"Tossica: speriamo attacchi l'Aids a negri e antifascisi": gli insulti a Giada

"Tossica: speriamo attacchi l'Aids a negri e antifascisi": gli insulti a Giada
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Il periodo di campagna elettorale, si sa, è sempre ricco di contrasti e discussioni tra gli esponenti delle diverse fazioni politiche. Del resto, lo scambio di opinioni sui diversi temi di propaganda fa parte del sottile gioco degli equilibri del mondo politico, e, soprattutto su alcuni temi definiti “caldi” lo scontro dialettico può inasprirsi e farsi piuttosto acceso.

Ma cosa succede se si travalicano i confini del dissenso ideologico rispetto a un avversario politico, se si oltrepassa il limite della decenza che impone, comunque la si pensi, di conservare la stima e la considerazione personale del’individuo  in quanto tale, e ci si abbandona ad argomentazioni – se così possono essere definite – di ben altro tipo, basate su null’altro che pregiudizi, misoginia e ignoranza?

Accade che la diatriba politica trascende dai temi su cui si gioca il confronto elettorale per entrare nei ranghi di un discorso di ben altro tipo, e ahimè assai più ampio, in cui è fin troppo facile emettere giudizi sulla base dell’aspetto fisico, del’atteggiamento, se non puramente della propria identità di genere. Come a dire, non conta ciò che rappresenti, ma come appari, per questo a prescindere ti meriti il mio disprezzo.

Una storia vecchia come il mondo che puntualmente si ripete: la forma più della sostanza, l’apparire più dell’essere. Ma allora perché ci sorprende ancora tanto, quando capita?

Forse perché, nella nostra inguaribile fiducia verso il genere umano, pensiamo ogni volta di essere arrivati a un punto in cui questa cosa sia stata definitivamente superata; che le tanto ostentate battaglie di democrazia, libertà e uguaglianza, altisonanti più del Liberté Egalité Fraternité francese, siano qualcosa di più di un semplice discorso demagogico strappa applausi. E invece, va a finire che appena se ne ha l’occasione ecco che i peggiori istinti escono, e via al valzer del come ti vesti, come ti presenti e, naturalmente, se sei una donna, del quanto saresti scopabile.

Banale, fin troppo, sottolineare che il più delle volte tutto ciò accada non nel contesto di un dialogo faccia a faccia, ma nel luogo in cui, più di tutti, si può osare, dire di tutto senza vivere nel timore del confronto con il soggetto di tanto livore: il Web, ovviamente. I social, in particolar modo.

Giada Stefana è candidata alle elezioni del prossimo 4 marzo con il partito Liberi e Uguali, ma questo conta decisamente poco ai fini di questo articolo; ciò che sorprende negativamente, e ci spinge a riflettere su quanto sia lunga ancora la strada da fare per poter parlare davvero di “rispetto” ed “equilibrio”, è il modo in cui gli utenti in Rete si siano scatenati, impegnandosi non a valutarne – ed eventualmente ribatterne – le idee politiche o le proposte, ma l’aspetto, e talvolta persino il solo essere donna.

Forse (vogliamo concedere il beneficio del dubbio, anche se sarebbe più corretto scrivere “sicuramente”) la maggior parte di chi ha sprecato due minuti del proprio tempo per discutere dei capelli colorati di Giada, dei suoi piercing e della sua stessa femminilità non si è minimamente neppure preoccupato di scoprire quale programma questa ragazza intenda presentare; mentre alcuni si soffermavano sul suo “aspetto da centro sociale”, a darle della “tossica” o ad augurarsi che possa “attaccare l’AIDS a 7-8000 negri e antifascisti” per “farne fuori un bel po'”, nessuno ha pensato allo spettacolo osceno di ignoranza, discriminazione, intolleranza, sessismo e razzismo che si stava offrendo.

Giada è “una femminista, che solo un professionista potrebbe scopare, con la sifilide al terzo stadio” e, purtroppo, molto altro ancora. Niente di nuovo sotto al sole, lo abbiamo già visto nel recente passato nel caso, ad esempio, di Giulia Innocenzi: se sei una donna “normale” nessuno verrebbe a letto con te, se sei una donna piacente la tua sola qualità è che tutti vorrebbero venire a letto con te.

È un copione letto fin troppe volte, eppure ogni volta rimaniamo inevitabilmente scottate dalla presa di consapevolezza, decisamente triste, di quanto il confronto “ideologico”, per molti, si risolva in un banale appiattimento che trova la sua massima argomentazione nel giudicare il tuo “appeal sessuale”. “Altro che programmi politici, a me interessa se potrei portarti a letto o no!”, chissà perché, ma quando leggiamo commenti come quelli rivolti a Giulia, a Giada e a molte altre  ci immaginiamo sempre una scena del genere, in cui il tipo di turno elabora un “filosofico” concetto molto simile a questo, prima di riversare sulla tastiera tutta la sua virilità da maschio italico.

Ma dunque sul serio basta presentarsi con un look “diverso”, dichiararsi femminista o, semplicemente, essere donna per essere bollata, etichettata, impacchettata e messa nell’angolo di “quelle che si meritano gli insulti social“? Eppure, pensavamo di aver superato tutto questo anni fa. Almeno, così ci era stato detto da chi si riempiva la bocca parlando di “quote rosa”, “pari opportunità” e dall’ipocrita puritanesimo dell’abito che “non fa il monaco”. Molto meglio essere onesti, allora, e ammettere che, almeno per molti, lo fa eccome.

Perlomeno, non ci saremmo illusi di poter affrontare un discorso, anche politico, senza la preoccupazione di dover prima abbattere barriere di ben altro tipo, e decisamente più resistenti.

Abbiamo raccolto gli screenshot di alcuni dei commenti postati da Giada sulla sua pagina Facebook. Inutile aggiungere che leggere certe parole sia, oltre che ingiusto, profondamente deprimente.