Il ruolo delle e degli atleti transgender nello sport è da anni oggetto di dibattito, ma è recentemente finito al centro di una clamorosa fake news che è riuscita far abboccare anche l’ex senatore, eletto nel 2018 tra le liste della Lega, Simone Pillon, da sempre particolarmente critico nei confronti di omosessuali e persone trans.

Parliamo di alcune foto, diventate in pochissimo tempo virali, in cui si vedono delle nuotatrici indossare un costume intero sul cui pube campeggia la scritta “Not a Dude”, ovvero “non sono un ragazzo. Una delle foto è stata presa e pubblicata da Pillon sul proprio profilo X, con una caption in cui si complimentava per la scelta.

Pillon, peraltro, ha collocato queste immagini alle Olimpiadi di Parigi attualmente in corso; ciò che l’ex senatore probabilmente ignorava, tuttavia, è che le immagini sono un falso. Nessuna campagna contro la partecipazione di atleti/e trans, ma un falso creato ad hoc, senza neppure troppo sforzo, visto che, trattandosi di una semplice scritta, non è necessario scomodare l’intelligenza artificiale ma è sufficiente apporre le parole sopra l’immagine.

La foto condivisa da Simone Pillon, ad esempio, come fatto notare dal giornalista di Open David Puente, esiste anche in quella che è la versione originale, ovvero senza scritte.

Arresosi all’evidenza, a Pillon non è rimasto altro da fare se non commentare “Alla fine a quanto pare era davvero una aggiunta con Photoshop. Peccato”.

Le foto, diversamente da quanto molti pensano, sono comparse ben prima dei giochi olimpici oarigini, ma addirittura al 2018; il dibattito sulla partecipazione di atleti/e transgender alle varie discipline nelle categorie di genere a cui sentono di appartenere è quantomai acceso, ed è stato lanciato con il caso di Lia Thomas, nuotatrice statunitense che, dopo la transizione di genere ha partecipato a diverse gare femminili, scatenando un’ondata di indignazione nei conservatori americani, con la candidata repubblicana al Senato del Missouri Vicky Hartzler, che, nel febbraio del 2022, ha presentato una campagna in cui affermava che “Gli sport femminili sono per le donne, non per gli uomini che fingono di essere donne”. Thomas, peraltro, non è stata ammessa a gareggiare in queste Olimpiadi.

Di atleti e atlete trans, tuttavia, ce ne sono diversi; ad esempio Laurel Hubbard, prima donna trans a competere in una gara olimpica, a Tokyo, nel 2021.

Diverso è invece il caso di Caster Semenya, atleta sudafricana nella corsa di mezzofondo obbligata, dopo la vittoria nei Campionati mondiali del 2009, a sottoporsi a un test ormonale che ne ha messo in luce l’intersessualità, condizione che la spinge a produrre naturalmente testosterone a livelli quasi maschili. Nel 2019 la World Athletics ha escluso tutte le persone con disordini dello sviluppo sessuale (Disorders of Sex Development, DSDs), ma Semenya ha fatto causa all’organizzazione, accusandola di discriminazione.

Rispetto alla gestione della presenza di atleti/e trans nelle discipline sportive non c’è tuttavia ancora uniformità di giudizio, quindi le varie organizzazioni mondiali, come World Athletics, World Aquatics e World Rugby, hanno deciso, ad esempio, di escludere chi ha intrapreso il percorso di transizione MtF dalle proprie competizioni, mentre il Cio, che ha iniziato a occuparsi della questione solo nei primi anni 2000, ha inizialmente consentito la partecipazione a chi avesse compiuto un intervento di ricostruzione genitale, avesse avuto un cambio di genere riconosciuto legalmente e fosse continuativamente in terapia ormonale. Nel 2015 le linee guida sono state modificate, e ora chi vuole partecipare deve “solo” dimostrare di avere un livello di testosterone inferiore a 5 nanomoli per litro nei dodici mesi precedenti alla competizione.

La presenza di tali requisiti richiesti consente tuttavia di poter ricorrere ai cosiddetti processi di sex verification, ossia di verifica dell’effettivo genere di appartenenza, che possono andare dalla consegna di certificati medici all’esame dei genitali, una pratica che è considerata estremamente invasiva e misogina.

L’ultimo aggiornamento del Comitato Olimpico è arrivato tra il 2021 e il 2022, e demanda in sostanze le decisioni alle singole organizzazioni sportive, ribadendo tuttavia che alla base di ogni decisione ci debbano essare i “principi di tutela, non discriminazione, equità, non presunzione di vantaggio, approccio basato sui fatti” e “la salute e l’autonomia del corpo” di ogni atleta. L’indicazione generale è quella di non presupporre che le atlete transgender siano per forza avvantaggiate a livello fisico nei confronti di quelle cisgender.

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