Cristina Pavesi era una giovane studentessa di 23 anni, brillante e piena di sogni, iscritta all’Università di Padova. La sua vita è stata tragicamente spezzata il 13 dicembre 1990, quando è rimasta vittima della criminalità organizzata della Mala del Brenta, un’organizzazione criminale nota per le sue attività illecite nel Veneto e in altre regioni italiane.

Il 13 dicembre 1990, giorno di Santa Lucia, Cristina era particolarmente emozionata. Quel giorno aveva un importante appuntamento con il professore relatore della sua tesi di laurea all’Università di Padova. La scelta dell’argomento della tesi era cruciale per il suo futuro accademico, e Cristina era determinata a fare una buona impressione. L’incontro con il professore andò benissimo. Il relatore, entusiasta del percorso accademico di Cristina, le assegnò un argomento di tesi che la affascinava. Dopo l’incontro, Cristina si diresse verso la stazione per prendere il treno regionale che l’avrebbe riportata a casa, a Conegliano.

Quella stessa sera, un commando d’assalto guidato da Felice Maniero, capo della Mala del Brenta, aveva pianificato un attacco a un treno portavalori delle Poste sul tratto ferroviario Venezia-Milano. La banda fermò il treno all’altezza di Barbariga di Vigonza, un punto dove i treni solitamente rallentano.

Con il volto coperto dai passamontagna, gli uomini di Maniero iniziarono una sparatoria con la polizia ferroviaria. Quando decisero che le pistole non erano sufficienti, posizionarono del tritolo sui binari per spezzare il vagone blindato e rubare il denaro trasportato. Al momento dell’esplosione, il treno su cui viaggiava Cristina passava proprio in quel punto.

Alle 18.30, una forte esplosione scosse le campagne di Barbariga. Un rumore assordante, fumo acre e odore di bruciato invasero l’area. Cristina, insieme ad altri passeggeri, fu colpita dall’esplosione. Morì sul colpo, senza mai raggiungere casa e senza poter raccontare alla sua famiglia del promettente incontro con il professore. Altri passeggeri furono feriti, ma nessuno in modo grave. Nel caos del momento, la banda di Maniero riuscì a impossessarsi di 6 miliardi di lire e a fuggire.

“È stato terribile, terribile, come ci è stato detto dell’accaduto”, ha raccontato Michela Pavesi, zia di Cristina.
“I suoi genitori la aspettavano per cena, a Conegliano, città dove si erano trasferiti per il lavoro di mio fratello, e invece si sono presentati alla porta i carabinieri e il parroco per dir loro che Cristina era morta. A casa mia c’era mia mamma e una giornalista ha chiamato per chiedere cosa fosse accaduto. Logicamente mia mamma non sapeva nulla, quindi è rimasta un po’ confusa e la giornalista ha interrotto la telefonata. Ho capito che qualcosa doveva essere successo, anche perché per tre notti avevo fatto dei sogni strani. Il giorno prima che Cristina venisse uccisa, avevo sognato un lungo treno e io morivo, ma non ero io a morire. Ho telefonato subito a mio fratello, che mi ha avvisato di Cristina”.

L’omicidio di Cristina non fu mai contestato a Felice Maniero e alla sua banda, che ricevettero solo tre mesi per la rapina. Vent’anni dopo, uno degli assalitori, Paolo Pattarello, dichiarò: “È uno scandalo che nessuno di noi sia stato imputato per l’assassinio di Cristina Pavesi.” Per anni, i magistrati negarono che fosse una vittima di mafia, dal momento che ritenevano che la Mala del Brenta non fosse equiparabile alle mafie del sud Italia. Tuttavia, alla fine, la banda di Maniero fu condannata per associazione mafiosa, ma la famiglia di Cristina aspetta ancora giustizia.

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