Di chi sono i crimini delle persone trans? In che carceri detenerle?

Condannata all'ergastolo per omicidio, la donna transgender ha scatenato l'ira della scrittrice inglese, che già in passato si era espressa sulla questione, che è molto più complessa di quello che si potrebbe pensare.

Di recente J.K. Rowling è tornata a far parlare di sé per le sue esternazioni transfobiche , dato che su X ha commentato la condanna inflitta alla killer Scarlet Blake, in carcere per aver ucciso nel 2021 Jorge Martin Carreno.

“Sono così stanca di questa m***a – le parole della scrittrice inglese sul social – Questa non è una donna. Questi sono #NotOurCrimes”.

In un secondo tweet Rowling si è poi soffermata sulla questione delle statistiche di omicidi in base al genere e del carcere per le persone transgender.

1. Le statistiche sulla criminalità diventano inutili se gli attacchi violenti e sessuali commessi da uomini vengono registrati come crimini femminili. 2. Gli attivisti chiedono già a gran voce che questo sadico assassino venga incarcerato in un carcere femminile. 3. La disinformazione ideologica non è giornalismo.

Come detto, non è la prima volta che l’autrice di Harry Potter affronta il tema della transgenerità esprimendo valutazioni e pareri accusati di transfobia; già nel 2020, infatti, era finita al centro delle polemiche per essersi opposta, sempre a mezzo social, su un disegno di legge scozzese riguardante l’accesso ai bagni pubblici per le persone con disforia di genere, scrivendo in seguito un saggio per spiegare la propria posizione.

La posizione di Rowling tende a polarizzare l’opinione pubblica, ma la questione del carcere per le persone trans è di fatto molto complessa, anche al di fuori del Regno Unito e riuscire a dipanarla non è facile. Cerchiamo quindi di fare chiarezza, per evitare proprio quella “disinformazione ideologia” con cui Rowling accusa il giornalismo. E iniziamo partendo dal caso di Scarlet Blake.

Il caso di Scarlet Blake

La ventiseienne Blake è stata condannata all’ergastolo con una pena minima di 24 anni, meno i 196 giorni già trascorsi in carcere in custodia cautelare, per aver ucciso nel luglio di tre anni fa il trentenne Jorge Martin Carreno, oggetto di una sua fantasia sessuale, colpendolo prima alla nuca con una bottiglia di vodka per poi strangolarlo e gettarlo nel fiume, dove poi sarebbe annegato.

Per il giudice Chamberlain che l’ha condannata, la decisione di uccidere Carreno “non è stata presa in preda alla rabbia o perché le sue emozioni l’avevano sopraffatta. È stato il culmine di un piano che aveva considerato e formulato per mesi”, aggiungendo che Blake provasse “gratificazione sessuale dallo strangolamento” e che traesse “piacere, sessuale o meno, dall’esperienza di uccidere una persona”.

A riprova dell’inclinazione omicida di Blake, il giudice ha fatto riferimento anche all’omicidio di un gatto, ripreso da Scarlet Blake in live streaming: la donna, quattro mesi prima dell’omicidio, avrebbe infatti squartato, decapitato e infine messo nel frullatore il gatto del vicino, affermando, secondo quanto riportato dal Guardian: “Un giorno voglio imparare a fare questo a una persona”. Per questo motivo Blake è stata condannata anche a quattro mesi per aver causato sofferenze a un animale.

Il caso di Blake suscita chiaramente orrore, al quale però l’essere una persona trans non dovrebbe aggiungere o togliere nulla. Trattandosi di un individuo che risponderà delle proprie azioni in quanto persona singola, ha senso farne un emblema di una propaganda transfobica? Ha senso, come fa Rowling, approfittare della sua condotta per definirla “un uomo”?

Quando le persone transgender sono criminali: i dati

Parliamo di dati: assecondando per un attimo l’ideologia TERF (propria anche di Rowling) per cui l’allargamento dei diritti delle persone trans permetterebbe a uomini malintenzionati di spacciarsi come donne per frequentarne gli ambienti e abusarne, chiediamoci qual è effettivamente il numero di persone transgender che commettono reati, per capire così se ci sia in effetti una reale emergenza.

Se sappiamo molto bene che le persone transgender sono più spesso vittime di reati rispetto alle persone cis* e che, stando ai dati riportati dal Trans Murder Monitoring 2023 pubblicato da Transgender Europe prima del Trans Day of Remembrance, tra il 1° ottobre 2022 e il 30 settembre 2023 ben 321 persone trans sono state uccise (il 94% delle quali erano donne trans o persone transfemminili); poco sappiamo sui dati che riguardano l’aspetto contrario, ovvero sui crimini che hanno per responsabili le persone trans.

