"Per il mondo della musica le donne non esistono. Il nostro manifesto urla che ci siamo" - INTERVISTA

Federica Pezzoni e Alice Mammola, alias La cantautrice, ci parlano del loro manifesto che reclama più rappresentazione femminile nel mondo musicale. E di quanto discriminazioni, molestie e pregiudizi siano palesi e frequenti.

È ormai un dato di fatto che le donne, nelle loro carriere professionali, qualunque esse siano, devono rompere il cosiddetto soffitto di cristallo e che, in generale, siano oggetto di pregiudizi e vittime di ostacoli di varia natura, purtroppo non sempre superabili.

Dai paradigmi sessisti e dai retaggi patriarcali che imperano nel mondo del lavoro non sfuggono neppure le musiciste e, in generale, le donne che fanno o si occupano di musica. Tanto che, se fa notizia ed è considerata “eccezionalità” rispetto alla norma, la figura di una direttrice d’orchestra (nel caso specifico Beatrice Venezi, che tuttavia ha più volte rimarcato, peraltro, di voler essere chiamata “direttore”), la gran parte delle figure femminili dell’industria musicale rimane sommersa, schiacciata dalle logiche di potere che vedono la larga preponderanza di artisti maschili non solo fra i cantautori, ma anche a livello più tecnico, ad esempio per quanto riguarda i sound check o l’organizzazione.

Più conosciuti, i cantautori maschili, perché ritenuti più “autorevoli”, rispetto alle voci femminili, con più opportunità, e anche non legati a tutta quella serie di preconcetti di natura sessista che, invece, toccano alle donne.

Di tutto questo abbiamo parlato con Alice Mammola e Federica Pezzoni, responsabili del progetto Instagram La cantautrice, che stanno lavorando a un manifesto che possa, in maniera concreta, aumentare la rappresentanza femminile nella musica.

Insegnante di musica e canto Federica Pezzoni, su Instagram fridoneee, sta tentando di costruire la sua carriera musicale; mentre Alice Mammola, archivista e ricercatrice con due libri sulle figure femminili nel mondo della musica alle spalle, già da tempo parla del gender gap nel panorama musicale grazie al suo account L’ha cantata una femmina, e nel frattempo scrive anche testi e canzoni.

Entrambe si occupano di musica e gender gap, di ricerca e valorizzazione di artiste e cantautrici. “Ci siamo incontrate proprio grazie a questa volontà comune di dare spazio e visibilità alle artiste emergenti e a raccontare le storie di chi è rimasta ai margini della musica mainstream“, ci dicono, spiegando che esiste anche un gruppo di autocoscienza per artiste, attivo su WhatsApp, creato da Federica Pezzoni, “in cui ci confrontiamo e aiutiamo con cantautrici emergenti da tutta l’Italia“.

Abbiamo deciso di riprendere la classica forma dei gruppi di autocoscienza degli anni ’70 – ci spiega Pezzoni – in cui le donne si confrontavano sui loro problemi personali, per scoprire che poi erano problemi comuni un po’ a tutte. Abbiamo quindi pensato che potesse avere un senso nell’ambito musicale, ho avuto questa idea dopo aver fatto un po’ di ricerca su tutte le discriminazioni che le artiste subiscono nel loro ambiente, ho detto ‘Magari ne vogliono parlare’, e tante artiste si sono aggiunte da tutta Italia. Il gruppo serve proprio per non far sentire sole le artiste, lì si può parlare delle proprie esperienze e capire quanto siano frequenti certi atteggiamenti e discriminazioni. Questo può anche creare una sorta di rabbia, che ti porta a dire ‘Allora non sono solo io, non sono io il problema’. La cosa bella è proprio vedere il passaggio dalla vergogna alla rabbia, alla rivendicazione”.

Questo vale anche per le molestie, ad esempio?

Federica: “Purtroppo sì, e sono subdole, spesso, motivo per cui è difficile sottrarsi, perché sono fatte magari dal produttore, da chi lavora con te, e l’artista a volte le sminuisce, ma solo per un senso di sopravvivenza, perché denunciare, talvolta, significa smettere di lavorare. Ci sono state raccontate cose davvero terribili, con protagonisti anche nomi autorevoli della musica italiana, e la cosa fa molta rabbia. Ci vorrebbe un MeToo del mondo musicale”.

Alice: “Dato che spesso la cantautrice è una figura, in qualche modo, solitaria, non vorrei che magari fosse più difficile denunciare una cosa del genere. La cantautrice ha un’identità molto forte, e già, a differenza di un’attrice, già nei suoi testi mette se stessa, quindi è veramente molto esposta già di suo, e giudicata di conseguenza. Quindi una rivelazione simile la vedo molto più complicata“.

