Per chi si chiede cosa ci sia di male nel consigliare alle nostre figlie di stare attente

"Cosa fare di fronte a un mondo così violento se non raccomandare prudenza?" Se lo chiedono in molti, soprattutto genitori, che non riescano a capire come mai c'è chi si è arrabbiato per le recenti uscite di Giambruno e Meloni.

Le ultime settimane sono state scosse da un forte dibattito pubblico che prendendo il via da orribili fatti di cronaca e alimentandosi con uscite poco lungimiranti di giornalisti e presidenti del consiglio, ha portato l’opinione pubblica a interrogarsi sulle dinamiche della violenze di genere.

E questo è un bene. Al netto di affermazioni che hanno giustamente irritato molte persone, il solo fatto che se ne stia parlando e che non si lasci più passare inosservate affermazioni che fanno ricadere la responsabilità delle violenze su chi le violenze le subisce, è segno che qualcosa sia cambiato.

Alcuni la vedranno come la nuova rappresentazione del “non si può più dire niente”. Spauracchio di una certa ala politica che si contraddice già solo nel momento in cui si lamenta di una millantata censura. In realtà si può dire tutto, ma a differenza di una volta, non lo si può più fare pensando di non subire le conseguenze delle atrocità che si dicono.

Per l’analisi puntuale delle frasi di Giambruno e Meloni vi rimando a questo articolo della nostra direttrice Ilaria Maria Dondi, mentre qui ci soffermiamo su una critica molto in voga in questi giorni, anche da parte di chi ha voglia di approfondire con onestà intellettuale l’argomento.

Mi riferisco a chi non riesce a capire cosa ci sia di male nel consigliare a una ragazza di stare attenta, di non ubriacarsi o di “tenere gli occhi aperti e la testa sulle spalle”. Cosa c’è di sbagliato nel consigliare del pragmatico buonsenso alle donne che ci stanno a cuore?

Tutti e tutte sappiamo quanto siano spontanee queste raccomandazioni. Non ci sono strategie o piani malefici di perpetrare il patriarcato quando ci si saluta con un “mi raccomando stai attenta”: solo amore e paura.

Perciò tranquillizziamoci: non siamo brutte persone se abbiamo fatto raccomandazioni alla Giambruno a nostra figlia, sorella o amica. Siamo semplicemente umani.

Chiarita questa premessa importante, vediamo di capire perché ci si è arrabbiati tanto per questi consigli.

Innanzitutto Giambruno e Meloni non stavano parlando alle loro care, nella privacy della loro casa. Non stavano dando un ultimo estremo contributo contro il male del mondo alle persone più importanti per loro. Stavano parlando a una nazione, in diretta tv. Stavano parlando anche a quelle donne stuprate, violentate o uccise, per cui stare attente o sobrie non ha fatto alcuna differenza.

Il contesto, in questo caso, non è un dettaglio di poco conto. Giustificare queste affermazioni aggrappandosi a “è quello che direbbe ogni genitore” è una scusa che vuole parlare alla pancia degli ascoltatori, ma non regge per nulla, perché in quel contesto non parlavano da genitori, ma da giornalista e da Presidente del Consiglio.

Il salviniano “lo dico da papà” è un modo di dire retorico finalizzato ad attirare consensi, ma il papà lo si fa con i figli, il Paese meriterebbe prese di posizione più professionali. Questo perché proclami pubblici da parte di figure così importanti hanno una risonanza e un impatto sulla società esponenzialmente molto più grande di qualsiasi padre di famiglia e ci si aspetta che tale carico sia preso in considerazione da chi parla.

Non che un giornalista o una Presidente smettano di essere umani nel momento in cui ricoprono i loro ruoli, ma sono chiamati a essere consci che quando parlano parlano a chiunque e che le loro parole avranno ricadute e interpretazioni che non possono essere lasciate allo sbaraglio.