Le sole ricerche effettuate in questo senso sono state condotte dall’associazione inglese Fair Play for women (associazione che difficilmente si può considerare imparziale, dato che dichiarano loro stessi di essere “preoccupati che, nella fretta di riformare le leggi e le politiche transgender, le voci delle donne non vengano ascoltate”), la quale evidenzierebbe che, negli anni presi in esame (2017-2019) le persone transgender MtF mantengano (rispetto a una particolare fattispecie di reato, ovvero quelli di stampo sessuale) quelli che sono chiamati “modelli di criminalità maschili”.

Secondo i risultati degli esami dell’associazione, nel 2017 60 delle 125 prigioniere transgender in Inghilterra e Galles avevano almeno una condanna per un reato sessuale, proporzioni rispettate anche nel 2019, con 81 su 163 prigioniere transgender in Inghilterra e Galles.

Queste statistiche sembrerebbero essere confermate anche dal Ministero della Giustizia britannico, che in alcuni dati pubblicati mostra come su 129 detenute transgender nel 2020 almeno 76 si trovassero lì per una condanna per reati sessuali.

In particolare, i dati del Ministero, che per la prima volta ha diviso uomini cis, donne cis e persone transgender, rilevano:

76 autrici di reati sessuali su 129 donne trans = 58,9%

125 autrici di reati sessuali su 3812 donne cis in carcere = 3,3%

13234 autori di reati sessuali su 78781 uomini cis in carcere = 16,8%

La percentuale del Ministero sembrerebbe confermare un’alta presenza di criminali sessuali tra le persone trans, ma in realtà si tratta di un dato di facile male interpretazione. Quel 58,9% infatti non si riferisce all’intera comunità trans, bensì alla ristretta minoranza di persone trans incarcerate. Quindi si tratta di una stima all’interno di un gruppo già di per sé tendente al crimine. È un’ovvietà che però va tenuta ben presente, anche a fronte del fatto che si parla di solo 129 individui su una stima che oscilla tra le 300.000 e 500.000 persone trans nel Regno Unito.

Rimane comunque una percentuale alta, che andrebbe indagata e capita, ma che non può portare a pensare che si rifletta in egual modo sull’intera comunità, soprattutto alla luce delle dimensioni ridotte del campione.

Saltellare tra i dati in percentuale e i dati assoluti in base alla tesi che si vuole portare avanti è una tentazione allettante, ma che va evitata. Quel che è certo è che se è vero che la maggior parte delle persone trans detenute sono responsabili di reati sessuali, rappresentano in assoluto una minaccia di rischio per la società inferiore alla seppur piccola percentuale di detenute donne cis, ugualmente accusate di reati sessuali.

Per non parlare del fatto che se si accomunassero i dati del Ministero delle donne trans con quelle delle donne cis (ovvero proprio quello che Rowling non vuole si faccia), la percentuale di reati sessuali salirebbe dal 3,3% al 5,1%. Un incremento sufficiente per far twittare una delle più influenti scrittrici del mondo? A chi la legge la sentenza.

Rimane comunque vero che critiche alla modalità con cui si fanno queste statistiche possono essere legittime, e più dati sull’argomento non farebbero di sicuro male, ma la matematica non dovrebbe comunque mettere in discussione i diritti delle persone e la loro libertà di autodeterminazione. Anche perché, se si volesse fare una battaglia di numeri, la comunità trans avrebbe dalla sua statistiche enormemente più gravi (come accennato in precedenza) di persone trans discriminate o uccise proprio a causa di quella transfobia che le ideologie TERF rischiano di veicolare.

Le persone transgender nelle carceri

Discorso più complesso invece quello di decidere in che carceri rinchiudere le persone trans. Da una parte c’è la richiesta di rispettare l’identità di genere, dall’altra il timore che la convivenza donne cis/donne trans (e dovrebbe esserlo per logica anche quella uomini cis/uomini trans, anche se se ne parla molto meno) sia terreno fertile per molestie e abusi sessuali. O forse bisognerebbe meglio dire che il timore sia più sul fatto che questi abusi abbiano un incremento e/o conseguenze come gravidanze indesiderate, dato che le carceri non sono di certo libere da violenze sessuali che già accadono, sia in quelle femminili che maschili.

A tal proposito è significativo il caso statunitense di Demi Minor, donna trans che nel 2022 in un carcere femminile del New Jersey, ebbe rapporti sessuali consensuali con altre due compagne di cella, rimaste incinte. Per questo motivo fu poi trasferita in un carcere maschile, scelta che mette in dubbio il rispetto della ratio di evitare il più possibile il rischio di violenze sessuali. È chiaro a tutti infatti cosa rischi una donna trans rinchiusa in un carcere maschile.

