"La perdita dell'anima": le ultime parole di Avicii prima del suicidio
Avicii è scomparso nel 2018; in un libro e in un documentario a lui dedicato si leggono tutta la sofferenza e i tormenti del giovane dj svedese morto suicida in Oman.
Avicii è scomparso nel 2018; in un libro e in un documentario a lui dedicato si leggono tutta la sofferenza e i tormenti del giovane dj svedese morto suicida in Oman.
Tutta la sofferenza e il malessere di Avicii, il dj scomparso nel 2018, traspaiono dalle parole del suo diario, riportate dall’autore Måns Mosesson, che nel gennaio del 2022 ha pubblicato il libro Tim – The official biography of Avicii, raccogliendo le testimonianze di genitori, amici ed ex fidanzate del dj morto suicida in Oman nel 2018.
Dipendente dall’alcol e dagli antidolorifici, Avicii nelle pagine del diario scriveva cose come questa, dopo il ricovero in ospedale:
Quei giorni in ospedale sono stati quelli in cui mi sono sentito più libero dall’ansia e dallo stress negli ultimi sei anni. Queste sono le mie vere vacanze, anche se suona deprimente. Il sollievo di passare dal dolore estremo al nulla, sapendo che nessuno si aspetta da te nient’altro se non che tu ti prenda il tempo di guarire. È stato un enorme sollievo considerando la folle mole di impegni che ho avuto fino a quel punto. Doveva essermi spiegato in modo logico e chiaro, in modo che io capissi quanto male mi stesse facendo. Ahi, dolore. Perché mi fa male adesso? Ho una sensazione di disagio. Il futuro Tim affronterà il dolore meglio del Tim presente, perché c’è già troppo dolore presente più urgente da affrontare.
Ma in lui si avvertiva, fortissimo, anche il timore di non farcela, di non riuscire ad abbandonare i suoi demoni.
Ho fatto fatica ad accettare l’idea di non bere più, sebbene tutti i dottori mi avessero fortemente consigliato di aspettare almeno un anno prima di bere una birra – scriveva poco prima di morire – Ma io non ho di certo ascoltato la maggioranza dei dottori, ma solo quei due che mi hanno detto che l’importante era che stessi attento. Sono stato ignorante e ingenuo. Ero impegnato in un giro del mondo senza fine. Perché quando hai girato il mondo una volta, indovina un po’? Ricominci da capo.
Il giorno prima di suicidarsi con i cocci di una bottiglia di vetro nella sua camera d’albergo in Oman, infine, Avicii ha lasciato questa frase sul suo diario:
La perdita dell’anima è l’ultimo legame prima di ricominciare.
Nel 2020 è stato dato l’annuncio dell’apertura di un museo in suo nome, l’Avicii Experience, che ha aperto i battenti a Stoccolma, sua città natale, con lo scopo di portare il pubblico a contatto con l’artista, ma soprattutto con Tim Bergling (il vero nome di Avicii), seguendo il suo viaggio da giovane appassionato di musica a dj famoso in tutto il mondo.
Parte dei ricavi di Avicii Experience sono destinati alla Fondazione Tim Bergling, che supporta l’importanza del riconoscimento del suicidio come emergenza sanitaria globale e promuove la rimozione dello stigma legato ai problemi di salute mentale. La morte di Avicii, del resto, è frutto proprio di uno stato di malessere e di profondo disagio interiore di cui racconta anche il documentario Avicii: True Stories, di cui abbiamo parlato nell’articolo originale.
Avicii è morto il 20 aprile del 2018, mentre si trovava in un resort di lusso a Muscat, in Oman.
A lui e alla sua tragica parabola è stato dedicato anche un documentario, Avicii: True Stories, girato da Levan Tsikurishvili, regista e amico del dj, distribuito in tutto il mondo il 26 ottobre 2017 e arrivato su Netflix il 31 marzo 2018, rimosso però dalla piattaforma di streaming sia in Gran Bretagna che in Italia.
Mi ucciderà.
Diceva Avicii parlando di quella vita frenetica fra voli, tournée, interviste.
Il regista, a proposito della sua tragica fine del dj, dichiarò al Guardian:
Ho questa sensazione di irrealtà. Sono ancora sotto shock. Non riesco a spiegarmelo.
In realtà, a un occhio critico – e naturalmente disponendo del senno di poi – il suo film offre un numero sorprendente di indizi su quello che era lo stato d’animo di Tim. Nelle riprese infatti il dj ripete spesso quanto è stanco, ansioso e malato. “Non c’è mai stata fine agli spettacoli, anche quando ho colpito un muro. La mia vita è tutta sotto stress”.
Anche alcuni amici, nel documentario, denunciano i cambiamenti di Avicii, definendolo “un guscio di quello che era”, o “una bomba a orologeria”.
