In Iran la repressione, che ha avuto il suo picco a settembre 2022 in seguito all’uccisione di Mahsa Amini, continua ormai da mesi e non sembra essere destinata a fermarsi. A Qom, una delle principali città religiose del Paese, e a Borujerd, sono stati registrati centinaia di decessi per avvelenamento all’interno delle scuole. Secondo quanto riportato dal viceministro della Salute Youness Panahi, le vittime avrebbero tutte intorno ai dieci anni e sarebbero state fatte morire in modo intenzionale per raggiungere un obiettivo ben preciso: chiudere gli istituti da loro frequentati.

In attesa di fare ulteriore chiarezza sulla vicenda, appare chiara la volontà di spegnere ogni forma di dissenso, in modo particolare nei confronti delle donne.

Non appare casuale nemmeno la località in cui si è deciso di agire. Qom è infatti ritenuta un centro per eccellenza di studi sciiti, dove si formano sin da piccole le forme di opposizione al regime, particolarmente temute dalle autorità conservatrici. Gli episodi denunciati in Iran sembrano ricordare quanto accaduto in Afghanistan, territorio non troppo lontano, dove si è arrivati a proibire l’istruzione femminile per evitare che le donne possano formare un pensiero libero su quello che accade.

Gli avvelenamenti, secondo quanto spiegato da Panahi, sono stati “causati da composti chimici disponibili non per uso militare, che non risultano né contagiosi né trasmissibili“, la cui fonte non è stata però ancora individuata.

Altri casi simili sono stati riscontrati a Borujerd, città situata nel centro del Paese, dove circa 90 giovani allieve delle scuole superiori si sarebbero recate al pronto soccorso per ricevere assistenza con sintomi che farebbero pensare a un avvelenamento. Altri episodi hanno invece riguardato già a fine 2022 alcuni attivisti detenuti, che sono stati puniti per avere deciso di prendere parte alle proteste che procedono in modo quasi del tutto ininterrotto.

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