Loro stess, spiegano, “talvolta abbiamo paura di definirci cantautrici, perché in questo momento non viviamo di musica“. La strada, del resto, per le donne cantautrici è irta e piena di ostacoli, reticenze e ostracismi. Ecco quindi la classica “domanda da un milione di dollari”: perché le cantautrici non riescono a emergere, nel panorama musicale italiano?

Federica: “Come in tutte le cose, c’è un mix di fattori che intervengono e hanno a che fare con retaggi maschilisti. Ci sono condizionamenti interni, quindi le artiste si autolimitano, ma anche limiti esterni, come, ad esempio, la questione estetica, o il fatto che l’ambiente musicale sia prettamente maschile, quindi non solo è difficile accedervi, ma anche sentirsi a proprio agio al suo interno. Le artiste, soprattutto se giovani, non vengono prese in considerazione, quindi se si allontanano un minimo dalla figura stereotipata della cantante, vengono sempre messe in discussione. C’è sempre un sacco di mansplaining, capita che un’artista, in fase di prove, sistemi la strumentazione e si senta chiedere ‘Vuoi una mano?’, come fosse scontato che da sola non ce la possa fare.

Tante hanno paura a emergere, perché vedono ciò che accade quando le donne entrano nello spazio pubblico, vedono quanto sia giudicante la società, sia sotto la sfera estetica che sotto quella della morale. Inutile dire che tutto rientri in quelle dinamiche patriarcali cui siamo assuefatti, ma già esserne consapevoli può far subentrare nelle cantautrici quella ‘rabbia’ che può aiutarle a fare il passo oltre. Dire ‘È un problema della società’ può aiutare a far fronte comune per superare le discriminazioni“.

Alice: “Il campo musicale ha questi ‘dogmi’, quindi spesso anche chi parla di musica è come se dovesse aderire a cose che non vengono mai messe in discussione. Ci sono state cantautrici fantastiche di cui nessuno o quasi ha mai parlato, che andrebbero riscoperte, e anche fra le cantautrici emergenti ci sono voci e figure davvero molto valide. L’obiettivo della nostra pagina Instagram è proprio far capire che le cantautrici esistono, e sono molto talentuose e capaci, solo che per via di questi dogmi rimangono sommerse. Molte decidono di autoprodursi, anziché partecipare a un talent che, magari, potrebbe aprire loro la strada della notorietà velocemente. Per noi è molto importante la responsabilità del pubblico e dei giornalisti, anche: il primo deve iniziare ad ascoltarci, i secondi devono avere una narrazione più curiosa e profonda, e andare oltre a quello che viene proposto dal mercato mainstream”.

Non c’è solo un problema a livello cantautorale, però. Anche dietro le quinte le discriminazioni esistono, pensiamo a chi si occupa di sound check e, in generale, della parte più tecnica che sta dietro a un concerto o a uno show. Perché ancora questo gender gap così palpabile? È sempre un problema di skills di genere, se così le vogliamo chiamare, un po’ come quando si pensa che i meccanici debbano essere tutti uomini perché “ci capiscono di più”, o c’è una vera e propria sorta di ostracismo verso le donne che vorrebbero curare le parti più tecniche?

Anche in questo caso è un mix di fattori. L’assenza di rappresentazione e gli stereotipi di genere non aiutano le ragazze anche semplicemente a desiderare di svolgere un lavoro più tecnico, socialmente appannaggio degli uomini. Le poche che intraprendono questa strada non hanno vita facile perché viene richiesto loro il doppio per dimostrare di essere brave ‘quanto un uomo’“.

Vi cito una figura piuttosto discussa ultimamente: Victoria De Angelis dei Maneskin. Quanto spesso è finita al centro delle polemiche anche solo per aver mostrato i capezzoli, cosa che invece è abitualmente concessa agli uomini? Senza contare che, in generale, culturalmente non siamo abituati a band “miste”, a donne che fanno rock, men che meno a quelle che reclamano a gran voce il diritto di vestirsi e comportarsi come i colleghi uomini. All’estero, invece, abbiamo gli esempi di Courtney Love e The Hole, Smashing Pumpkins, Evanescence… È un “problema” culturale italiano?

Non siamo abituati a band miste e men che meno a band femminili. Quando si parla di gruppi musicali nell’immaginario comune si pensa sempre a un gruppo di ragazzi; per noi questa è la normalità per cui appena le artiste occupano questo spazio ci sembrano sempre fuori posto. O troppo scomposte, o troppo appariscenti, o troppo ‘mascoline’, o troppo spudorate. In ogni caso ‘troppo’ perché non dovrebbero stare lì.

