Helmut Kentler è stato una delle massime autorità tedesche in fatto di psicologia e sessuologia, tanto che il prestigioso Die Zeit lo ha descritto come “la principale autorità della nazione in materia di educazione sessuale”.

Peccato che nella sua lunga carriera ci sia un’ombra, terribile, scoperta solo in tempi recenti grazie alle indagini, iniziate per espressa richiesta del Senato di Berlino, della politologa Teresa Nentwig, dell’Istituto per la ricerca sulla democrazia di Göttingen, che ha condotto ricerche approfondite sugli abusi subiti per anni da bambini e ragazzi affidati ad alcune famiglie pedofile proprio da Kentler, grazie a un “esperimento sociale”, come veniva definito all’epoca, portato avanti a partire dagli anni ’70 con autorizzazione e finanziamento dallo stesso Senato tedesco.

A ricostruire l’orribile vicenda che ha visto coinvolto lo psicologo, scomparso nel 2008, il New Yorker, che ha raccolto la testimonianza scioccante di uno dei ragazzi affidati, nel corso dell’esperimento, all’ingegnere Fritz Henkel, Marco, che oggi ha 38 anni, è sposato ed è padre di due figli.

Se qualcuno dovesse morire davanti a me, ovviamente vorrei aiutarlo, ma non mi influenzerebbe emotivamente – ha spiegato il ragazzo al New Yorker, parlando delle conseguenze che crescere nella casa di Henkel ha causato al suo stato emotivo e alla sua capacità di esprimere le emozioni – Ho un muro e le emozioni vi si scontrano.

Marco dice di aver scoperto chi fosse Kentler solo dopo aver visto la sua faccia in tv; per lui, per tutta la sua infanzia, era semplicemente stato l’uomo da cui ogni tanto si recava con il suo padre affidatario. Dopo quella volta, ha spiegato di essersi messo in contatto con Teresa Nentwig, e che lei fece fatica a credergli, visto che le indagini che aveva svolto sembravano riportare tutte agli anni ’70; Marco sosteneva invece di aver lasciato la casa-famiglia solo nel 2003.

Perché Marco finì nel progetto Kentler

Nell’88, quando aveva 5 anni, Marco fu investito da un’auto mentre attraversava la strada nel quartiere Schöneberg di Berlino, in cui abitava con il fratello e con la madre, una ragazza sola che doveva lavorare molte ore al giorno al chiosco di salsicce che aveva per poter provvedere ai figli. Gli assistenti sociali decisero che la giovane non era in grado di occuparsi dei figli, e allontanò Marco assegnandolo a Henkel, che abitava in uno dei quartieri di lusso della città, in una casa con almeno cinque camere da letto.

L’ingegnere era già finito nel mirino degli inquirenti nel ’79, con l’apertura di un’indagine a suo carico dietro segnalazione di un’assistente sociale per una “relazione omosessuale” con uno dei suoi figli. In quell’occasione, proprio Kentler intervenne in difesa di Henkel, sostenendo di conoscerlo da tempo per via di un progetto di ricerca, e permettendo che l’indagine fosse archiviata.

Fra i tanti ragazzi affidati a Henkel, Marco ricorda nitidamente Sven, un bambino di 7 anni che probabilmente arrivava dalla Romania; entrambi, ha dichiarato al New Yorker, dovettero accondiscendere alle richieste sessuali del loro padre affidatario, benché non ne parlassero mai tra loro.

Accettavo questa cosa soltanto per lealtà, perché non sapevo nient’altro. Non pensavo che quello che succedeva fosse una cosa buona, ma pensavo fosse normale. La vedevo un po’ come il cibo. Le persone hanno gusti differenti riguardo al cibo, così come alcune hanno gusti differenti riguardo alla sessualità.

Lentamente, grazie anche all’intercessione di Kentler, Henkel riuscì a isolare Marco dalla famiglia d’origine, cui era permesso visitarlo una volta al mese, sostenendo che vederli fosse destabilizzante per lui. Del padre di Marco, un rifugiato palestinese che aveva divorziato subito dalla moglie, si sapeva ancor meno, e cioè che fosse il bambino stesso a non volerlo vedere, perché all’epoca del suo matrimonio l’uomo lo avrebbe picchiato.

Nel marzo 1992, quando Marco aveva nove anni, la famiglia originale chiese e ottenne un’udienza in tribunale per capire perché il loro figlio stesse crescendo in casa di un estraneo; il bambino venne anche ascoltato privatamente dal giudice, ma più d’uno ebbe il dubbio che le risposte di Marco fossero preparate. Confermò infatti di non voler vedere spesso la mamma naturale, e solo in presenza di Henkel, che lui chiamava “papa”, e di non voler vedere affatto il padre biologico. Ancora una volta, Kentler approfittò dell’occasione per chiedere al giudice che gli incontri di ogni natura con la famiglia d’origine fossero totalmente sospesi per due anni.

Quando Marco aveva 11 arrivò a casa Henkel Marcel Kramer, un bambino affetto da tetraparesi spastica, patologia che paralizza la muscolatura volontaria di tutti gli arti, e lui, assieme a Sven, diventò il suo custode, imboccandolo, pulendogli le vie respiratorie e aspirando il muco con un tubo. Marco afferma che Kramer fu la prima persona verso cui, dopo anni, provò dei sentimenti. Crescendo, aveva anche imparato a difendersi dalle aggressione sessuali di Henkel, tanto da arrivare a ferirlo a una mano, una notte.

