Sterilizzate contro la loro volontà per controllare le nascite: è il destino che sarebbe toccato a centinaia di migliaia di donne indigene del Perù, appartenenti soprattutto alle etnie quechua e aymara, negli anni ’90, sotto la presidenza di Alberto Fujimori, attualmente in carcere, condannato a una pena di 25 anni, per violazione dei diritti umani e per aver ordinato alcune stragi che hanno devastato il Paese, come il massacro di Barrios Altos del 3 novembre 1991 o quello all’Università La Cantuta del 1992.

È quanto emerge dalle carte presentate dalla procura peruviana, che ha presentato accuse formali all’ex dittatore e a tre ex ministri della Salute in forza durante il governo di Fujimori, e che lo accusano di altri crimini contro l’umanità, stavolta nei confronti della comunità indigenza peruviana.

Donne soprattutto, lo abbiamo detto, ma anche uomini sarebbero finiti al centro del “piano di salute pubblica” voluto da Fujimori per contrastare e limitare la natalità nelle popolazioni indigene: sarebbero oltre 350.000 le donne vittime dell’opera di sterilizzazione forzata, compiuta presumibilmente nell’ultimo quinquennio di presidenza, quindi dalla metà del 1990 fino al 1999, ma ci sarebbero anche 25 mila uomini. Tutte persone scelte tra quelle appartenenti alle comunità delle aree rurali e più povere del Paese, che da sempre, e ancora oggi, hanno vissuto sotto fortissime discriminazioni.

Per fare alcuni esempi, come si legge in questo articolo, secondo un sondaggio UNICEF il 78% dei bambini di lingua quechua o ayamara vive in povertà rispetto a quelli aventi come prima lingua lo spagnolo, e solo il 32% dei bambini indigeni di età compresa tra i 3 e i 5 anni frequenta la scuola, rispetto al 55% dei bambini non indigeni, mentre meno del 50% della popolazione ha accesso all’assistenza sanitaria, come sostiene l’Instituto Nacional de Estadística e Informática (INEI).

Proprio le gravi condizioni di indigenza in cui versa la popolazione indigena ha rappresentato la difesa di Fujimori in tutti questi anni: secondo i suoi legali, le sterilizzazioni sarebbero avvenute con il consenso delle donne, proprio al fine di ridurre la povertà. Peccato che oltre 2000 vittime siano pronte a testimoniare di essere state costrette a sottoporsi a questa operazione, mentre altre sostengono di essere state imbrogliate.

Dopo diversi anni di stallo, oggi finalmente Fujimori è chiamato a rispondere per questo crimine.

Questa udienza è il primo passo per la possibile apertura di un’indagine penale, che le donne aspettano da più di 25 anni.

Sono le parole con cui Marina Navarro, direttrice di Amnesty International in Perù, ha commentato la notizia del nuovo processo all’ex dittatore. La prima udienza, sotto la guida del pubblico ministero Pablo Espinoza, si è tenuta in virtuale, a cause delle misure di contenimento del Covid, e nel corso del dibattimento proprio il pm ha sottolineato come Fujimori e gli ex ministri abbiano “giocato con la vita e la salute riproduttiva delle persone, senza preoccuparsi dei danni“.

L’ex presidente e i suoi ex ministri sono ora accusati di essere “autori indiretti di danni alla vita e alla salute, lesioni gravi e gravi violazioni dei diritti umani”.

Sappiamo che purtroppo la sterilizzazione è un’arma usata da diversi governi per reprimere le comunità più povere o emarginate per ragioni culturali, sociali o religiose; abbiamo parlato della medesima politica attuata dal governo cinese nei confronti della comunità Uiguri, proprio perché il controllo delle nascite, attuato attraverso le sterilizzazioni forzate di donne (più spesso) e uomini è il metodo più facile per controllare la riproduzione e la crescita demografica. In Perù adesso però le donne si sono ribellate, e provano ad avere giustizia.

Sfogliate la gallery per ripercorrere tutti i fatti.

L'orrore delle sterilizzazioni forzate delle 350.000 donne indigene in Perù
Fonte: Istock
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