In questi giorni abbiamo sentito ripetere spesso una parola che, forse, la gran parte di noi, fra i fortunati che non hanno vissuto le guerre mondiali, ha sentito dire solo nei film o letto in alcuni libri: coprifuoco.

Perché all’improvviso questo termine è tornato a essere “di moda”? Con il riacutizzarsi del Covid-19, e la curva dei contagi purtroppo in risalita, quella del coprifuoco è un’idea su cui vari tavoli tecnici hanno discusso e che, come molti hanno ipotizzato, avrebbe potuto essere contenuta nei Dpcm emanati per rendere note le nuove misure di contenimento.

In realtà, l’ultimo decreto diffuso dal Governo il 18 ottobre per ora non ha preso in considerazione l’idea, anche se alcuni regioni stanno invece pensando di attuare un coprifuoco localizzato: pensiamo, ad esempio, alla Lombardia, dove i sindaci di tutti i Comuni capoluogo, il presidente dell’Anci, Mauro Guerra, i capigruppo di maggioranza e di opposizione e il governatore Attilio Fontana, preso atto di quanto rappresentato dal Comitato Tecnico Scientifico lombardo, hanno proposto proprio lo stop di tutte le attività e degli spostamenti, ad esclusione dei casi eccezionali già noti all’epoca del lockdown (motivi di salute, lavoro e comprovata necessità), nell’intera regione, dalle 23 alle 5 del mattino, a partire da giovedì 22 ottobre.

Il coprifuoco in Lombardia: la proposta

Oltre che il coprifuoco, il provvedimento lombardo punta anche alla chiusura, nelle giornate di sabato e domenica, della media e grande distribuzione commerciale, con l’eccezione delle sole attività di generi alimentari e di prima necessità.Una misura estremamente restrittiva, quella proposta dai sindaci, che, però, sembra incontrare il favore del Ministro della Salute Roberto Speranza, alla luce anche della prima ondata del virus, che colpì in maniera drammatica alcune province lombarde.  “Sono d’accordo sull’ipotesi di misure più restrittive in Lombardia – ha dichiarato il Ministro – Ho sentito il presidente Fontana e il sindaco Sala e lavoreremo assieme in tal senso nelle prossime ore“.

Fontana ha invece parlato di provvedimento che sia anche “simbolico”, per “cercare di dare un colpo a una delle causa del contagio che è ripartito e che sono l’assembramento, la movida, le feste, gli incontri in piazza, tutte cose che non si riescono a controllare perché non riusciamo ad avere un numero sufficiente di polizia e agenti“.

Del resto, i dati (purtroppo) parlano chiaro: la rapida evoluzione della curva epidemiologica, secondo gli studi della “Commissione indicatori” istituita dalla DG Welfare, potrebbe condurre, al 31 ottobre, a toccare quota 600 ricoverati in terapia intensiva e fino a 4.000 in terapia non intensiva. Lunedì la Regione ha fatto registrare 1.687 nuovi contagi su 14.577 tamponi effettuati, con una percentuale positivi/tamponi dell’11,5%, e altri 6 morti. È chiaro che, di fronte a numeri del genere, la precazuione sia indispensabile.

Non è peraltro escluso che altre regioni possano seguire l’esempio lombardo per cercare di contenere la diffusione del virus; forse qualcuno di noi si starà però chiedendo perché, per indicare l’impossibilità di uscire di casa e girare per la città dopo una certa ora, si usi proprio questo termine, coprifuoco. Una parola che, come detto, purtroppo nel passato è stata usata spessissimo, e a cui i nostri nonni erano certamente abituati, ma che per molti di noi invece è del tutto nuova.

Perché si dice coprifuoco

Il coprifuoco viene usato per motivi di ordine pubblico o in guerra, soprattutto quando c’è il rischio di bombardamenti, e non sempre è imposto nelle ore notturne. Il suo nome, però, è decisamente più antico, e deriva da un’usanza medievale, quella secondo cui, a una certa ora della sera, il rintocco di una campana o uno squillo di tromba segnalavano agli abitanti l’obbligo di soffocare il fuoco sotto la cenere, coprirlo appunto – il modo più semplice per spegnerlo senza generare fumo – al fine di evitare incendi accidentali. Il termine è poi rimasto per indicare l’ora del giorno in cui si deve cessare ogni attività ed è proibito uscire dalle proprie abitazioni.

 

 

 

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