si sono rivelate determinanti per la sua identificazione.

Sulla base di quanto emerso grazie al lavoro degli inquirenti, il senegalese ha vissuto per un periodo anche in Italia, dove si è sposato, ma la consorte lo aveva denunciato per maltrattamenti. Nel 2014, in seguito a un decreto di espulsione dal nostro Paese, si era trasferito in Svizzera ed è qui che ha conosciuto la vittima, che aveva trovato lavoro nell’ospedale universitario, dove portava avanti una ricerca per individuare una cura per le malattie rare.

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