Sbagliate da vive, perfette da morte - INTERVISTA A CAMILLA MARINONI

Abbiamo incontrato l'artista bergamasca Camilla Marinoni, che nelle sue performance affronta spesso il tema della violenza di genere. L'ultima, il 25 novembre scorso, dal titolo "Sbagliate da vive, perfette da morte".

La donna perfetta è quella morta. […] Da morte siamo tutte ottime madri, compagne, figlie, sorelle. Instancabili lavoratrici, colleghe esemplari“. Così scrive Jennifer Guerra nel suo saggio Il corpo elettrico, pubblicato nel 2020. Da queste parole l’artista bergamasca Camilla Marinoni ha tratto ispirazione per la performance tenuta in open studio il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, durante la quale ha dato voce alle oltre 200 esperienze raccolte sul tema dei diritti riproduttivi femminili, che sono diritti a riprodursi ma anche a scegliere di non farlo.

Sbagliate da vive, perfette da morte ha raccontato una forma sottile, talvolta impercettibile, ma esistente, ed insistente, di violenza di genere, quella che vuole le donne madri a tutti i costi, ma non solo: le vuole anche soddisfatte di esserlo, senza la possibilità di lamentarsi, di provare sentimenti di pentimento, di nostalgia per la vita di prima, costantemente a paragone le une con le altre. Una forma subdola di violenza che, tuttavia, è normalizzata e socialmente accettata perché permeata in quel tessuto culturale che dà luogo di esistere a tantissime forme di giudizio e pregiudizio verso il femminile.

Accanto a questa performance, i nomi, esposti, delle vittime di femminicidio in Italia dall’inizio dell’anno; abbiamo scelto, con Marinoni, di realizzare questa intervista dopo la giornata del 25 novembre, perché è negli altri 364 giorni dell’anno che l’impegno per decostruire determinati retaggi culturali e sociali deve continuare, affinché la violenza di genere smetta di essere quel fenomeno sistemico che, purtroppo, è. E partiamo proprio dalla scelta della tematica affrontata nell’ultima performance, quella sulle difficoltà che le donne incontrano rispetto alla maternità o non maternità, chiedendo all’artista perché è così importante sottolineare che anche questa è una forma di violenza.

Perché viviamo in una società in cui ognuno si sente in diritto di sindacare o sentenziare sul tuo corpo e su cosa ne fai del tuo corpo, dall’ostetrica che in ospedale ti dice che non devi urlare perché ‘tutte hanno partorito’ fino alle persone che ti guardano storto perché scegli di non avere figli.

Parliamo di una violenza che a volte è sottile, altre volte molto più esplicita, che parte dal presupposto che gli altri abbiano il diritto di giudicare, senza sapere quale sia la relazione di una donna con il proprio corpo. Ho lanciato online il questionario usato poi nella performance nel 2020, chiedendo alle donne di sentirsi libere di raccontare la propria esperienza. Mi hanno risposto più di 200 donne, e non immaginavo, da donna che ha scelto di non avere figli, esistesse un maltrattamento così potente anche verso chi ha un figlio, o ne ha due, rispetto all’educazione, alla scelta di lavorare o non lavorare, di fare altri figli. mentre leggevo alcune delle testimonianze che mi sono arrivate avevo le lacrime agli occhi. Una di quelle che mi è rimasta più impressa è quella di un padre che ha detto alla figlia che non poteva avere figli a sua volta ‘Sei un ramo secco’. Lo trovo terrificante, e giustificabile solo il parte dall’età e dal fatto di appartenere a un’altra generazione”. 

Camilla Marinoni durante la performance “Sbagliate da vive, perfette da morte” del 25 novembre 2023 – Ph. Sabrina Galli

Quando, personalmente, hai deciso di mettere la tua arte al servizio della narrazione contro la violenza di genere?

“Faccio una premessa, il mio lavoro non è esclusivo di questa tematica, perché in generale quello su cui mi focalizzo è il tema della finitudine, l’attesa, l’idea del corpo che è ferito, o curato; quindi passo da tematiche più femminili, fino a cose molto più viscerali, come mi accade in questo periodo in cui sono tornata a usare moltissimo il rosso, ad esempio. In realtà questo legame e riferimento alle donne nasce da Senza parole, la mostra fatta nel 2017 al Museo Fondazione Adriano Bernareggi a Bergamo, un museo legato all’arte sacra dall’antichità fino al contemporaneo; lì mi sono focalizzata in particolare sulle donne della Bibbia, facendo un po’ di ricerche ho visto che al suo interno la tematica è molto presente, e per la giornata del 25 novembre ho sentito questa esigenza.

