Avetrana contro Disney per la serie sul caso Sarah Scazzi. Quando il true crime supera il limite?

È scontro tra il comune di Avetrana e Disney+ per la serie tv che racconta l'omicidio di Sarah Scazzi, che sarebbe dovuta uscire il 25 ottobre, ma è stata bloccata dal Tribunale.

La serie tv Avetrana. Qui non è Hollywood di Disney+ è una serie drammatica diretta da Pippo Mezzapesa e prodotta dalla casa di produzione Groenlandia e Disney, che esplora il caso di cronaca nera che ha colpito il piccolo comune di Avetrana, nel 2010, ovvero l’omicidio di Sarah Scazzi.

Dopo l’anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma, la serie sarebbe dovuta uscire sulla piattaforma streaming di Disney oggi, 25 ottobre, ma il Tribunale di Taranto ne ha bloccato la pubblicazione, emettendo un provvedimento di sospensione.

Il provvedimento è nato in seguito al ricorso d’urgenza di Antonio Iazzi, sindaco di Avetrana, per il quale la serie tv sarebbe diffamatoria.

“Risulta indispensabile visionarla in anteprima – ha scritto il sindaco – al fine di appurare se l’associazione del nome della cittadina all’adattamento cinematografico susciti una portata diffamatoria rappresentandola quale comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà”.

La comunità di Avetrana, scrive ancora il sindaco, “ha da sempre cercato di allontanare da sé i tanti pregiudizi dettati dall’omicidio, dal momento che la tragedia destò sgomento nella collettività, interessata da una imponente risonanza mediatica, che stimolò l’ente a costituirsi parte civile nel processo penale a carico di Misseri Michele” e degli altri imputati.

“La messa in onda del prodotto cinematografico – si legge ancora – rischia invece di determinare – prescindendo anche dal contenuto che al momento si ignora – un ulteriore attentato ai diritti della personalità dell’ente comunale, accentuando il pregiudizio che il titolo già lascia presagire nel catapultare l’attenzione dell’utente sul territorio più che sul caso di cronaca”.

È quindi importante sottolineare che il provvedimento nasce da un timore legato al titolo e non al contenuto della serie, che il sindaco non ha visto.

La decisione del Tribunale non è piaciuta ai produttori, che in una nota hanno infatti fatto sapere che ”Groenlandia e Disney […] non concordano con la decisione del Tribunale e faranno valere le proprie ragioni nelle sedi competenti”.

È censura?

Sulla decisione senza precedenti del Tribunale si sono espressi anche Chiara Sbarigia, Presidente di APA (Associazione Produttori Audiovisivi) e Benedetto Habib, Presidente dell’Unione Produttori di ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali).

“Il blocco preventivo della serie, ancora inedita, appare come una grave lesione di quel principio di libertà di espressione chiaramente tutelato anche a livello costituzionale e che deve essere garantito al racconto audiovisivo italiano – dice Sbarigia– Guardate le nostre serie, giudicatele, ma non chiedetegli di non esistere solo perché raccontano la realtà.

E aggiunge Habib: “Obbligare le opere audiovisive a non fare riferimenti alla cronaca e alla realtà è un pericoloso precedente. I titoli basati su fatti realmente accaduti sono una costante della storia del cinema, indipendentemente dalle opinioni del pubblico o dei protagonisti sui fatti trattati, se si mantiene il rispetto verso le comunità coinvolte: esplorare la realtà aiuta a esercitare il senso critico dello spettatore. La libertà di espressione nel nostro paese è garantita dalla Costituzione, e la comunità dei produttori non vuole svegliarsi in un mondo dove questa libertà non è più agibile”.

Come dimostrano queste dichiarazioni, l’iniziativa censoria preventiva su un contenuto che nemmeno colui che ha fatto ricorso ha ancora visionato, ha allarmato non solo i produttori della serie ma tutti coloro che si preoccupano per la libertà di espressione del mezzo audiovisivo.

Per quanto i timori del sindaco Iazzi possano essere legittimi, è chiaro perché si parli di un pericoloso precedente. Ottenere l’approvazione di tutte le parti coinvolte per avere il permesso di raccontare una storia sarebbe chiaramente un grosso ostacolo alla libertà di espressione.

Le criticità del true-crime.

Il caso giudiziario apre però le porte per un altro tipo di riflessione: se infatti la libertà di espressione dovrebbe garantire la possibilità di raccontare qualsiasi storia, quando si tratta di casi di cronaca, forse servirebbe qualche accortezza in più.

La passione per il true crime negli ultimi anni è esplosa. Si perde il conto di tutti i contenuti che raccontano casi di cronaca nera e rimanendo nel campo seriale, solo negli ultimi mesi sono usciti per esempio Per Elisa – Il caso Claps, MONSTERS: La storia di Lyle ed Erik Menendez, Vatican Girl, Il delitto della Sapienza e ll caso Yara- Oltre ogni ragionevole dubbio.

Quest’ultimo caso, in particolare, dimostra come non sia la natura fiction della serie a costituire il cuore del dilemma, in quanto non è necessario avere attori che mettono in scena vere tragedie per sollevare dubbi sull’imparzialità e correttezza della narrazione. La docu-serie su Yara Gambirasio (o meglio, su Massimo Bossetti) ha infatti sollevato diverse critiche in tal senso.

L’essere umano è da sempre attratto dalle storie dell’orrore, specialmente se si tratta di orrore vero. Che sia per una funzione catartica o semplice voyerismo, è impossibile tenere lontano gli spettatori da questo genere di “contenuti”. E i produttori lo sanno bene.
Sempre più spesso i “contenuti” sono però storie di crimini recenti, forse troppo recenti, che hanno ancora forti echi nella nostra società e non si può non prendere in considerazione l’effetto che queste storie potrebbero avere sulle persone che sono state toccate da quelle tragedie.

Il regista Pippo Mezzapesa sembra infatti pensarla così: “Credo che il limite di un autore debba essere comunque sempre il pieno rispetto delle storie che si vanno a raccontare e delle persone, perché in questi casi non si parla di personaggi ma delle persone, con cui si va a ‘vivere’, che si vanno ad esplorare”.

“Non dateci però il compito di cambiare il mondo – ha aggiunto però il produttore della serie Matteo Rovere in occasione della Festa del cinema di Roma -, non credo che la serialità e il cinema abbiano questo ruolo, ma abbiamo quello di interrogarci sul presente, sull’esistente e avere il coraggio di parlarne. Spesso e volentieri quando le cose arrivano da lontano ci rassicurano perché sembrano non appartenerci, mentre quando sono più vicine si sente una complessità in più. Tuttavia una cinematografica contemporanea deve superare queste paure“.

Dove sta quindi il limite tra il riconoscere e gestire con rispetto queste complessità che spaventano e invece fregarsene delle complessità, in nome di un facile guadagno?

La domanda resta aperta, ma dato che il successo del true crime non sembra volersi arrestare, sarebbe opportuno tenerla sempre bene in testa, anche in quanto spettatori.

Per l’omicisio di Sarah Scazzi sono state condannate all’ergastolo per concorso in omicidio volontario aggravato dalla premeditazione Sabrina Misseri e Cosima Serrano, rispettivamente cugina e zia della vittima; a 8 anni di reclusione Michele Misseri, padre di Sabrina e marito di Cosima, per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove; a 4 anni Carmine Misseri, fratello di Michele, per concorso in occultamento di cadavere. Sarah Scazzi aveva solo 15 anni.

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