Maggio è, in Italia, il mese in cui si celebra la festa della mamma; il problema è che, tradizionalmente, i giorni che la precedono sono un tripudio di campagne pubblicitarie che altro non sono se non un concentrato di stereotipi di genere, dove per celebrare la mamma si invita a fare regali considerati tipicamente “da donna” o si lanciano slogan che sono l’apoteosi dei cliché.

Dell’argomento ha parlato, in un interessante post pubblicato su Linkedin, la creative director, copywriter e autrice Ella Marciello.

In virtù delle sue parole abbiamo deciso di raggiungerla per approfondire la tematica.

Perché i brand hanno ancora questo atteggiamento comunicativo nei confronti della maternità? È più una questione di convenienza o semplicemente perché loro in primis non riescono a distaccarsi questo genere di stereotipi?

Penso che la risposta debba tenere conto di più piani; da una parte abbiamo la composizione delle aziende o delle agenzie pubblicitarie, perché se lo sguardo maggioritario è quello maschile probabilmente anche chi compone i messaggi pubblicitari avrà sempre un’unica prospettiva, nonostante poi in realtà il nostro settore, quello delle comunicazioni, sia a maggioranza femminile per quanto riguarda la forza lavoro. Il problema però è comunque lo stesso, perché se le donne non riescono ad accedere ai ruoli di potere, se i direttori creativi sono tutti uomini, allora anche l’idea ‘diversa’ difficilmente passerà.

Dal punto di vista del brand credo ci si debba interrogare sul target di riferimento, e un brand che non si accorge che questo è rappresentato dalle mamme non più disposte ad accettare una visione stereotipata di se stesse e delle donne in generale sta commettendo un grosso errore. Le mamme in questo modo non si sentono rappresentate, perché c’è una sorta di miopia se si pensa che i messaggi da mandare siano quelli in cui le donne devono compiacere lo sguardo maschile, oppure devono essere unicamente deputate a prendersi cura degli altri, in particolare dei figli.

Tutta la società si sta muovendo, seppur lentamente, quindi non intercettare le discussioni e i cambiamenti che vengono fatti attorno al concetto di maternità, continuando a proporre un’immagine contro cui le donne combattono ogni giorno, vittime di forme di discriminazione diverse, è sbagliato.

Inoltre questo relegare alla sfera domestica le madri non aiuta le madri, e le donne, a elevarsi soprattutto nel mondo del lavoro. La rappresentazione mediatica ha un ruolo fondamentale per la rappresentazione di genere“.

Ella Marciello

In effetti le pubblicità, per fortuna, si stanno facendo via via sempre più inclusive, vengono rappresentate anche soggettività prima escluse dalla narrazione, eppure sulla figura della mamma aleggia sempre questa sorta di mito dell’angelo del focolare. Perché?

Non dobbiamo dare tutta la colpa al male gaze, dipende da tanti fattori. Parlando di attualità, mi viene in mente la recente decisione della Corte Costituzionale di non rendere più obbligatorio l’attribuzione del solo cognome paterno; i commenti che ho letto sui social a tal proposito sono uno specchio molto evidente della società. Questa legge è volta a favorire soprattutto agli occhi dei figli il ruolo della madre come non subordinato a quello del padre, e chi si oppone lo fa in virtù di una paura che i due ruoli vengano equiparati, perché c’entrano le dinamiche di potere. Le donne autonome e libere dalla notte dei tempi fanno paura alla società, e la questione, solo apparentemente secondaria, di aggiungere il cognome materno a quello paterno ci racconta tantissimo del terrore che c’è. 

Eppure continuiamo ad avere una classe politica che cerca di schiacciare in una certa benevola maniera ciò che le madri possono fare. Senza contare che in molti piccoli comuni del nostro Paese l’idea di diventare mamme come raggiungimento ultimo della vita è ancora fin troppo radicata. La scelta di essere madri quando non si ha un’alternativa non può essere considerata una vera scelta, è un continuare a far credere che l’alternativa all’emancipazione sia la sudditanza. Ma io devo avere la libertà di scegliere se diventare madre a 20 anni, a 30, oppure se non diventarlo mai. 