Anche se il momento topico, nel documentario, si raggiunge quando Avicii, chiedendo chiaramente di continuare a riprendere, dice : “Mi ucciderà”. Il riferimento è proprio a quello stile di vita troppo esasperato e frenetico.
Insomma, il sospetto che potesse scoppiare, prima o poi, c’era, ma naturalmente parlare adesso, conoscendo la fine del ragazzo, è facile.
Anche perché Avicii in effetti aveva fatto qualcosa a riguardo, come quando sul finire del 2016 ha licenziato il suo manager e ha deciso di ritirarsi. Quello, nel documentario, è il lieto fine, che culmina con la scena di un abbronzato Avicii su una spiaggia tranquilla in Madagascar, intento a progettare un futuro meno stressante, limitato a produrre solo musica in studio.
Tsikurishvili, adesso, ha però dovuto ammettere che quel finale ora sembra incredibilmente falso. Forse anche per questo è stato accolto tiepidamente nei cinema scandinavi e in alcuni teatri statunitensi; in fondo, a chi importa della vita magnifica di un dj che decide di ritirarsi per troppo stress? Poi, però, solo sei mesi dopo il primo rilascio del docufilm, l’inatteso epilogo.
In realtà, Tsikurishvili ha anche risposto a chi ha lamentato di non aver trovato il “finale vero” all’interno del film, e che quindi le riprese fossero state opportunamente tagliate per evitare di arrivare fino al suicidio del dj; l’amico regista ha spiegato che il film non avrebbe mai dovuto avere una versione più ampia. “Quello che è successo è che le persone hanno provato a guardare il film negli Stati Uniti e nel Regno Unito e non sono riusciti a trovare la fine che sapevano, la morte di Avicii. Quindi, hanno iniziato a dire che la storia era stata tagliata. ”
Tsikurishvili stesso adesso ammette di vedere il film “in un modo molto diverso. Guardandolo, ho sentito tutto quello che si può immaginare. È stata un’esperienza molto emozionante.”
Il regista ha incontrato per la prima volta Tim Bergling sei anni fa a cena nella loro città natale, Stoccolma. Il dj ha chiesto al regista di dirigere un documentario su un progetto di beneficenza da lui avviato, grazie a cui è stato donato un milione di dollari da destinare ai programma contro la fame, in Africa; nel film, Avicii ha ripercorso gran parte della sua vita, dai suoi vent’anni, quando dall’essere ospitato a casa di amici e dal dormire sui loro divani si è trovato a essere improvvisamente una stella della dance, fino all’incontro con il suo manager all’epoca, Ash Pournouri.
Poi i primi problemi, venuti a galla fin dal 2012, gli undici giorni di ricovero in ospedale a New York a causa di una pancreatite acuta, causata da abuso di alcool, l’intervento in Australia nel 2014 per rimuovere la sua appendice e la cistifellea, dopo un altro attacco della malattia. Nel film, Avicii parla del perché ha cominciato a bere. “Se non lo faccio divento sempre più nervoso prima degli spettacoli”.
All’abuso di alcol di Avicii si è aggiunta poi la dipendenza da oppiacei come il Percocet o il Gabapentin, prescritti dai medici, e l’incapacità di seguire i suoi affari, tutti affidati al manager.
Non ho avuto il tempo di pensare a quello che volevo davvero fare – dice – Ho solo seguito il flusso. Stavo correndo dietro una felicità ideale che non era la mia.
Ed è lo stesso manager, nel film, ad ammettere che “Tim sta per morire, con tutte le interviste, i tour radiofonici e il gioco. Cadrà morto”. Pournouri, peraltro, ha rifiutato un’intervista con il Guardian per parlare del documentario.
Al di là dei ritmi di vita stressanti, sembra che Avicii abbia sofferto di una sorta di ansia sociale, che è stata notevolmente esacerbata dal successo. “Non penso che sapesse cosa ci vuole per avere successo come lo ha avuto lui – ha spiegato l’amico regista – Non è mai stato a suo agio al centro dell’attenzione. Ha sentito che la celebrità è qualcosa che gli esseri umani hanno inventato. Non è niente di reale.”
Sul perché Avicii abbia voluto fortemente questo documentario, si possono solo fare congetture, come lo stesso Tsikurishvili spiega: “Tutti noi, in un modo o nell’altro, vogliamo condividere le nostre storie su chi siamo e da dove veniamo. Tim era una persona così onesta. Era così onesto con se stesso”.
L’ultima cosa che gli ha detto Avicii, quando si sono incontrati nel dicembre 2017, ha poi rivelato, è che pensava che il film fosse grandioso.
Forse non immaginava che le sue parole sarebbero state profetiche, o forse sì; di certo, il documentario sulla sua vita getta una luce nuova, e diversa, sui demoni di un ragazzo forse fin troppo semplice per gestire onori e oneri del successo.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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