L’uomo non lo toccò più, ma attuò molte severe punizioni nei suoi confronti, ad esempio chiudeva a chiave la porta della cucina per impedirgli di mangiare. Eppure, quando raggiunse i 18 anni e fu legalmente libero di andarsene dalla casa di Henkel, Marco non lo fece.

È una cosa molto difficile da descrivere, ma non sono mai stato educato a pensare in modo critico a niente, avevo la mente vuota.

Una svolta, per lui, fu la morte di Kramer. Il ragazzo si prese un’influenza, e Marco lo vegliò giorno e notte, mentre Henkel si convinse solo troppo tardi a chiamare quel medico che aveva sempre evitato di allertare. “Lo stavo guardando negli occhi quando è morto”, ha detto Marco del fratello adottivo. La nota dei servizi sociali sull’accaduto recita “Marcel Kramer è morto inaspettatamente la scorsa notte, senza segni di precedenti infezioni”. Henkel, che all’epoca aveva 60 anni, chiese di poter accogliere un altro bambino, ma la richiesta fu respinta, e la sua casa-famiglia chiuse definitivamente i battenti nel 2003.

Anni dopo, Marco spiegherà che proprio Kramer fu il motivo per cui a 18 anni non lasciò la casa di Henkel.

Non lo avrei mai lasciato indietro.

Marco fu aiutato a trovare una casa popolare e, a differenza di Sven, decise di chiudere ogni rapporto con Henkel, la cui figura gli ha lasciato delle ripercussioni emotive e psicologiche molto importanti, nonostante oggi sia un uomo adulto, padre a sua volta.

La figura di Helmut Kentler

A incidere, nel pensiero sviluppato poi da Kentler, proprio l’idea delle figure paterne e i danni a essa collegati; lo psicologo fu infatti fortemente influenzato dalla figura di suo padre, un sottotenente tedesco durante la Prima Guerra mondiale convinto che l’autoritarismo e la repressione fossero i metodi educativi più efficaci.

“Avevo un solo desiderio: che prendesse la mia mano e la tenesse nella sua”, scrisse una volta Kentler, ricordando anche, in un suo libro del 1989, Leihväter. Kinder brauchen Väter (ovvero Padri in prestito. I bambini hanno bisogno di padri), un episodio avvenuto durante la Kristallnacht, la notte dei cristalli, tra il 9 e il 10 novembre 1938, quando suo padre rifiutò l’accoglienza alla famiglia ebrea che viveva nel piano sotto al loro, il cui appartamento era appena stato distrutto. “Improvvisamente, di mio padre mi sembrò ridicola ogni cosa”, scrisse lo studioso. Più tardi, quando tornò dal secondo conflitto – all’epoca Kentler aveva diciassette anni – il padre sembrò essersi tramutato in un essere svuotato di ogni sembianza umana, e lui decise di non obbedirgli mai più.

Il New Yorker asserisce che sull’operato di Kentler influirono molto anche il contesto della Germania dell’Ovest nell’immediato dopoguerra, e in generale l’attitudine contraria all’omosessualità della società; dal canto suo, si dichiarò apertamente gay dopo la laurea all’università di Hannover, nel 1960.

Considerando la repressione sessuale come la spinta motrice che aveva offerto il lasciapassare al fascismo e al nazismo, dagli anni ’60 sperimentò degli asili nido, sparsi in tutto il Paese, in cui i bambini venivano lasciati nudi e liberi di esplorare reciprocamente i propri corpi; nello stesso tempo, Kentler iniziò a frequentare eroinomani e giovani prostitute che si ritrovavano nei pressi della famosa stazione dello zoo di Berlino, scoprendo un legame tra alcuni ragazzini e un pedofilo da loro chiamato “Madre Inverno”, a cui offrivano sesso in cambio di cibo e abiti.

Proprio quelle testimonianze gli fornirono lo spunto per chiedere al Senato di Berlino l’autorizzazione a creare case-famiglia abitate dai pedofili nei quartieri vicini alla stazione, basandosi sulla teoria secondo cui  il contatto sessuale fra adulti e bambini fosse “innocuo” e che i bambini dovessero esprimere la propria sessualità.

Nel 2018, tre anni dopo l’uscita delle prime notizie sull’esperimento, Cornelia Schmalz-Jacobsen (FDP), al tempo senatrice per la gioventù e la famiglia dello Stato di Berlino, dichiarò di essere a conoscenza del progetto, ma non dei suoi risvolti riguardo la pedofilia; secondo l’ex senatrice l’obiettivo dell’esperimento era solo quello di dimostrare l’idoneità all’adozione degli omosessuali.

Tuttavia, secondo questo articolo un rapporto scritto da Kentler per il Senato esplicitava l’esistenza di relazioni sessuali, considerati però consensuali e privi di costrizione; Kentler stesso ebbe relazioni di natura sessuale con uno dei tre figli adottivi con cui viveva, scrivendolo espressamente in una lettera a un collega del 1985, in cui affermò di avere “un’appagante storia d’amore” con il figlio ventiseienne che poi si suiciderà nel 1991.

Dal 2015 il governo della città di Berlino ha istituito un numero da chiamare per gli ex partecipanti all’esperimento, affinché possano denunciare quanto accaduto. Dal punto di vista giudiziario, i crimini sono andati in prescrizione e le persone coinvolte sono quasi tutte morte. Un solo superstite, sospettato di far parte della rete di Kentler, ex capo di un ufficio per la tutela dei minori, non è stato neanche processato, come ha spiegato Marco.

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