Invece anche nelle pubblicità, per la festa della donna, la festa della mamma o per il 25 novembre ci propongono questa immagine della donna o mamma eroina, per farci capire che abbiamo i superpoteri; ma quali sono i nostri superpoteri? Quelli di lavorare 10 ore al giorno per poi occuparsi dei bambini, portarli a scuola, cucinare, lavare, stirare. Questo in realtà non racconta che le donne siano supereroine, ma solo che non c’è un welfare adeguato, che non viene data importanza alla figura paterna e che i compiti ‘assegnati’ alla donna siano unicamente quelli che hanno a che fare con la cura, che non vengono mai riconosciuti né pagati.

Dobbiamo poi pensare che esistono famiglie che esulano dal concetto di ‘tradizionali’: famiglie con due mamme o con solo la mamma o solo il papà. Ogni volta che si parla di questioni legate al genere o a categorie marginalizzate si parla di politically correct, demonizzandolo, ma in realtà è uno strumento che, se siamo in grado di usarlo, ci permette di avanzare socialmente come società, senza lasciare indietro nessuno e senza ferire nessuno”.

Nel post parli anche di una cosa molto importante, ovvero di politiche di sostegno alla maternità e delle difficoltà di una donna, in quanto tale e quindi possibile madre, di accedere al mondo del lavoro, come se già non bastassero il glass ceiling o il pay gap. Qual è il motivo per cui le aziende faticano così tanto ad adeguare queste politiche?

Credo che dipenda da una molteplicità di cose contemporaneamente. È chiaro che, nel momento in cui vado a fare un colloquio e mi chiedono dei figli, o se ho una relazione stabile – ad alcune colleghe ai colloqui chiesero se fossero fertili -, tutte cose che sono illegali, lo ribadisco, ci si renda conto che per le aziende le donne sono un peso. Lo vediamo soprattutto quando andiamo in maternità o quando annunciamo di essere in gravidanza: se lo annuncia un uomo riceve grandi pacche sulle spalle e congratulazioni, se lo fa una donna no, perché è tutto connaturato con la percezione della genitorialità. Un lavoratore con dei figli è percepito come persona responsabile, una lavoratrice come un peso, perché le aziende non sono aiutate adeguatamente, motivo per cui quando una donna si assenta per maternità spesso al suo ritorno si trova a essere demansionata o trattata male o percepita come quella che ‘si è fatta la vacanza’. Nel mondo del lavoro avanzano coloro che sono percepiti come senza figli, come se i padri non contassero nulla”.

Quale dovrebbe essere quindi, a proposito di festa della mamma, la giusta comunicazione, quella che finalmente esula dagli stereotipi di genere?

Io penso che prima di tutto si debba parlare solo quando si ha qualcosa da dire, anche se può sembrare scontato. In secondo luogo, se io come brand decido di celebrare la festa della mamma allora dovrei assicurarmi che nella mia azienda le condizioni delle mamme lavoratrici siano eque: se la celebro e poi nei colloqui chiedo ‘vuoi avere figli?’ dovrei tacere; se qualche mia collaboratrice di rientro dalla maternità è stata demansionata dovrei tacere; se non mi sto adoperando con attività a supporto delle mamme dovrei tacere; se nel mio target non ci sono mamme e celebro la giornata solo per engagement social, dovrei tacere.

Come si racconta la festa della mamma? Magari avendo nei team creativi delle mamme, cercando di capire da chi la maternità la vive come le piacerebbe essere rappresentata, sarebbe bello chiedere ‘Ti piace che per la festa della mamma venga fatta la promozione sul mascara?’, perché potrei rendermi conto che è un messaggio ambiguo. Ho trovato molto bella l’idea di un brand di make up che, fra i prodotti in promozione per la festa della mamma, proponeva dei vibratori. Anche questo è un altro aspetto importante: come si diventa mamme improvvisamente si smette di essere considerate come persone con una vita sessuale. Un’altra idea che mi è piaciuta è quella di alcuni brand, che chiedevano alle consumatrici se erano intenzionate a ricevere la loro newsletter. Non si è mamme per sempre: c’è chi la mamma l’ha persa, ma anche le mamme che hanno perso un figlio, che hanno avuto un aborto. Chi esprime una sensibilità del genere è assolutamente vincente“.

 

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