È per me una necessità di pancia, che dipende dal fatto di essere una donna che ha vissuto episodi di violenza come penso sia accaduto a tutte le donne, anche solo per il fatto di essere state palpeggiate o molestate per strada. Nel mio caso un uomo si è masturbato di fronte a me quando avevo 12 anni, forse questa cosa mi ha portato ad avere maggiore consapevolezza, soprattutto negli ultimi anni, a studiare, a informarmi e a portare questo argomento nel mio lavoro. Dalla performance del 2017 ho deciso di riportare nei miei lavori successivi dedicati al tema tutti i nomi delle donne uccise all’anno, cosa non semplice visto che non esiste un sito ufficiale per le vittime di femminicidio“.

Hai mutuato il titolo della tua ultima performance da una frase de Il corpo elettrico, di Jennifer Guerra: quanto è importante che le varie forme artistiche, ovvero letteratura, performance come nel tuo caso, musica, si occupino di violenza di genere, visto che parliamo di un problema culturale? Migliorare la propria cultura può rappresentare un valido strumento di prevenzione, o quantomeno un punto di partenza?

“Il compito dell’arte è da sempre sicuramente stato quello di smuovere le coscienze, credo che quello degli artisti possa essere un punto di partenza cui chiaramente poi va accompagnato un lavoro istituzionale, sociale, di educazione soprattutto sui giovani, ad esempio. Abbiamo bisogno dell’educazione affettiva e dell’educazione sessuale nelle scuole, ad esempio, già solo per educare al consenso fin da piccoli“.

Camilla Marinoni durante la performance “Sbagliate da vive, perfette da morte” del 25 novembre 2023 – Ph. Sabrina Galli

Altro tema “caldo” è quello delle responsabilità, se così vogliamo chiamarle, nella prevenzione della violenza di genere. Da un lato abbiamo gli uomini che dicono “not all men” e si indignano dopo l’articolo di Valeria Fonte che sostiene che tutti gli uomini abbiano la mentalità da femminicida, dall’altra chi sostiene che il compito di educare uomini rispettosi sia delle mamme, donne cui per antonomasia viene relegato, spesso in maniera esclusiva, il ruolo di educatrici. Ma non pensi che la responsabilità sia collettiva e che ridurre il tutto a un “Devono essere gli uomini”, “Devono essere le mamme” sia un po’ troppo semplicistico?

C’è, secondo me, un problema a livello culturale di ‘educazione all’uomo’, che ha una violenza interna che va educata come emozione, esattamente come accade con la rabbia, ad esempio, in primis dalla società. Non deve essere soppressa, ma non deve essere così estrema da portare a togliere la vita a qualcun altro.

Rispetto alla ‘responsabilità’, è assolutamente vero che ‘not all men’, però lo è anche che ‘all women’: tutte le donne hanno subito un episodio di violenza nella loro vita, qualcosa significherà, no?

Sulle madri sono d’accordo in parte, perché spesso si dimentica un aspetto altrettanto importante: dov’è il padre? Perché si ritiene che solo la madre sia deputata all’educazione dei figli, maschi e femmine che siano? Mi rendo conto che cambiare la mentalità non è facile, certe dinamiche sono estremamente radicate in noi, io stessa, se ripenso alla me del passato, capisco che magari un tempo, prima che acquisissi questa consapevolezza, avevo insiti dei meccanismi di maschilismo interiorizzato per cui ridevo di fronte a certe battute o facevo determinati commenti sulle donne. Ho fatto un percorso di analisi, rispetto al mio modo di reagire, fino a quando mi sono accorta di avere un pensiero patriarcale che dovevo cambiare. Le donne hanno dovuto decostruire tutto il loro modo di pensare per ricostruirlo daccapo, il lavoro non è ancora finito, ovviamente, ma almeno oggi c’è una maggiore presa di coscienza, cui segue il tentativo di cambiare le cose. Ma anche gli uomini stanno iniziando a seguire la stessa strada: sono stata molto contenta, ad esempio, di vedere che alla mia ultima performance del 25 novembre c’erano uomini e donne praticamente in pari numero“.

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