ll braccialetto elettronico serve davvero per salvare le donne?
Il recente femminicidio di Roua Nabi porta a interrogarci ancora sulla reale efficacia del braccialetto elettronico come mezzo per evitare le violenze di genere.
Il recente femminicidio di Roua Nabi porta a interrogarci ancora sulla reale efficacia del braccialetto elettronico come mezzo per evitare le violenze di genere.
A seguito del recente femminicidio di Roua Nabi, il tema della violenza di genere e dei femminicidi sta sollevando domande sulla reale efficacia delle misure di protezione adottate per le vittime, tra cui l’uso del braccialetto elettronico.
Quello di Nabi non è infatti un caso isolato: altri episodi hanno sollevato i dubbi sull’efficacia dei deterrenti tecnologici contro le violenze di genere.
Roua Nabi, 34 anni, è stata uccisa il 24 settembre 2024 a Torino dal suo ex marito, Ben Alaya Abdelkader, davanti ai figli.
La donna aveva denunciato l’uomo per maltrattamenti già a giugno dello stesso anno, dopo che lui l’aveva aggredita strappandole anche il permesso di soggiorno. A seguito della denuncia, Abdelkader era stato posto agli arresti domiciliari con l’obbligo di indossare un braccialetto elettronico. Tuttavia, ad agosto, il tribunale aveva deciso di revocare gli arresti domiciliari, ritenendo sufficiente il divieto di avvicinamento a 500 metri, sempre controllato dal braccialetto elettronico.
L’uomo ha però violato le restrizioni (più volte, sembrerebbe) senza che il braccialetto elettronico lanciasse alcun allarme, rendendo ancora più evidente il fallimento del sistema di monitoraggio.
Meno di un anno prima, un altro femminicidio si è compiuto senza che il braccialetto elettronico riuscisse a impedirlo. Si tratta di quello di Concetta Marruocco, avvenuto a Cerreto d’Esi, nelle Marche, nell’ottobre 2023.
Dopo venti anni di violenze da parte del marito, la donna l’aveva denunciato. Anche in questo caso, era stato disposto il divieto di avvicinamento a meno di 200 metri e l’obbligo per l’uomo di indossare un braccialetto elettronico, ma quando il divieto è stato violato, solo uno dei due dispositivi di allarme (quello posseduto dalla figlia di Marruocco) ha suonato. L’uomo ha aggredito e ucciso la donna con quindici coltellate.
Anche se entrambi i dispositivi avessero funzionato, è probabile che il raggio di 200 metri non sarebbe stato sufficiente a evitare il femminicidio.
Il Codice Rosso, introdotto con la legge n. 69 del 19 luglio 2019, ha rappresentato un passo significativo nella lotta alla violenza di genere. La normativa impone una trattazione urgente dei casi di violenza, prevedendo l’applicazione di misure cautelari tempestive, tra cui appunto anche l’obbligo del braccialetto elettronico per l’aggressore.
Tuttavia, se da un lato questa norma ha accelerato le procedure di intervento, dall’altro ha evidenziato delle lacune nella valutazione del rischio.
In molti casi, come quelli di Roua Nabi e Concetta Marruocco, è normale chiedersi se il braccialetto sia stato applicato con una corretta analisi dei comportamenti dell’aggressore e del contesto in cui la vittima si trovava.
L’approccio standardizzato, in cui la misura del braccialetto elettronico viene applicata quasi automaticamente, ma a volte con limiti di avvicinamento che mal si combinano con una reale ed efficace possibile reazione delle forze dell’ordine, è davvero il modo corretto per salvaguardare le donne?
Un altro elemento che spesso viene sottovalutato è che vivere sotto la minaccia costante di un ex partner violento, nonostante la protezione apparente offerta dal braccialetto elettronico, rappresenta una condizione di perenne tensione per le vittime.
Il dispositivo, che dovrebbe garantire una forma di sicurezza, spesso si rivela un’ulteriore fonte di ansia. La donna infatti è costretta a portare con sé un apparecchio che emette un segnale di allarme se l’aggressore si avvicina oltre il limite stabilito. Ciò significa che la sua vita è regolata dal suono di un allarme che potrebbe scattare in qualsiasi momento, senza avere, evidentemente, la sicurezza che tutto ciò comporti anche la salvezza.
