La campagna che incolpa le donne uccise: sì, anche Taffo può sbagliare
Il problema del post di Taffo è proprio il messaggio. Perché non è sempre un aut-aut, una cosa da "dentro o fuori": non è "o denunci o muori".
Il problema del post di Taffo è proprio il messaggio. Perché non è sempre un aut-aut, una cosa da "dentro o fuori": non è "o denunci o muori".
Da qualche tempo ormai la Taffo Funeral Service è diventata una vera e propria “icona” social, grazie a campagne di marketing pungenti, irriverenti e spesso autoironiche, con cui la società di pompe funebri romana è riuscita a sdoganare molto simpaticamente anche il più classico e temuto dei tabù, quello sulla morte.
Siccome però capita anche ai migliori di sbagliare, proprio in una data particolare quale è quella del 25 novembre, il post scelto dall’azienda per celebrare la giornata contro la violenza sulle donne ci ha lasciate un po’ perplesse; ed è certamente un peccato che, proprio in un giorno che per tante ragioni è così carico di significati emotivi e si presta a una moltitudine di discorsi e di parole, Taffo, solitamente molto attenta a bilanciare le proprie, abbia scelto quelle sbagliate.
Questo è il post comparso sulla pagina Facebook.
Perché l’immagine e le parole scelte lascino stavolta più di un dubbio sulla qualità del messaggio è piuttosto lampante, come peraltro emerge anche dai tanti commenti – critici – che gli utenti stanno pubblicando sotto il post, e dalle pagine che ne stanno parlando, come Iabicus, o Il Post, che ha commentato la vicenda così, riportando anche la risposta dell’azienda a un utente.
In primis, il post colpevolizza chi non denuncia, come se il rinunciare a denunciare il proprio aguzzino fosse una scelta consapevole, razionale e lucida che non può avere altro esito se non trasformarsi automaticamente in una condanna di morte. E il blame the victim è esattamente ciò di cui non abbiamo bisogno.
Senza contare che, molto spesso, le donne che non denunciano non lo fanno per paura, perché soggiogate dal proprio carnefice o intrappolate in una spirale in cui non vedono via d’uscita.
In secondo luogo, perché potremo star qui un’ora o più a stilare l’elenco di tutte le donne che hanno denunciato, spesso anche più volte, eppure sono comunque state uccise. Pensiamo a Marianna Manduca, cui non sono servite le dodici denunce nei confronti dell’ex marito per aver salva la vita, ma la lista è ahinoi lunghissima.
Infine, non si può non sottolineare che spesso, purtroppo, è proprio la denuncia che fa scattare la violenza definitiva, che fa mancare la terra sotto i piedi al violento, che gli fa prendere coscienza col fatto di aver perso il “possesso” su quella che a tutti gli effetti lui considera una proprietà. Con le conseguenze devastanti che conosciamo tutti, e fermo restando l’importanza di non rimanere vittime passive di una simile situazione.
Il problema del post di Taffo non è certamente la mala interpretazione da parte del pubblico social di quella che loro, nei commenti di giustificazione (che forse avrebbero potuto risparmiarsi) hanno definito un’iperbole, né la necessità, ovvia, di dover comprimere un messaggio adattandolo al luogo, il social appunto. Il problema è proprio il messaggio.
Perché non è sempre un aut-aut, una cosa da “dentro o fuori”: non è “o denunci o muori”, e per i parenti delle vittime, per le Gigliola Bono, i Giovanni Lelli, le Vera Squatrito vedere quell’immagine è agghiacciante.
Il nostro non è un attacco a Taffo, di cui apprezziamo spesso l’accattivante strategia di marketing generalmente usata. Ma siccome errare è umano, è importante che chi di dovere, nell’azienda, stavolta prenda consapevolezza della gravità di una comunicazione del genere e delle implicazioni che potrebbe avere. Senza trincerarsi dietro paroloni o panegirici di parole, e ricordandosi che anche il cinismo più ficcante e volutamente provocatorio deve comunque fare i conti con il senso di umanità, senza perderlo.
Per questo, anche il post successivamente condiviso sembra non aver sortito l’effetto sperato.
L’idea generale, infatti, è che non siano davvero state comprese fino in fondo le critiche che, al netto degli insulti, ingiusti (come lo è ogni insulto), hanno provato pacatamente a spiegare cosa ci fosse di sbagliato in quel messaggio, ovvero la colpevolizzazione, seppur implicita, o involontaria, delle donne. E che questo nuovo post non sia altro che una “pezza” infelice che prova forse una non ottima capacità di gestire una crisi social, a fronte di skill creative meravigliose e di solito sempre ben riuscite.
Saper chiedere scusa è sempre un segno di intelligenza e umiltà, non una sconfitta; e visto che Taffo ha sempre dimostrato di avere entrambi gli attributi, questo ci sembra il solo modo migliore per mettere un punto.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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