Se non possiamo neppure più uscire a correre senza morire come Laura
La sua vita si è spenta a 26 anni, dopo ore di sofferenza. Laura Luelmo, giovane insegnante spagnola, era solamente uscita per correre ma si è invece imbattuta nel suo assassino.
La sua vita si è spenta a 26 anni, dopo ore di sofferenza. Laura Luelmo, giovane insegnante spagnola, era solamente uscita per correre ma si è invece imbattuta nel suo assassino.
“E l’impossibilità di muoverci liberamente permane nella vita di tutti i giorni, ed è talmente radicata da condizionarci senza che ce ne rendiamo conto. Accade quando decidiamo di smettere di fare una cosa che ci piace e fa stare bene, come andare a correre la mattina presto, perché c’è buio e non ci sentiamo sicure nemmeno a fare una corsa sotto casa. Accade quando la sera ci fermiamo in centro per una cena con un’amica e preferiamo lasciare l’auto nel parcheggio a pagamento dove ci sono le telecamere piuttosto che rischiare di fare un pezzo di strada a piedi da sole. E vivere così non fa paura. Fa schifo”.
Le parole della nostra collega Milo Soardi, tratte dal suo blog Venere di Milo, sono affilate come lame taglienti, terribilmente inquietanti alla luce di quanto accaduto alla povera Laura. Una donna che è stata vittima non di un fidanzato “geloso” – l’unico termine corretto sarebbe “violento”, ma ahimè l’attenuante è sempre dietro l’angolo – bensì di un perfetto sconosciuto che l’aveva adocchiata poche settimane prima.
Questa è la storia di Laura Luelma, giovane insegnante spagnola la cui vita si è interrotta tragicamente perché ha avuto “l’imprudenza” di uscire da sola per andare a correre. E non di mattina presto, quando fuori è ancora buio e nell’oscurità si annidano i predatori, ma in pieno pomeriggio.
Laura si era trasferita a El Campillo, a 600 km da casa, per una supplenza che sarebbe dovuta durare fino a fine anno. La sua prima, importante occasione lavorativa l’aveva portata, lo scorso 4 novembre 2018, in quel piccolo paesino circondato dalla campagna dell’Andalusia, dove qualche giorno fa ha trovato la morte. Sin dal suo arrivo, la giovane donna aveva notato il suo inquietante vicino di casa, il 50enne Bernardo Montoya. La fissava con insistenza, sebbene lei non lo avesse mai visto prima.
Ne era rimasta spiazzata, tanto da aver confessato i suoi timori al fidanzato. Ma ciò non le aveva impedito di mantenere inalterate alcune sue abitudini, come ad esempio dedicarsi a una bella corsetta fuori casa. Non stava andando in discoteca in piena notte, non vestita con un abitino succinto che avrebbe potuto attirare le attenzioni di qualche sconosciuto. Come alcuni ignoranti sono solito pensare, non se la “stava cercando”. Eppure Laura non c’è più.
Questa volta anche le più patetiche e disgustose attenuanti che sempre si cercano di affibbiare al molestatore, allo stupratore, all’assassino non hanno motivo di esistere. Laura era uscita di casa alle 4 del pomeriggio, con addosso i suoi abiti sportivi, per andare a fare una corsa. Di lei si erano perse le tracce nelle ore seguenti, e per 5 giorni l’intera Spagna è rimasta con il fiato sospeso, mentre proseguivano le ricerche della giovane dispersa. Infine, il ritrovamento. Laura, faccia contro la terra, seminuda e con segni di indicibili violenze sul proprio corpo.
Laura è morta almeno 72 ore dopo la sua scomparsa, ha rivelato l’autopsia. Che cosa sia successo in quel lasso di tempo è ancora un mistero. Il suo assassino è proprio Bernardo Montoya, l’uomo inquietante che continuava a osservarla senza tregua. I sospetti si erano subito concentrati su di lui, dopo che il ragazzo di Laura aveva riferito alle forze dell’ordine i timori della giovane insegnante. Interrogato a lungo, Montoya ha dapprima negato con forza di essere coinvolto nella vicenda, ma infine ha ammesso l’omicidio.
“Sì, ho ucciso Laura. Le ho teso una trappola: mi aveva chiesto un’indicazione, voleva sapere dove fosse il supermercato e io l’avevo mandata in un vicolo cieco, dove l’ho rapita per poi sbattere la sua testa contro la mia auto, lasciandola incosciente e legandole le mani dietro la schiena. Poi l’ho caricata nel bagagliaio e l’ho portata in campagna, dove ho provato a violentarla, ma senza riuscirci, anche se lei era priva di sensi. Mi sono spaventato, a quel punto avevo deciso di abbandonarla nel campo senza lasciare tracce”.
L’ennesima beffa, in questa tragedia priva di alcun senso, è che invece Laura è stata violentata, eccome. I risultati dell’autopsia non mentono, come rivela 20minutos.es. E chissà quali altri abusi avrà dovuto subire in quelle 72 ore di prigionia prima che il suo corpo si arrendesse. Bernardo Montoya, l’uomo che ha posto fine alla giovane vita di Laura, ha già scontato in totale 22 anni di carcere per diversi reati, tra cui l’omicidio di un’anziana signora che avrebbe potuto testimoniare contro di lui in un processo per rapina.
Il femminicidio di Laura Luelmo ci riporta ancora una volta alla tragica realtà, in cui una donna non può sentirsi libera. E poco importa cosa Laura stesse facendo, a che ora, come fosse vestita, che segnali stesse mandando. La sua triste vicenda evidenzia in modo spietato come tali circostanze non contano. Una donna è stata violentata e uccisa da un uomo. Ancora. E tutti coloro che ogni volta trovano dei “se” e dei “ma” non fanno altro che spostare sempre un po’ più in là il limite di ciò che una donna può fare, finché non si tornerà a quelle aberranti visioni che portarono, per esempio, gli avvocati della difesa nel famoso processo per stupro di Lagostena Bassi a esclamare “se fosse rimasta a casa non sarebbe successo nulla”.
“E vivere così non fa paura. Fa schifo”.
Web editor, amante della lettura e degli animali. Nata e cresciuta nelle Marche ma espatriata in Piemonte, vivo con i miei 3 gatti (e un marito) e scrivo per passione di gossip e televisione.
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