Denuncia le violenze, ma per il pm è un "Fatto culturale": "Per essere creduta dovevo morire"
La donna, originaria del Bangladesh e vittima di violenza domestica, ha raccontato la sua storia in tv: “Nessuno mi ha creduta”.
La donna, originaria del Bangladesh e vittima di violenza domestica, ha raccontato la sua storia in tv: “Nessuno mi ha creduta”.
La donna originaria del Bangladesh che aveva denunciato il marito per maltrattamenti, ma che ha visto il pm di Brescia chiedere l’assoluzione in quanto gli stessi avrebbero costituito un “fatto culturale”, ha raccontato la sua storia ieri, 31 ottobre 2023, a È sempre cartabianca.
Cresciuta in Italia, la donna, oggi 27 anni, aveva incontrato il marito nel paese di origine e lo aveva sposato con un matrimonio forzato: “Da lì inizia la mia vita da sposa bambina”, ha spiegato la donna, dopo aver raccontato di essere stata incastrata dalla famiglia in un matrimonio non voluto nel 2013, in seguito a un viaggio in Bangladesh per il funerale del padre.
“Vivevamo in una stanza, dove ho vissuto continui maltrattamenti. Mi spingeva, mi tirava e continuava a insultarmi. Le ultime violenze sessuali che ho subito erano con i calmanti: lui mi dava queste pillole che prendeva e io la notte mi svegliavo e mi ritrovavo la sua faccia su di me”. Poi la denuncia, inascoltata, per i maltrattamenti fisici e psicologici a cui l’uomo l’aveva sottoposta per anni.
“In questo scatto si vedono i segni delle dita, ho chiamato la Polizia ma non è successo nulla. Sono andata dai carabinieri e anche lì non sono stato creduta”, ha detto la donna alle telecamere di Rete 4. Poi, il colloquio con il magistrato:
Mi ha convocato, era una donna, ha visto lo schiaffo: mi ha detto che era una sculacciata che si dà a un bambino, le ho detto che mi aveva obbligato a prendere le pastiglie e mi ha chiesto perché non avessi morso il suo dito (…) Nessuno mi ha creduto. Forse era meglio morire, se fossi morta forse mi avrebbero creduto. O andando all’ospedale, forse. Cosa doveva farmi di più? Ci vuole tanto coraggio per andare lì.
Infine, il processo, e la sentenza shock: il fatto sarebbe stato connesso all’impianto culturale del paese di origine della vittima e dell’imputato. Recita così l’accusa, come riportato da Open:
Contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine.
Una sentenza pregna di razzismo, e non solo per le valutazioni del pm, che rispecchiano i pregiudizi nei confronti della cultura dell’imputato, ma anche perché, in questo modo, non si è fornito adeguato supporto alla vittima. “Io ho lottato per me, per le mie figlie e continuerò a farlo per le donne che subiscono oggi quello che ho subito io, affinché possano sentirsi libere di denunciare senza subire i pregiudizi”, aveva dichiarato la donna all’epoca al Giornale di Brescia.
Perennemente con la musica in sottofondo e un libro di Flaubert in borsa, amo le grandi città e i temporali. Da bambina volevo diventare una scrittrice di gialli. Collaboro con Roba Da Donne, DireDonna e GravidanzaOnLine.
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