In Iran la repressione non sembra essere destinata a fermarsi. Ancora una volta, come già accaduto nelle scorse settimane, si sono registrati casi di intossicazione in sei scuole femminili del Paese, anche se gli attivisti restano della convinzione che il numero possa essere superiore rispetto a quanto dichiarato ufficialmente. Le ragazze che hanno subito l’avvelenamento sono state poi ricoverate in ospedale con sintomi che non lascerebbero dubbi: tutte loro avrebbero inalato una sostanza che non è stata ancora identificata.

I primi episodi sono avvenuti a novembre 2022, ma visto che la situazione sta proseguendo si è deciso di far luce sulla vicenda. Gli oppositori del regime non sembrano però avere grossi dubbi sulle motivazioni: l’obiettivo sarebbe quello di fermare l’istruzione femminile perché questo porterebbe le giovani ad avere un proprio pensiero su quello che sta accadendo nel Paese.

Il “rischio” concreto” sarebbe quello di ritrovarsi con altre persone intente ad andare incontro al governo, esattamente come accaduto tempo fa con l’uccisione di Mahsa Amini, episodio che ha reso ancora più feroci le proteste.

Il presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi, è convinto che le intossicazioni siano da ritenersi “l’ennesima cospirazione del nemico per creare paura e disperazione nella gente”. Anche l’Onu ha chiesto un’indagine trasparente.

Gli episodi hanno però contribuito a rendere ancora più forte l’ondata di malcontento. Una studente ne ha approfittato per abbassare la bandiera dell’Iran dal liceo femminile che frequenta, ad Akhundi nella provincia al confine occidentale di Kermanshah. Altri genitori e ragazzi, invece, non hanno esitato a manifestare il proprio dissenso davanti al Ministero dell’Istruzione.

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