Il 9 dicembre 2024 sul New York Times è uscito The Killings of Young Mothers, articolo interattivo firmato Sara Chodosh e illustrato da Angelica Alzona, che parte da un dato drammatico:

Negli Stati Uniti, il rischio di una donna di essere uccisa aumenta quando rimane incinta e nel post partum — di circa il 20 percento, in media.

Questa percentuale, dati alla mano, è determinata dai femminicidi delle madri più giovani:

Quando le donne sotto i 25 anni rimangono incinte, le loro probabilità di morte per omicidio (femminicidio, sarebbe più corretto), aumentano di più del doppio.

Il femminicidio di Markitha Sinegal

L’articolo prende le mosse dalla storia di una giovane donna di New Orleans, madre di due gemelle di nove mesi, uccisa dal suo compagno a soli 20 anni. La storia di Sinegal è quella di molte giovani donne che vivono relazioni tossiche dalle quali non riescono a fuoriuscire per motivi legati principalmente alla dipendenza economica – che una gravidanza e la nascita di un figlio, non fanno altro che aumentare – ed emotiva.

Leggere i dati dei femminicidi delle neomadri

Uno degli studi presi in considerazione, analizza le cause delle morti delle donne associate alla gravidanza avvenute dal 2017 al 2020 in Louisiana, dove la stessa Sinegal viveva. I dati, tratti dalla Pregnancy-Associated Mortality Review Committee locale, ci dicono che:

Il femminicidio è la seconda causa di morte delle donne incinte e delle neomamme, seconda solo alle overdose accidentali.

Si parla nel dettaglio di omicidi associati alla gravidanza, e secondo epidemiologi e ricercatori sanitari siamo di fronte a un problema di salute pubblica vero e proprio.

Posto che un aumento del rischio femminicidio riguarda tutte le giovani madri, i dati americani a livello nazionale ci dicono anche che le donne afrodiscendenti e non bianche sono colpite in percentuali maggiori.

Secondo l’epidemiologa Maeve Wallace, dal 2018 al 2022 negli Stati Uniti sono state uccise durante la gravidanza o entro l’anno successivo oltre 837 donne; ma il dato è per forza di cose sottostimato, perché i registri che indagano la mortalità materna a livello federale hanno introdotto l’opzione gravidanza e post partum solo recentemente, e ancora manca un loro coerente utilizzo.

Le cause dei femminicidi associati alla gravidanza

L’assassino, in questi casi, è sempre un marito, un fidanzato o persona legata sentimentalmente alla vittima, che agisce secondo moventi strettamente connessi alla gravidanza e alla genitorialità. Tra i possibili moventi:

  • La volontà di nascondere la gravidanza e non affrontare la paternità
  • L’impossibilità di accedere all’aborto
    e quindi di interrompere gravidanze indesiderate e che vanno a esacerbare situazioni tossiche pregresse, generando o aggravando problemi di natura economica e finanziaria, e alterando dinamiche relazionali, emotive e progettuali.
  • Recrudescenza della violenza domestica, nella quale si annoverano:
    • Logiche di potere e controllo, tipiche delle relazioni già abusanti,
      che la gravidanza può esacerbare, alterando le dinamiche già tossiche della relazione;
    • Il minor controllo percepito dall’abuser sulla partner,
      nel momento in cui questa crea un legame con il figlio in arrivo o appena nato;
    • La dipendenza economica,
      accresciuta dalla gravidanza e in vista dell’arrivo del figlio, che impediscono alla donna di andarsene.

Il caso italiano di Giulia Tramontano

A questo punto, nel lettore e nella lettrice residente in Italia, non può che essere scattata l’associazione con il femminicidio di Giulia Tramontano. Ma il tema è, se possibile, ancora più complesso e, per quanto la parte emersa possa sembrarci enorme, il sommerso ha le famose proporzioni della parte dell’iceberg che non si vede.

Secondo gli esperti di violenza da partner intimo, l’abuso quasi sempre precede la gravidanza.
C’è del resto un nesso tra gravidanza, fertilità e violenza del partner intimo che precede il concepimento stesso, e che ha a che fare con la coercizione riproduttiva.

La violenza nascosta della coercizione riproduttiva

Nel contesto dell’istituzione patriarcale del matrimonio la nascita di un figlio, e in particolare di un figlio maschio, storicamente non è mai stata solo una felice ricorrenza possibile, quanto una conditio sine qua non il matrimonio poteva essere annullato e la moglie ripudiata per contrarre altre nozze in grado di dare un erede legittimo all’uomo.

