Era il 3 febbraio 2014 quando Chiara Insidioso Monda, diciannovenne con la passione per la Lazio e innamorata del suo bulldog francese, viene brutalmente picchiata dal compagno, il trentacinquenne Maurizio Falcioni, nello scantinato in cui convivevano a Casal Bernocchi, quartiere di Roma Capitale.

Colpita alla testa con calci e pugni, la ragazza finisce subito in coma e viene trasportata, in fin di vita, all’ospedale Grassi di Ostia, per poi essere trasferita al San Camillo, mentre lui viene arrestato.

Dopo 10 mesi, 304 giorni, Chiara Insidioso Monda esce dal coma passando a uno stato di “minima coscienza”, in cui era in grado di aprire gli occhi, seguire le voci dei familiari e sorridere in alcune occasioni. Solo nel 2016, però, può tornare a casa.

Sono passati 10 anni, e a oggi la ragazza è in grado di muovere solo due dita. “Va in una scuola per disabili, il suo quoziente intellettivo è migliorato, il suo corpo no. Si può solo aiutarlo a non precipitare” ha raccontato di recente al Messaggero il padre, Maurizio Insidioso Monda, che con la moglie, Danielle Conjarts, con cui è separato da vent’anni, ha continuato senza sosta a occuparsi della figlia, che non parla, perché, spiega ancora il genitore, i calci alla testa di Falcioni l’hanno resa “prigioniera del suo corpo. Dopo il trauma cerebrale muove solo due dita e così riesce a fare videochiamate in cui non parla e ad ascoltare musica su Youtube”.

La beffa principale, però, per la famiglia Insidioso Monda è la consapevolezza che fra poco il carnefice della ragazza sarà di nuovo in libertà. Falcioni è stato condannato a 20 anni di reclusione, visto che il gup Giacomo Ebner, all’epoca, riconobbe l’aggravante della continuazione del reato di tentato omicidio e maltrattamenti. Tuttavia, nel processo d’appello la pena venne scontata di quattro anni, una sentenza che causò lo svenimento in aula proprio del padre di Chiara Insidioso Monda, a causa dello choc. Ciò significa, spiega lui oggi, “che tra meno di sei anni lui sarà libero”, aggiungendo che quello della figlia è “un ergastolo da innocente. Capisce tutto e io impazzisco”

Per molto tempo ho sperato che mia figlia fosse morta.

Aveva dichiarato Maurizio Insidioso Monda in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera anni fa, a distanza di pochi mesi dall’aggressione. Perché oggi la persona che si ritrovano è “una vittima scampata di femminicidio: ora è lei a scontare la pena”.

Quel lunedì 3 febbraio di 10 anni l’aggressione che costerà a Chiara Insidioso Monda il coma, e il conseguente stato di minima coscienza, ha inizio a partire dal mattino. Ma non è la prima volta: Falcioni alza spesso le mani sulla ragazza, che ha lievi disturbi mentali, e il padre di lei lo sa, tanto che più volte, in passato, ha tentato di allontanare la figlia dall’uomo.

Maurizio Falcioni inizia a picchiare Chiara Insidioso Monda nel locale caldaie dove vivono quando non vogliono stare nell’appartamento del padre di lei, che vive nello stesso stabile. Salgono da Insidioso Monda all’ora di pranzo, e lui nota che la figlia ha delle ferite sul naso, ma fa finta di niente. Le botte, però, continuano una volta tornati nel locale caldaie, fino a quando la diciannovenne perde i sensi, mentre Falcioni chiede aiuto ai vicini, che allertano il 118.

Io ero al lavoro – ricorda Maurizio Insidioso Monda – Stavo portando un pacco di raccomandate dagli aerei all’ufficio smistamento. Quando il mio amico Mario mi ha chiamato e mi ha detto che sotto casa di quell’idiota c’erano le ambulanze, ho pensato subito che Chiara fosse morta. E per tanto tempo, dopo, avrei preferito che lo fosse davvero. Poi mi hanno telefonato i carabinieri. Mi hanno detto che mia figlia era viva, non si preoccupi, signor Insidioso, di andare all’ospedale, ma io già lo sapevo cosa era successo, me lo aspettavo. Mi sono fatto l’A91 a 150 all’ora. La strada, il traffico, manco li vedevo. Pensavo solo: Chiara, Chiara, Chiara, che cazzo ti ha fatto, che cazzo ti ha fatto quel bastardo.

L’uomo si trova davanti il corpo di una ragazza con il volto e il cranio tumefatti, in coma. Da lì inizia il calvario, il trasferimento in varie strutture, fino alla decisione di affidare la sua gestione a un amministratore di sostegno.

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