Il femminicidio di Giulia Tramontano ha scosso l’opinione pubblica tanto da riportare sotto il faro dell’attenzione il tema dei femminicidi, nonostante le donne non abbiano mai smesso di essere ammazzate, ma, si sa, l’attenzione mediatica è volubile e necessita di dettagli accattivanti (lo so, è un termine aberrante usato in questo contesto) che possano suscitare una reazione emotiva che i semplici dati, per quanto gravi, non riescono a fare.

Se pure questo sia un meccanismo tanto triste quanto inevitabile, in chiave machiavellica è comunque un bene che se ne sia tornati a parlare in termini di emergenza, perché di emergenza di fatto si tratta.

La cosa infatti ha preso una tale risonanza da scuotere anche il governo, che ha dato il via libera a un disegno di legge preparato in tempi rapidissimi, con un pacchetto che rende più severo il Codice Rosso.

Il decreto prevede, così come riporta il Corriere:

  • un aumento delle pene se il reato avviene in ambito di violenza domestica;
  • viene ampliata l’applicazione già prevista del braccialetto elettronico, che diventa automatica e non a discrezione del giudice, previo sempre consenso dell’indagato;
  • trenta giorni massimo ai pm per le misure cautelari e la loro applicazione da parte del gip;
  • un limite preciso di 500 metri per i divieti di avvicinamento;
  • carcere da uno a cinque anni per chi contravviene al divieto di avvicinamento con la possibilità di arresto in flagranza differita, ovvero con prove video o fotografiche entro 48 ore;
  • ampliamento dei reati per cui è previsto un ammonimento, che comporterà un aumento delle pene in caso di recidiva;
  • creazione di un pool di magistrati specialisti per i reati di violenza contro le donne.

A questo decreto si aggiunge poi la volontà del presidente del Senato La Russa di raddoppiare il numero dei carabinieri dedicati a questi reati, da 600 a 1200.

Queste misure sono strumenti che possono essere messi in campo a reato avvenuto o in seguito a campanelli di allarme di violenze che preannunciano la possibilità di un’escalation, che può portare fino al femminicidio.

Sono quindi tutti strumenti pensati per punire i cosiddetti “mostri” o per cercare di limitare il raggio di azione di quelli papabili.

Su come evitare che i mostri nascono, regna invece un silenzio imbarazzante e il termine stesso di “mostro” rende palese quando ci sia il desiderio di pensarli al di fuori della società, come se non fossero umani, ma la realtà che dobbiamo iniziare a capire è che è la società stessa, intrisa della cultura dello stupro, ad averli resi tali.

Questo governo è infatti in mano a una maggioranza che non ha avuto problemi ad astenersi sull’adesione Ue alla Convenzione di Istanbul, che è un trattato internazionale contro la violenza sulle donne. Il motivo di questa apparente contraddizione è che il trattato prevede al suo interno il concetto di genere, che a quanto pare li spaventa molto di più delle donne ammazzate.

Così come a spaventare è l’idea di introdurre l’educazione affettiva all’interno delle scuole, che è la misura più efficace per spezzare la matrice patriarcale delle nostra società, la reale causa dei femminicidi, ma contro cui la destra si è sempre dichiarata contraria, preferendo che questa educazione rimanga in seno alle famiglie, esattamente dove avviene la stragrande maggioranza delle violenze di genere.

È chiaro, però, che questa rieducazione, per quanto efficace, necessiti del suo tempo, tempo che le donne ammazzate ogni giorno non possono certo permettersi.

Liquidare la faccenda con soluzioni pronte all’uso non è quindi un’opzione percorribile, per quanto l’iper semplificazione social premi questo tipo di pensieri.

Ne ha scritto anche la direttrice di Roba da Donne Ilaria Maria Dondi in questo articolo, nel quale ha raccolto le testimonianze delle vittime secondarie di femminicidio, ovvero gli affetti delle donne ammazzate. Testimonianze che rendono palese quanto non si possa pensare di semplificare un fenomeno così stratificato e complesso come i femminicidi con qualche slogan:

Non vi è quindi qui la pretesa di avere una soluzione, ma nella complessità del fenomeno è abbastanza chiaro che le misure fino a ora prese siano state in ottica prettamente punitiva, che ha un suo sacrosanto legittimo senso in termini di giustizia, ma verso la quale attribuiamo un’esagerata funzione deterrente.

Il ministro Nordio ha commentato il disegno di legge affermando che “Il provvedimento mira a eliminare o comunque a ridurre questo fenomeno pernicioso”, il che denota come ci sia quindi la convinzione che pene più severe siano sufficienti per ottenere questo scopo.

Il nostro Paese ha una fiducia smisurata nel potere della punizione. Fiducia spesso dettata da reazioni emotive che sono umane e comprensibili, dopotutto è difficile non provare rabbia nei confronti di chi si è reso fautore di un delitto come quello che ha colpito Tramontano. Rabbia che porta molti a invocare anche la pena di morte.

I nostri governanti sono però chiamati ad agire non in balìa delle proprie reazioni emotive, perché le emozioni saranno pure umane e comprensibili, ma sono molto limitate nel loro potere di analizzare il mondo.

La concezione, infatti, che punizioni più severe siano deterrenti efficaci è messa in discussione per esempio dalle analisi fatte riguardo alla pena di morte (la punizione delle punizioni). Anni e anni di analisi sono infatti arrivati alla conclusione che la pena di morte non ha in realtà alcun effetto sul numero degli omicidi. A dirlo ad esempio è un report supervisionato dal Committee on law and Justice, dal titolo Deterrence and the death penalty, che ha appunto tirato le somme di molte analisi fatte sul tema.

Quindi ben vengano misure che impegnino più forze nella lotta alle violenze di genere e che siano in grado di tutelare le vittime dall’aggravarsi delle loro situazioni, perché, come afferma Gigliola Del Bono (madre di Monia Del Pero, strangolata dall’ex nel 1989) “Quante donne denunciano, più e più volte, e non trovano per questo protezione? Non sono tragedie, sono morti annunciate.” È quindi chiaro che sia indispensabile un intervento nel sistema giudiziario per evitare che le vittime o future vittime non siano lasciate sole e schiacciare da una società che preme affinché denuncino, senza che si renda conto di quanto sia difficile o inutile al momento affrontare ciò che una denuncia comporta.

Allo stesso tempo, occorre però rendersi conto che un vero cambiamento non risiede nella durezza della pena, bensì sarà possibile solo se si avrà il coraggio di mettere in discussione le matrici patriarcali e di mascolinità tossica che vivono dentro ognuno di noi. Perché quando si arriva al femminicidio tutti sono concordi nel condannare l’accaduto, ma tutto ciò che viene prima, dalle molestie, al catcalling, all’oggetificazione… Beh allora in tal caso si alzano le voci di “not all men” o dei “non si può più dire nulla” o del sempreverde “sono solo complimenti”. Giusto perché è una notizia di questi giorni, basterebbe guardare all’alzata di scudi in difesa di Valsecchi e Bobbi.

Perché se lo stesso presidente La Russa, nel tentativo di mostrare la propria buona volontà a contrastare questi fenomeni, parla di “schiaffoni” da dare ai figli, significa affidare la risoluzione del problema a chi è ancora addentro a questa visione machista del mondo, per cui applicare violenza è considerata una buona idea per combattere la violenza, ignorando che è proprio così che insegniamo ai nostri figli a imporsi nel mondo a suon di ceffoni.

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