Questo retaggio può sembrare antico solo a chi voglia ignorare un rapido e parziale excursus su alcune leggi (ve ne sarebbero molte altre):

  • 1919 Abolizione autorizzazione maritale sui beni e le proprietà della moglie
  • 1975 Riforma della famiglia con la soppressione della figura del capofamiglia resistita ai fini anagrafici fino a oggi
  • 1981 Legge 442: abolizione matrimonio riparatore, delitto d’onore e abbandono di neonato per causa d’onore.

In questo contesto culturale, si inserisce una delle forme riproduttive più subdole: la coercizione riproduttiva. L’obbligo, cioè ad avere uno o più figli.

L’ho indagato per anni, tra gli altri temi, ai fini della realizzazione del saggio-inchiesta Libere. Di scegliere se e come avere figli: è un vaso di Pandora, una volta che lo si scoperchia escono tutti i mali del mondo, eppure non se ne parla mai. Il tema è assente dal dibattito pubblico proprio perché manca il punto di vista, la conoscenza stessa del problema e quindi la capacità persino di immaginarlo.

Il tema merita un approfondimento specifico in altra sede, ma si diano qui i due casi più eclatanti:

1. L’obbligo del figlio per le donne appartenenti a confessioni che vietano qualsiasi ricorso anche ai cosiddetti metodi naturali di prevenzione di gravidanza.

Se nella maggior parte dei casi la fede e la gestione riproduttiva sono condivise, sono molte le testimonianze di donne che – tra il 2020 e i 2022, in Italia – mi hanno raccontato di essere letteralmente costrette dal partner a rapporti sessuali non protetti (stupro coniugale!) e a diventare genitrici di “tutti i figli che il Signore manderà” nel corso della loro vita fertile, con conseguenze psico-fisiche devastanti.

2. La coercizione riproduttiva che pesa su donne obbligate a intraprendere (o proseguire contro la loro volontà) estenuanti procedure di fecondazione assistita per «rimediare» all’infertilità della coppia.

A costringere la donna è per lo più il partner, che agisce sulla compagna una forte violenza a livello psicologico, verbale e/o fisico, ma anche economico; ma pressioni, soprusi, ricatti e intimidazioni possono provenire anche dalla famiglia del partner o della vittima, o dalla comunità.

Il fenomeno, cresciuto con la fioritura della cosiddetta industria della fertilità, resta sommerso, ignorato, oltre che dai media, anche a livello scientifico e medico. In Occidente si tende a circoscrivere le manifestazioni del fenomeno a gruppi etnici non integrati ma, a dimostrazione del fatto che si tratti di pregiudizio razziale, nel 2020 l’American Society for Reproductive Medicine ha richiamato i medici specialisti della riproduzione al dovere etico di monitorare il benessere delle pazienti, con particolare riferimento ai casi di violenza del partner, tra i quali si annovera appunto la coercizione riproduttiva.

Prevenire la violenza di genere correlata alla gravidanza

Chi si occupa di diritti riproduttivi e salute riproduttiva sa bene che:

Il diritto all’aborto salva la vita delle donne

E non solo perché impedire l’IVG aumenta le morti delle donne che intraprendono percorsi clandestini e di quelle che si vedono rifiutare interventi salvavita dal personale sanitario finché c’è battito fetale.

I dati dimostrano che l’introduzione del diritto all’aborto e l’accesso alla contraccezione hanno contribuito in modo consistente al decremento dei casi di violenza domestica, intesa come violenza di genere ma anche violenza sui minori (quindi femminicidi e figlicidi compresi).

Supportare una genitorialità consapevole è il presupposto indispensabile per una politica che abbia a cuore la salute fisica e psicologica delle donne e dei minori.

Screening sulla violenza del partner intimo

L’altro intervento chiave, invocato anche nell’articolo del New York Times, sarebbe quello di condurre screening rigorosi e informati per prevenire la violenza del partner intimo durante le visite ostetriche di routine. Gli stessi appunto raccomandati dall’American College of Obstetricians and Gynecologists.

Peccato sia molto difficile, se non impossibile, vedere e quindi prevenire un problema di cui non si conosce neppure l’esistenza: come la violenza di genere associata alla gravidanza.

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