Altro esempio significativo arriva dalla Scozia della stessa Rowling, dove la legge stabilisce che le persone debbano essere messe nelle carceri che corrispondono alla loro identità di genere. Tuttavia, lo scorso anno, il Ministro della Giustizia scozzese, Keith Brown ha stabilito che le linee guida penitenziarie dovessero essere temporaneamente sospese, in attesa di revisioni a carico del Servizio Carcerario Statale. Fino alla revisione, le persone trans con una storia di violenza verso donne sarebbe state inserite in strutture maschili.

La questione era stata aperta dal caso di Isla Bryson, donna transgender condannata per violenza sessuale ai danni di due donne prima di iniziare il processo di transizione, collocata prima in un carcere femminile e in seguito trasferita in un carcere maschile, in isolamento, per decisione della Prima Ministra scozzese, Nicola Sturgeon.

Su quella decisione si espresse anche l’associazione per i diritti delle persone trans Scottish Trans, che dichiarò la scelta di Sturgeon legittima, in quanto concordi nell’affermare che nessuna persona colpevole di aver commesso violenza sessuale ai danni di donne dovrebbe essere rinchiusa insieme alle donne.

Ciò dimostra, da un lato, come la comunità trans abbia a cuore anche la sicurezza delle donne cis e che tale sicurezza venga prima della coerenza tra carcere e identità di genere; dall’altro però non risolve la questione di dove detenere le persone trans, dato che nelle carceri maschili sarebbero a loro volta a rischio violenze sessuali.

Tutto ciò comunque evidenzia come il dibattito su Scarlet Black, che per la Rowling rimane “un uomo” e non dovrebbe essere incarcerato con le donne, sia in realtà problematico a prescindere dal suo essere trans, dato che avendo compiuto un crimine orribile (tra l’altro a danno di un uomo) sarebbe un soggetto potenzialmente pericoloso ovunque la si incarcerasse.

Cosa succede in Italia

Nel nostro Paese, i diritti fondamentali delle persone private della libertà personale sono stati al centro del progetto di riforma dell’Ordinamento penitenziario disegnato dalla Commissione Giostra del 2015, in cui si è tenuto presente soprattutto l’articolo 27 della Costituzione, che richiama il principio di umanità e quello di solidarietà. Principi che sono diventate istanze accolte attraverso i decreti legislativi del 2018, in attuazione della legge Orlando, e in particolar modo nel decreto legislativo 123, che estende la tutela dell’articolo 3 della Costituzione ai fattori di discriminazione “per sesso, identità di genere e orientamento sessuale”.

Peccato, però, che per le persone transgender non avere a che fare, nel concreto, con la discriminazione, sia praticamente impossibile. A partire dall’articolo 1 dell’Ordinamento penitenziario, che chiede di dichiarare il proprio nome e parla di evitare le discriminazioni per razza, religione, nazionalità, condizioni economiche e sociali, senza fare alcuna menzione al genere o all’orientamento sessuale.

L’impossibilità di inquadrarle nettamente secondo i paradigmi e lo spazio sociale imposto culturalmente le ha a lungo rese “soggetti imprevisti”, rendendo difficile la loro collocazione all’interno delle carceri. Questa è la testimonianza di una ex detenuta trans raccolta dall’associazione Antigone per il XVIII report sulla condizione della comunità LGBTQI+ nelle carceri italiane.

Ah no no: i trucchi, i vestiti… Dentro non te li comprano. Tu entri e ti danno tutte cose da uomo… Che ti senti proprio di morire a stare così. Infatti noi ci organizzavamo: quando una usciva in permesso premio comprava reggiseni, gonne, perizomi, e poi le rivendeva alle altre. Per forza, come fai se no? Quando sei in carcere purtroppo è difficile: ci sei tu, le altre e un terzo sempre presente, il tempo. Ho un ricordo che ancora mi fa piangere: una volta feci la domandina per fare un corso di teatro, ero contenta perché nel mio Paese ho studiato danza movimento tanto tempo. Non me lo hanno fatto fare, perché era una attività riservata ai maschi.

Generalmente le donne trans vengono collocate in carceri e sezioni maschili conformemente al dato biologico, se non hanno completato il processo di transizione, ma riconosciute come soggetti vulnerabili, motivo per cui sono sottoposte all’isolamento protettivo continuo come da art.32 Regolamento di esecuzione, o vengono assegnate a sezioni separate protette.

Per risolvere l’evidente problema, nel 2009 un gruppo di lavoro PEA del Dipartimento dell’amministrazione penitenziara aveva ipotizzato la creazione di piccoli istituti o sezioni dedicati alle persone trans, e poco dopo le donne transgender sono state spostate nel Reparto D del Carcere di Sollicciano, a Firenze. Diverso esito ebbe il progetto del PRAP Toscana per l’attivazione di una prassi di detenzione esclusivamente dedicata alle persone trans, in un piccolo istituto a Empoli, che si è prima arenato per poi interrompersi definitivamente.

