In attesa di vederla sul palco dell’edizione 2024 di WomenX Impact Summit, l’evento internazionale dedicato all’empowerment, alla leadership e all’imprenditoria femminile, in programma al Talent Garden Calabiana di Milano dal 21 al 23 novembre, la fondatrice di WXI Eleonora Rocca ha parlato con noi dei temi principali di quello che sarà il suo speech di apertura della tre giorni di incontri, panel e workshop, incentrato principalmente sull’equilibrio tra benessere e carriera.

Armonia tra benessere e carriera: strategie per un equilibrio vincente il titolo dello speech della founder e imprenditrice, che condividerà le sue esperienze e strategie per raggiungere risultati soddisfacenti senza sacrificare il proprio benessere psicofisico, un aspetto che molto spesso, oggi, si lega a doppio filo al mondo del lavoro.

Ed è proprio l’equilibrio, per Rocca, il punto focale da cui partire.

È importante dire che non è un lavoro facile, richiede molto lavoro su se stessi riuscire a trovare il benessere sul lavoro; spesso la problematica che emerge è che il benessere sul lavoro dipenda dal capo o dai colleghi, dall’ambiente di lavoro. La verità è che i colleghi non te li scegli, il datore di lavoro non te lo scegli. Occorre capire come riuscire ad affrontare tutte le sfide che il lavoro porta con sé, perché, parliamoci chiaro, il lavoro è sempre lavoro, anche se lo ami.

Bisogna quindi visualizzare che la persona è una cosa, il lavoro è un’altra, ma anche smetterla con una certa narrazione del mondo del lavoro; in particolare, io non sopporto quelle definizioni tipo ‘lavoro dalla piscina, lavoro dal mare, da dove mi pare’ oppure ‘ah, fai l’imprenditore, fa figo’. Secondo me è tossicissima, ma soprattutto surreale, io, che faccio impresa da anni, posso dire che il processo per riuscire a metter su un’impresa è tutt’altro che romantico, diversamente da come una certa narrativa voglia far credere.

E questo vale per tutti. Pensiamo ai freelance, che possono decidere come impiegare il proprio tempo lavorativo, ma magari devono aspettare i clienti che non pagano le fatture, quindi non hanno la possibilità di pianificare che invece, ad esempio, ha il dipendente.

È importante fare un lavoro su se stessi, che possa permettere di gestire le sfide che dà qualunque tipo di lavoro, e riuscire a vivere bene, che vuol dire trovare un equilibrio vita – lavoro, in primis dal punto di vista degli orari, e in questo, inutile nasconderci dietro un dito, le donne sono molto più penalizzate perché, di fatto, coloro che ancora oggi hanno sulle proprie spalle la gran parte del carico familiare.

Inutile dire che non serve per le donne avere un ruolo apicale nel lavoro, ma un qualsiasi lavoro a tempo pieno, per rischiare di finire in burnout. Io stessa, tempo fa, ne ho avuto uno davvero pesante: quando ho costruito la mia precedente azienda, completamente sola, lavoravo h24, senza staccare mai, mi sentivo in colpa se mi prendevo un giorno libero. Oggi, se guardo indietro, capisco che all’esterno non si vedeva niente, ma all’interno il mio quotidiano era un inferno, il che mi ha portato a commettere un errore madornale e a fermarmi per forza di cose.

A quel punto capisci che devi organizzarti, fare un lavoro su te stesso, cercando di mediare quelle che sono le richieste del tuo lavoro con quello che è il tempo per te. Un modello da seguire è il time block, ad esempio, ovvero decidere di dedicarsi, in quel momento, solo ed esclusivamente a quella cosa. Basta con la narrazione del multitasking, scientificamente provato come assolutamente irrealizzabile.

Noi non siamo il nostro lavoro, le donne in particolare, che sono perfezioniste, si mettono addosso tutta questa pressione nel dirsi ‘Devo essere la manager perfetta, la moglie perfetta, la madre perfetta’, è un modello non valido”.

Un punto su cui hai insistito molto, anche nella nostra precedente intervista, è quello della flessibilità lavorativa, un concetto che qui in Italia fatica ad attecchire.

Certo, trovare il giusto balance è soggettivo, alcune persone sono molto produttive la mattina, altre la sera, quindi perché non allineare le proprie esigenze lavorative con quello che è la persona? Negli USA si sta sfruttando sempre più il fattore flessibilità, si dà la possibilità alle persone di scegliere quando lavorare, dalle 9 alle 18, dalle 10 alle 19, rispettando l’individuo che, in questo modo, è anche più produttivo perché ragiona per obiettivi e non sulla base del fatto che sia costretto a stare in ufficio per tutte quelle ore.

Per me la cosa importante sono i goal da raggiungere, che tu riesca a ottenerli, fermo restando che le scadenze fanno parte della vita lavorativa. Preferisci lavorare di domenica e prenderti libero il venerdì? Okay”.