Questo crea una sorta di prigione psicologica per la vittima, che deve costantemente tenere sotto controllo la sua posizione rispetto a quella dell’aggressore, alimentando una sensazione di vulnerabilità costante.
Il braccialetto elettronico è pensato come una misura che funga anche da deterrente per dissuadere l’aggressore dal violare le misure restrittive.
Come riporta il Sole24ore, nella legge di bilancio del 2024, il governo, a differenza della linea adottata per il 2023, quando aveva operato grossi tagli ai finanziamenti per contrastare la violenza di genere, ha disposto un pacchetto di 135 milioni per i prossimi tre anni, distribuiti in questo modo:
Sembra dunque che un tentativo verso una prevenzione che non punti solo sui deterrenti si stia cominciando a fare, anche se sarebbe sempre meglio evitare di formare uomini violenti piuttosto che cercare di riabilitarli dopo che lo sono diventati, ma questo governo in particolare si è sempre dimostrato restio nei confronti di un’educazione che miri a smantellare i concetti patriarcali alla base delle violenze di genere.
Per esempio, proprio mercoledì 18 settembre, il governo ha dato parere favorevole all’ordine del giorno al disegno di legge Sicurezza, presentato dal deputato leghista Igor Iezzi, che lo impegna a valutare l’istituzione di un tavolo tecnico sulla possibilità di sottoporre i condannati per violenza sessuale a trattamenti farmacologici e psichiatrici volontari, ovvero la cosiddetta “castrazione chimica”.
Questo a dispetto del fatto che non ci sia un parere favorevole da parte della comunità scientifica riguardo l’efficacia di questo trattamento nell’evitare reati di violenza sessuale, spesso molto più legati a dinamiche di potere piuttosto che alla libido.
In egual modo si invoca spesso la pena di morte di fronte a reati gravi, nonostante anche in questo caso molti studi abbiano dimostrato che non è un deterrente efficace per evitarli. Ne abbiamo parlato qui:
Gli episodi di Roua Nabi e Concetta Marruocco ci portano quindi a chiederci ancora se come società continuiamo a porre troppa fiducia nei deterrenti, nonostante l’evidenza dei fatti.
I braccialetti elettronici possono essere facilmente violati, sia a causa di malfunzionamenti tecnici sia per la determinazione dell’aggressore a ignorare il divieto. Inoltre, il braccialetto, da solo, non può garantire la sicurezza delle donne se non è supportato da un sistema integrato di protezione che includa un’adeguata valutazione del rischio, un monitoraggio costante e interventi tempestivi delle forze dell’ordine.
Spesso a questa strategia punitiva e fatta di deterrenti se ne contrappone una mirata all’educazione sentimentale e affettiva, che dovrebbe comprendere anche la comprensione, come scrive Carlini per Fanpage, che la violenza assistita è “un fenomeno imprescindibilmente legato a quello della violenza di genere”. Una verità che andrebbe presa in considerazione quando i tribunali decidono della gestione dei figli da parte di un padre che si è dimostrato violento.
Tale strategia che punta a debellare le violenze di genere alla radice avrebbe però effetto sui cittadini di domani. Una magra rassicurazione per le donne che vengono invece ammazzate oggi, alle quali dobbiamo fornire sicurezza ora. Che fare quindi?
È chiaro che sia un tema molto complesso, da affrontare con metodo e non con slogan. Per gli esperti, i dispositivi tecnologici devono essere considerati solo uno degli strumenti di una strategia più ampia contro la violenza di genere ed è fondamentale che il sistema giuridico, i centri antiviolenza e le forze dell’ordine collaborino per individuare e gestire adeguatamente i casi più a rischio.
Il braccialetto elettronico, pur essendo uno strumento importante, non è una soluzione definitiva. La sua efficacia dipende da una serie di fattori, tra cui la qualità della tecnologia, l’adeguatezza delle misure adottate e la capacità di valutare correttamente il rischio a cui sono esposte le vittime.
È fondamentale quindi non pensare di aver fatto abbastanza solo predisponendo un braccialetto, altrimenti senza un approccio olistico e coordinato, i femminicidi come quelli di Roua Nabi e Concetta Marruocco continueranno a ripetersi.
Un po' scribacchino pretenzioso, un po' pirata che sogna la pensione, vivo in perenne crisi d'astinenza da Netflix e sono proprietario di un divano abusivamente occupato da un cane che si finge timido.
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