Affermare che “se ti ubriachi poi il lupo lo incontri” ha la chiara e netta conseguenza logica che allora se NON mi ubriaco il lupo lo evito. Non è che Giambruno sia stato frainteso, è una deduzione logica delle sue parole. Se inoltre, invece che scusarti e provare a fare auto-critica, accusi chi ti ascolta di essere in malafede, la polemica l’alimenti pure.

Oltre al contesto sbagliato, inoltre, sarebbe l’ora di iniziare a capire quanto queste raccomandazioni saranno anche fatte con sincero affetto e preoccupazione, ma in realtà sono sia inutili, sia figlie di quello stesso sistema che ci spaventa.

Dire alle nostre figlie di “stare attente” dà un appagamento a noi che parliamo, illudendoci di avere controllo su una situazione incontrollabile. È una rassicurazione fittizia e non perché le figlie possono disobbedire, ma perché i fatti dimostrano che le violenze di genere possono colpire chiunque. Dalla “cattiva ragazza” ubriaca alla figlia più integerrima.

È un’illusione che ci consola, perché ci dà la parvenza di poter evitare il peggio, ma è anche un’illusione che se radicata nella mente come verità, crea danni enormi. Ci convince cioè che l’attenzione, la sobrietà, il “comportarsi bene”, siano mezzi davvero efficaci per dissuadere il violento. Mezzi che, guarda caso, sono tutti volti a limitare la libertà femminile.

Da qui alla responsabilizzazione della vittima il passo è brevissimo. Perché lei verrà stuprata, ma “che ci faceva lì a quell’ora?” “Perché era ubriaca?” “Perché era sola?” Tutte domande volte a capire come mai non abbia applicato quelle attenzioni che crediamo infallibili e così facendo spostiamo inevitabilmente l’attenzione dall’uomo che violenta alla donna che viene violentata. Lei diventa quindi colpevole di essersi messa “nelle condizioni di consentire” che il peggio accada.

Una riflessione troppo metafisica? Alcuni potrebbero pensarlo. C’è chi potrebbe anche concordare ma poi, nel realismo della quotidianità, si troverebbe a replicare comunque queste raccomandazioni, perché in fondo, cos’altro si può fare? Cosa fare di fronte a un mondo così violento se non raccomandare prudenza?

In realtà si può fare tantissimo altro. Se siete genitori di figli maschi la risposta è ovvia: avete il potere e l’onere di diseducarli alla cultura dello stupro. Ma anche non foste genitori si può fare comunque tanto.

Perché ogni giorno ognuno di noi compie gesti, giudizi e anche silenzi che sono in funzione del sistema patriarcale. Non occorre essere casi esemplari di maschilismo tossico: ogni battuta sessista a cui ridiamo anziché replicare, ogni giudizio per come una donna è vestita, ogni giustificazione ad atti di gelosia e possesso; ogni applicazione sistematica dei ruoli di genere perché “ci sono cose da donne e cose da uomini”… Gli esempi potrebbero essere tantissimi. Cosa possiamo fare? Possiamo provare a iniziare a farci caso, sarebbe già moltissimo.

Come possiamo, dal momento in cui abbiamo un megafono in mano, investire il nostro privilegio e parole per rimproverare gli uomini violenti anziché raccomandare le vittime. Ogni volta che si spendono parole per parlare del comportamento di chi subisce violenza invece di chi la violenza la fa, è un’occasione persa per cambiare le cose.

L’indignazione per queste raccomandazioni “da padre” che sta stupendo molti, non vuole quindi mettere sotto accusa il genuino desiderio di proteggere chi ci sta a cuore, ma vuole sottolineare sia quanto non competa a giornalisti, ministri e nemmeno alla Presidente fare le raccomandazioni alle nostre figlie; sia scuoterci dal nostro torpore che ci vuole pigri e rassegnati di fronte a un mondo orribile, contro il quale crediamo di non poter fare altro che adattarci.

Perché non è vero: possiamo, anzi dobbiamo, provare a cambiarlo. Dipende da quanta voglia abbiamo di farlo davvero.

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