Senza contare che le artiste vengono raccontate negli articoli anche di prestigiose riviste musicali solo per la bellezza estetica e la vocalità. Molto poco purtroppo ci si concentra sulla loro poetica e professionalità.

Le cantautrici sono soggette a una pressione e a un giudizio che non viene riservato ai cantautori. Si parla di canoni estetici, ma anche di condotta morale e di questioni che molto spesso dovrebbero essere private. Pensiamo a quanto hanno fatto parlare i capelli di Levante! Ogni decisione presa sul proprio corpo viene indagata come se dovesse essere pubblicamente condannata o approvata”.

Anche la narrazione giornalistica, che peraltro avete citato, è importante. Joe Hagan in Sticky Fingers: The Life and Times of Jann Wenner e Rolling Stone Magazine, citato in un articolo del Guardian a firma di Craig Seymour, scrive che ‘Era una rivista maschile, anche se la leggevano le donne; era una rivista bianca, anche se gli afroamericani ne erano feticizzati. Gli uomini bianchi erano al centro dell’attenzione; le donne e i neri erano pensieri secondari e oggetti di fascino piuttosto che soggetti a sé stanti'”. Questo poteva “andare bene” nel 1967, anno in cui è stato pubblicato Rolling Stone, ma in realtà la narrazione giornalistica della realtà musicale femminile non sembra essere cambiata molto, e questo conduce a un circolo vizioso: se questa non cambia, difficilmente il pubblico sceglie di costruirsi un’informazione indipendente. E se anche le giornaliste che si occupano di musica sono poche, come si riesce ad ampliare il pubblico e a farsi conoscere?

Federica: “Il pubblico maschile è ancorato a una sorta di mitizzazione dei cantautori, almeno per quanto mi riguarda non mi interessa avvicinare il pubblico maschile, ma avere rappresentanza e accessibilità, motivo, tra gli altri, per cui stiamo scrivendo il nostro manifesto“.

A proposito del manifesto. Parlatecene meglio.

Il nostro manifesto, che si può leggere e scaricare al link in bio della nostra pagina La cantautrice, è un cantiere aperto, per cui è in fase di costruzione perché da sole non potevamo immaginare un mondo della musica intersezionale. Abbiamo creato una newsletter per raccogliere tutte le persone che sono interessate a essere parte del progetto, e stanno aderendo davvero in tante. Da ottobre verrà avviato un gruppo di lavoro per riflettere sulle questioni di inclusività nell’ambiente musicale così da capire e affrontare mese dopo mese tutti i punti salienti. L’obiettivo è di trovarci tra un anno con un manifesto per una musica inclusiva ‘completo’, frutto di un lavoro collettivo, che potranno sottoscrivere persone singole, festival, locali, etichette discografiche, riviste musicali ecc. Chi firma, ovviamente, si prenderà l’impegno di seguire i valori che muovono il manifesto, in modo che le artiste e gli artisti sappiano fin da subito quali realtà sono ‘pubblicamente’ inclusive.

Per riuscire in questo, abbiamo pensato a redigere delle linee guida che locali, festival, etichette, giornali, dovranno seguire e rispettare. L’idea, ancora in fase embrionale, è di dare un riconoscimento, un bollino, un tot di punti alle realtà virtuose, per segnalare che rispettano pienamente i punti delle linee guida. Il sessismo, purtroppo, non è considerato in maniera così importante, e questo, secondo noi, può essere un modo per invogliare locali, festival e via dicendo a mettersi in pari“.

Scusate la domanda provocatoria, ma non c’è il rischio che chi è nell’ambiente si metta in pari e rispetti le linee guida in maniera ipocrita, solo per non “restare indietro” e fare quindi una figuraccia pubblica? Insomma, il rischio pink washing è dietro l’angolo…

Alice: “Secondo noi le linee guida possono aiutare a creare un interesse, una curiosità, nel mondo giornalistico e nel mondo musicale, rispetto alle figure femminili, contribuendo ad abbattere quei dogmi di cui parlavo prima. In questo momento non abbiamo visibilità, dobbiamo crearcela in qualche modo“.

Federica: “Capisco che possa sembrare una forzatura, e forse lo è, la questione delle linee guida, però quanto ci stanno perdendo le cantautrici e le artiste per via di una società ingiusta nei loro confronti? Quindi mille volte meglio una forzatura rispetto al non fare niente, per cambiare le cose. Pazienza se ci sarà chi farà le cose per convenienza, cerchiamo di guardare al risultato finale, chi rispetta le linee guida comunque offre rappresentanza alle artiste, che avranno quindi modo di farsi vedere, di essere coinvolte in progetti importanti. Diciamo che in questo modo possiamo garantire le quote rosa di cui, purtroppo, abbiamo ancora bisogno”.

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