La Sibilla di Norcia, la regina vergine da cui si poteva scappare dopo 9, 30 o 330 giorni
Fata, maga, tentatrice o regina magnanima: la Sibilla di Norcia è, da tradizione, molte cose. Scopriamone la leggenda.
Fata, maga, tentatrice o regina magnanima: la Sibilla di Norcia è, da tradizione, molte cose. Scopriamone la leggenda.
Quella della Sibilla di Norcia è una delle figure più affascinanti tra le leggende italiane; le Sibille sono effettivamente state figure storiche (erano infatti vergini devote ad Apollo che si riteneva avessero virtù profetiche), ma spesso sono state menzionate nella mitologica greca e romana.
I nomi con cui vengono identificate cambiano a seconda delle zone geografiche di provenienza; per quanto riguarda la Sibilla Appenninica, detta anche Oracolo di Norcia, c’è da dire che non compare tra le dieci Sibille menzionate dal letterato Marco Terenzio Varrone (116-27 a. C.), visto che la sua origine risale a un periodo più tardo, ovvero al Medioevo.
Questa figura è una maga, incantratrice e indovina regina di un mondo sotterraneo paradisiaco a cui si accede attraverso la grotta che si apre sulla vetta del Monte Sibilla – che peraltro prende il nome proprio da lei -, nelle Marche. Secondo la leggenda fu condannata da Dio a vivere nelle viscere della montagna per essersi macchiata del peccato di superbia: si era infatti ribellata all’Onnipotente nel momento in cui era venuta a sapere che non sarebbe stata lei la madre di Gesù Cristo, ma Maria, un’altra vergine.
La storia, con il tempo, si è poi arricchita di altri particolari, come la presenza di un’inestimabile ricchezza custodita nelle sale sotterranee del Regno della Sibilla, dei Draghi posti a guardia dell’ingresso della grotta o delle Fate che dovevano attirare lì i cavalieri con la promessa di una vita lussuriosa.
Chi, nonostante gli ostacoli, fosse riuscito ad accedere alla grotta avrebbe comunque dovuto abbandonarla al nono giorno di permanenza oppure al trentesimo o al trecentrotrentesimo, pena la reclusione eterna nella montagna.
Non tutti però sono concordi nel dipingere la Sibilla come un’ammaliatrice di uomini gelosa e punita per la sua vanità; la tradizione locale, infatti, la vede come una fata buona, detentrice della conoscenza, conoscitrice dell’astronomia e della medicina in grado di elargire i propri oracoli profetici, circondata dalle Ancelle (le Fate della Sibilla) che vivevano con lei all’interno della grotta.
Per alcuni studiosi la storia della Sibilla Appeninica avrebbe avuto cinque stratificazioni culturali: quella legata alla civiltà preromana, una legata al culto romano della Dea Cibele, una attinente a un primordiale Cristianesimo che la indicò inizialmente come Sibilla Cumana, una quarta fase medievale, attinente a riti satanici e incantesimi, e infine una quinta fase legata al filone nordico del ciclo cavalleresco che ricorda il Tannhäuser di Wagner.
Le prime fonti scritte sulla Sibilla risalgono però al Basso Medioevo, e sono due i testi fondamentali a riguardo: Il Paradiso della Regina Sibilla (Le Paradis de la Reine Sibylle in La Salade), scritto da Antoine de La Sale intorno al 1420, e Il Guerrin Meschino, di Andrea da Barberino, steso intorno al 1410, ma stampato postumo solo nel 1473.
De La Sale, in un capitolo de La Salade, scrive la relazione di un viaggio in Italia durante il quale visitò Montemonaco e la grotta del Monte Sibilla, in uno scritto dedicato alla duchessa Agnese di Borgogna (moglie di Carlo I di Borbone, sorella di Filippo il Buono, principessa Borgogna), che sarebbe stata curiosa di conoscere meglio la leggenda sul lago e la grotta dei Monti Sibillini.
Riportando i racconti degli abitanti, che narrano di un cavaliere tedesco e del suo scudiero che sarebbero giunti fino al Regno della Sibilla, de La Sale descrive l’ingresso della grotta, parlando di stretti cunicoli che conducono a un baratro sotto cui scorre un fiume, e di un ponte che, se attraversato, conduce a una galleria attraversata da una strada comodissima, al termine della quale si trovano due statue di dragoni dagli occhi fiammeggianti. Superate le statue si percorrerebbe uno stretto corridoio che conduce a uno spiazzo dove si trovano due porte di metallo che sbattono l’una contro l’altra rischiando di schiacciare chi tenta di attraversarle, e oltrepassate queste un’altra porta molto luminosa che conduce nel regno della Sibilla, la quale è pronta ad accogliere il viaggiatore insieme alla sua corte di fanciulle e giovani.
Chi abita nella grotta, prosegue de La Sale, è in grado di comprendere tutte le lingue del mondo dopo nove giorni, mentre dopo trecento è in grado di parlarle; gli abitanti della grotta, inoltre, restano immortali fino alla fine dei tempi. Nella grotta, come in una sorta di Eden, non esistono dolore, vecchiaia, sofferenza, e tutti gli abitanti vivono nelle più fastose ricchezze, ma alla mezzanotte di ogni venerdì si trasformano in serpenti, rimanendo così fino al sabato.
Il cavaliere tedesco di de La Sale si sarebbe ben presto reso conto di trovarsi in un paradiso demoniaco, e avrebbe deciso di uscire prima dello scadere dell’anno, recandosi poi a Roma per chiedere l’assoluzione del Papa, il quale, come ammonimento, non la concesse subito. Disperato, il cavaliere avrebbe quindi deciso di lasciare dei messaggi d’addio ai pastori dei Monti Sibillini e sarebbe tornato nel Regno della Sibilla.
Il letterato fiorentino Andrea da Barberino ha invece composto Il Guerrin Meschino, un romanzo cavalleresco ambientato nell’anno 824 in cui si raccontano le gesta di Guerino, cavaliere presso la corte di Costantinopoli, soprannominato “meschino” perché non conosceva i propri genitori, motivo per cui aveva deciso di viaggiare per l’Europa, alla ricerca delle proprie origini. Durante il viaggio si era ritrovato a Norcia, paese da cui si parte alla volta della grotta della Sibilla, alla quale voleva chiedere il nome dei genitori.
La descrizione della corte della Sibilla data dal Barberino è molto simile a quella dei racconti popolari trascritti da de La Sale, così come le vicende vissute dal cavaliere. La Sibilla, nel Guerrin Meschino, trattiene Guerino senza rivelargli i nomi dei genitori, tentandolo per indurlo a rinnegare Dio, ma lui resisterà grazie alla fede, riuscendo a lasciare la grotta dopo un anno, senza però aver raggiunto il suo scopo. Il Papa a cui Guerino chiede l’assoluzione lo manderà a fare pellegrinaggio a Santiago de Compostela come penitenza, e infine il protagonista riuscirà a scoprire le sue origini al Pozzo di San Patrizio, in Irlanda.
Va detto che, mentre nella versione originale si parla espressamente di Sibilla, le successive versioni furono sottoposte alla censura dell’Inquisizione, che porterà a sostituire il nome Sibilla con quello di Alcina, la maga dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, datato 1516; questo perché nel XV secolo la figura della Sibilla era già indicata come profetessa della nascita del Messia, pertanto non avrebbe potuto avere tratti demoniaci così come le venivano attribuiti dalle leggende popolari.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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