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale 221/2015 sulla possibilità di rettificare il sesso anagrafico senza completare obbligatoriamente il percorso di transizione con l’intervento chirurgico per la riattribuzione dei caratteri sessuali, il dibattito si è inevitabilmente riacceso.

Significativo, in questo senso, è stato il pronunciamento del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, che con ordinanza 682 del 4 febbraio 2020 ha regolamentato le prassi di tutela dell’identità di genere, in seguito alla storia di una donna transgender, detenuta a Sollicciano, i cui documenti la indicavano ancora come uomo, portandola pertanto a essere collocata in una sezione separata contro la sua volontà, con un reclamo rigettato secondo gli art. 35 bis e 69 dell’Ordinamento penitenziario perché si ritenne che la sua condizione genitale maschile avrebbe potuto creare un problema interno all’Istituto.

L’ordinanza del Tribunale ha poi ribaltato questo giudizio, chiarendo, come si legge sul sito di Antigone, che “l’identità anagrafica va rispettata a prescindere dalla coincidenza tra corpo e psiche e osservando che, al di là delle buone intenzioni dell’amministrazione, il reparto separato all’interno della sezione femminile non ha favorito le attività congiunte delle donne trans con le altre detenute ma si è limitato a riprodurre un principio di separatezza che ne viola sistematicamente le pari opportunità trattamentali”.

Attualmente le persone trans, tutte donne, che si trovano negli Istituti penitenziari sono 63: 5 assegnate a sezioni promiscue, una in casa di lavoro, 2 in sezione femminile, le altre in sezioni protette omogenee.

Gli Istituti che accolgono persone transgender sono 12 in tutto, di cui 7 prevedono una sezione protetta dedicata, quasi sempre a custodia aperta, mentre solo 3 hanno sezioni promiscue. Le sezioni protette omogenee sono le più numerose, con 15 detenute a Rebibbia Cinotti, 12 a Como, 10 a Reggio Emilia, 8 a Napoli Poggioreale, 5 a Ivrea e Belluno. Non si registra nessuna detenuta trans in isolamento preventivo, né in allocazione temporanea.

La situazione negli altri Paesi

Va detto che anche negli altri Paesi quello della collocazione in carcere delle persone transgender continua a rappresentare un problema: in Australia vengono assegnate a carceri maschili o femminili in base all’identità di genere solo laddove abbiano completato il processo di transizione in modo chirurgico; lo stesso avviene in Giappone, dove viene ammesso il cambio di genere se si rispettano determinate condizioni, ovvero “un intervento chirurgico per la conferma del genere, avere più di 20 anni, non essere sposati mentre si richiede di cambiare legalmente il proprio genere, non avere figli minorenni ed essere privati ​​del proprio organo riproduttivo o della capacità riproduttiva”, o negli Stati Uniti, dove vale anche la configurazione genitale (ciò significa che le donne trans vengono inserite nelle carceri femminili solo nel loro postoperatorio).

Un’eccezione è rappresentata dal Canada, dove, con la legge C-16, pensata per eliminare le discriminazioni basate sull’identità di genere, i prigionieri devono essere collocati in strutture basate sulla loro identità di genere. Inoltre, i e le detenuti/e transgender che si trovano in carcere per più di dodici mesi consecutivi, secondo la legge, devono essere presi in considerazione per un intervento chirurgico di riassegnazione del sesso.

Il corto circuito

A fronte di una questione così complessa, che riguarda una minoranza doppiamente ignorata e stigmatizzata, ovvero le persone detenute e le persone trans, solo una cosa è chiara: il corto circuito della nostra società binaria nel momento in cui si devono gestire persone con un’identità di genere spesso non considerata.

Tale corto circuito comporta la necessità di pensare a soluzioni che escano dagli schemi e che di sicuro comportino una fatica, dal punto di vista logistico, economico ma soprattutto politico. La sfida più grande è infatti far comprendere all’opinione pubblica che tale sforzo sia legittimo, dato che lo si farebbe per ampliare il più possibile il rispetto dei diritti di tutte le persone. Sfida resa ancora più difficile se personalità influenti come Rowling sfruttano la propria popolarità per veicolare opinioni transfobiche e strumentali.

Viene da chiedersi chi stia facendo davvero “disinformazione ideologica” dato che il tweet della scrittrice si è scagliato contro un lancio di Sky News (e non una statistica su carceri o violenze di genere). Lancio che non avrebbe avuto alcun motivo rilevante ai fini del diritto di cronaca per dichiarare la transgenerità dell’assassina. Diventa rilevante solo se si è transfobici.

*In misura quattro volte maggiore, secondo un nuovo studio del Williams Institute della UCLA School of Law, per casi di stupro, violenza sessuale e aggressione aggravata o semplice.

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