La situazione nella Striscia di Gaza è di una gravità difficilmente immaginabile. Si stima che si sia arrivati ai 25mila morti, di cui per l’ONU il 70% è composto da donne e minori. Manca tutto, dall’assistenza sanitaria adeguata, al cibo e all’acqua.

Accanto a questo orrore appare evidente che sia in corso anche un epistemicidio, caratterizzato dalla sistematica distruzione dei luoghi culturali. Università, scuole e biblioteche sono stati demoliti o gravemente danneggiati, mentre docenti e intellettuali sono stati uccisi. La studiosa palestinese Karma Nabulsi ha coniato il termine “scolasticidio” per descrivere questo orrore.

“Il messaggio è stato chiaro fin dall’inizio dell’attacco di Israele a Gaza: le istituzioni educative palestinesi vanno distrutte”, ha scritto su Il Manifesto Nicola Perugini, Docente di relazioni internazionali all’università di Edimburgo.

In questa situazione disperata, è fondamentale evidenziare le cifre allarmanti riportate da EuroMed Human Rights Monitor e dal ministero palestinese dell’istruzione superiore: Israele ha causato la distruzione di 281 scuole pubbliche e 65 scuole delle Nazioni Unite. Non solo. 94 accademici, 4.327 studenti e 231 insegnanti hanno perso la vita. La distruzione deliberata del patrimonio intangibile ha privato la popolazione di Gaza della propria storia e identità culturale. Un popolo senza una storia non è un popolo.

È difficile quindi non pensare che tali politiche distruttive non abbiano come obiettivo quello di minare il potenziale di sviluppo intellettuale della  popolazione palestinese.

È importante notare che nelle istituzioni accademiche israeliane sono stati presi provvedimenti contro i docenti che hanno richiesto una tregua. Anche in Cisgiordania Israele ha perpetrato una repressione sistematica contro l’istruzione palestinese, attaccando studenti e personale per decenni.

“Lo spazio palestinese dell’istruzione a Gaza è stato cancellato, al punto che quando il genocidio sarà finito, non ci sarà un sistema educativo a cui tornare”, ha continuato Perugini. “Dovremmo chiedere alle nostre università di rompere il silenzio e di porre fine a ogni forma di complicità con ciò che sta accadendo a Gaza”.

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