Fonte: Eleonora Rocca

Hai già anticipato due punti che volevo toccare: la narrazione tossica dell’ambiente lavorativo, ma anche la richiesta di iper-presenzialismo: sembra diventato normale rispondere alle mail aziendali il sabato o la domenica, sentirsi in colpa se ci si prende un giorno libero, essere sempre reperibili.

Quando lavoravo a Milano c’era tutta questa cosa di dire ‘Se esci dall’ufficio prima delle 18 sei part time’, mentre se restavi fino alle otto, alle dieci, dimostravi di volerti fare ‘il mazzo’. Ma chi può cambiare le cose? I manager. Loro gestiscono i team, e diciamo la verità, essere leader non è facile: vuol dire riuscire a mettere insieme un numero di persone che ti aiutano a raggiungere degli obiettivi, ma se quelle persone vengono a lavorare solo per prendere lo stipendio, non hanno motivazioni, non hanno stimoli… Si critica tanto la Gen Z e il suo approccio al lavoro, ma la verità è che i ragazzi non sono pigri, sono cresciuti in una pandemia, il loro punto di vista è ‘ma che cavolo mi frega di ammazzarmi per il lavoro?’, ma soprattutto il loro è un approccio che mira alla propria valorizzazione, al non perdere di vista la propria sfera personale per colpa del lavoro.

Dobbiamo valorizzare questa forza lavoro, il loro lavoro, e quello che possono darti. La cosa importante è trovare un team di lavoro a misura di tutti, adottando una strategia diversa per arrivare all’obiettivo: prima c’era quella della ‘paura’, del ‘se non fai così la conseguenza sarà questa’, ma oggi i leader agiscono diversamente, ascoltando le esigenze dei ragazzi che vogliono lavorare in ambienti dove siano rispettate la diversity inclusion, la sostenibilità eccetera. 

Ricostruiamo le regole, quindi, ma con un mindset positivo“.

Nel mindset giusto, per Rocca, una parte importante la riveste lo sport: “Lo yoga, la meditazione, prima non ci credevo, ma sono fondamentali per far recuperare la mente“.

Parlando di Women X Impact, e di donne nel mondo lavorativo, non si possono ignorare i bias e i doppi standard che culturalmente la società ha nei loro confronti, in qualunque caso: se sono madri, spesso viene loro chiesto di scegliere tra la carriera e la famiglia, ma se sono single vengono sovraccaricate di lavoro con la scusa del ‘Tanto non hai nessuno a casa’.

Partiamo da un bias, come hai detto tu, io ti sto giudicando, ti sto discriminando perché tu non hai diritto al tuo tempo non essendo mamma. Ma chi l’ha detto questo? Parliamo di un bias cognitivo in cui le persone si sentono legittimate a giudicare diversamente due persone, ed è qui che si formano le discriminazioni. Nessuno giudica un uomo che non ha avuto figli, né che si è sposato più volte. Le donne vengono ‘analizzate’ e giudicate per ogni singolo aspetto delle loro vite”.

Ti faccio l’ultima domanda: questa chimerica ricerca del benessere è un lavoro che parte solo ed esclusivamente da se stessi, per i motivi che abbiamo detto prima, o è un lavoro in sinergia da compiere assieme all’azienda? Ovvero, è anche l’azienda che deve preoccuparsi del tuo benessere, o questo è un miraggio che non ci possiamo aspettare?

Il lavoro il dipendente lo deve fare su se stesso perché è in primo luogo qualcosa che fa del bene a se stessi. Non sempre è necessaria la psicoterapia, non stigmatizziamola ma non rendiamola neanche l’unica strada percorribile, banalmente a qualcuno basta ritagliarsi un proprio spazio per meditare, oppure per stare in perfetta solitudine. C’è tutto un lavoro personale che si può fare anche senza psicoterapeuti. Inserendosi nel contesto lavorativo, è chiaro che ci sia bisogno di collaborazione anche dall’altra parte, se io ti faccio mobbing, ti distruggo la vita, è ovvio che ciò che si fa da soli non sia sufficiente.

Secondo me, da un lato bisogna formare, ma dall’altro si dovrebbe cominciare a punire i comportamenti sbagliati: discrimini? Io, azienda, ti punisco, oppure inserisco negli obiettivi che devi dimostrarmi che hai saputo fare un determinato lavoro sul tuo team, senza discriminazioni o pregiudizi.

C’è da dire che spesso, purtroppo, le prime a peccare sono proprio le aziende: peccano soprattutto di mancanza di identità, o di trasparenza. Anche rispetto al tema della diversity, molte aziende non fanno altro che pinkwashing, seguono il filone che va di moda giusto per ingraziarsi target diversi, ma questa non è una strategia onesta e alla lunga non paga. Magari hanno intere campagne pubblicitarie dedicate alla gender equality, poi nell’organigramma, ai ruoli manageriali, hanno solo uomini, oppure hanno un gender pay gap spaventoso. E lo dico partendo dal presupposto che una parte di responsabilità, in questo, lo abbiano le donne, noi negoziamo abbastanza male gli stipendi, per paura di non trovare lavoro o perché viviamo costantemente nella sindrome dell’impostore”. 

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