La città civile comincia dai bagni
Dimmi che bagni trovi nella tua città è davvero ti dirò per chi è pensata, a partire dalla frequenza di cambio dei rotoli di carta igienica.
Dimmi che bagni trovi nella tua città è davvero ti dirò per chi è pensata, a partire dalla frequenza di cambio dei rotoli di carta igienica.
Dimmi che bagno ha la tua città e ti dirò com’è.
Alla stazione di Tokyo i bagni non mancano. Come pure in quelle delle città più piccole, anche quelle meno visitate. Entro nel gabbiotto del sanitario accompagnata da una musica rilassante in filodiffusione, appendo la felpa e osservo l’asse pulita e fresca di igienizzatura automatica. Mi siedo e noto qualcosa di insolito, nell’angolo alla sinistra della porta, lato opposto all’apertura. Una specie di imbracatura di plastica bianca fissata al muro. Mi ricorda i seggiolini delle altalene per i bambini più piccoli.
E lì capisco, un comodo seggiolino per mettere i bambini in sicurezza e usufruire del servizio igienico in tranquillità. In un lampo visualizzo la situazione inversa, la persona con il bambino al seguito, le borse allacciate al corpo, il bambino che si muove e si colloca da solo come pure quello incapace di rimanere in piedi in autonomia. Quasi me la sento, la persona al bagno, che pensa a quanto sarebbe comodo se ci fosse un seggiolino.
Esco dal bagno con questo pensiero e subito un altro si affaccia alla mente. Ero nel bagno delle donne. Perciò corro dal mio compagno e dai nostri amici a chiedere se anche nel bagno degli uomini ci sono i seggiolini. “Certo”, mi rispondono. Certo, perché anche i padri si occupano dei figli e li portano in bagno.
Non sempre, non comunque e non scontato, ma perlomeno integrato nella progettazione dei bagni. Anche al sento, il bagno pubblico con vasche, ci sono i fasciatoi in entrambi gli spogliatoi. Un rinforzo sociale che non dà per scontato che siano le madri, le zie o le sorelle a gestire i bambini. Sembra un paradosso in una cultura tradizionalista come quella Giapponese, ma lo spostamento culturale si inizia a sentire. L’autonomia dei genitori è un forte strumento emancipatorio, soprattutto per le donne. Non essere costrette dalla distribuzione dei fasciatoi a subire il monopolio del cambio pannolino, apre un ventaglio notevole nella socialità delle donne.
Banalmente, significa poter portare a termine una conversazione, a cena, senza dover necessariamente rispondere alle necessità dell’infante, sapendo che il partner condivide quella responsabilità al 100%.
Il che fa quasi ridere se pensiamo che anche in una città come Milano i fasciatoi non solo sono sempre nel bagno delle donne, ma sono anche rari. Cambiare il pannolino diventa un’opera di nascondimento per evitare le occhiatacce di proprietari e commensali. I commenti, poi, si sprecano. Perché dire a voce alta che il cambio pannolino fa schifo è socialmente accettato. Che una persona – statisticamente una madre – si arrabbi perché nel ristorante non è previsto un fasciatoio, invece no. Lo stesso dicasi per l’allattamento in pubblico, demonizzato dalla stessa cultura che giudica aspramente le madri che non allattano pretendendo che stiano in casa, abneganti, con il lattante attaccato al seno e il lavoro in stand by.
I bagni, evidentemente sono riflesso di qualcosa di più profondo. Sono la realizzazione pratica e concreta di una disparità ideologica. Comunica l’esclusione di alcune persone e l’inclusione automatica di altre. Chi puó usare serenamente un bagno e trovarvi tutto ciò di cui ha bisogno? Tendenzialmente una persona abile, che non deve pulirsi con la carta igienica, che non sta mestruando, che non ha prole al seguito e che non ha bisogno di espletare i propri bisogni seduta.
Perché diciamocelo, nel bagno medio delle città italiane, anche la carta igienica è un miraggio. Per non parlare della pulizia dell’asse e dell’inaccessibilitá quasi scontata degli spazi preposti all’espletamento delle funzioni corporee base. Stretti, collocati in fondo o alla cima di almeno una rampa di scale e senza supporti o ausili per persone disabili, i cessi sono proprio per pochi.
Le strutture e le infrastrutture sono effettivamente riflesso di un sistema di potere che contempla il benessere di un solo tipo di persona maschile, bianca, proprietaria e abile.
Gli spazi giovani, soprattutto quelli occupati e sociali, però, costituiscono una controtendenza. E infatti, anche negli ambienti più complessi, in termini architettonici, qualcosa si prova sempre a fare. Banalmente, penso ai bagni dei centri sociali e degli spazi occupati, in cui sosta quasi sempre una scatola che offre assorbenti gratuiti a chiunque ne abbia bisogno. Chi passa può anche lasciarne qualcuno dei suoi per chi verrà dopo.
Un bagno, poi , è molto più che un posto dove urinare nel mezzo di un pasto. Può essere lo spazio per staccare da una conversazione spiacevole, un ambiente in cui riparare in caso di mestruazioni impreviste o circostanze spiacevoli. Un luogo che, quindi, ha un valore multiplo, ma non riconosciuto. Soprattutto in termini di condivisione.
Una città senza bagni pubblici comunica chiaramente un intento respingente nei confronti di tutte quelle persone che non stanno consumando. Se il bagno esiste solo come benefit accidentale di una transazione, allora non tutt* possono fruirne in maniera eguale. Anzi, alcun* non possono fruirne affatto.
Il bagno pubblico, inteso come spazio gratuito mantenuto dall’autorità pubblica, è aperto a chiunque ne abbia bisogno, sia questo costante – come nel caso delle persone senza dimora – o sia occasionale. Un bagno pubblico accessibile, gratuito e con una fornitura di assorbenti sempre a disposizione dell’utenza sarebbe possibile solo in città realmente coscienti delle necessità dei propri abitanti. Come pure bagni pubblici, accessibili e con fasciatoi disponibili a prescindere dalle aspettative di genere.
Le nostre città, però, non sono così. Non contemplano nemmeno uno spazio minimo per consentire a una donna madre di urinare senza tenersi il pargolo in braccio, costringendola indirettamente a non uscire da sola.
Una città vagamente interessata al benessere di chi la abita, al di là del reddito e dell’identità, partirebbe proprio da qui: dal garantire l’indipendenza dell’attraversamento a tutte. Sappiamo che la realtà è molto lontana dalle necessità del reale, ma sappiamo anche da dove partire.
Dimmi che bagni trovi nella tua città è davvero ti dirò per chi è pensata, a partire dalla frequenza di cambio dei rotoli di carta igienica.
Nata e cresciuta in Comasina, è una fotografa e una scienziata politica specializzata in relazioni internazionali e politiche globali, si occupa di disuguaglianze, espulsione sociale con un’ottica intersezionale e antispecista.
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