L’Italia è in finale agli Europei di calcio, 9 anni dopo l’ultima volta, e domenica 11 luglio, a Wembley, se la vedrà coi padroni di casa dell’Inghilterra, che nei tempi supplementari hanno buttato fuori la Danimarca.

Poche cose, come il calcio, sono capaci di unire un popolo, soprattutto quello italiano che di questo sport ha fatto uno dei propri simboli, manifesto di quella cultura nazionalpopolare che tanto piace e che non passa mai di moda, ed è sicuramente bello festeggiare l’ingresso in finale in una competizione tanto importante, dopo un periodo sicuramente non piacevole quale quello trascorso nell’ultimo anno e mezzo, caratterizzato dalla pandemia.

Celebrare una vittoria è bello, ed è storicamente un importante momento di aggregazione. Il pensiero di ritrovarsi in piazza, o di fare cortei con le auto per le strade della città sventolando bandiere e suonando i clacson è proprio quello che ha contribuito a rendere il calcio parte integrante della nostra cultura e della nostra storia.

Ma non possiamo ignorare il particolare momento storico che stiamo vivendo, e comportarci come se la pandemia di Covid fosse solo un lontano ricordo, perché, ahinoi, per quanto ci piacerebbe poterlo dire, così non è: sembrano lontane le immagini di un altro corteo, quello di Bergamo, dei mezzi militari che portavano via le bare delle vittime del virus, ma parliamo solo di meno di 18 mesi fa. Nel frattempo abbiamo vissuto un’estate in cui abbiamo riassaporato la libertà mancata durante il lockdown, per poi essere precipitati di nuovo, nell’inverno seguente, nello stesso incubo. Un pizzico di coscienza e di consapevolezza in più, probabilmente, non guasterebbe oggi, memori di quanto abbiamo passato e di quanto ancora possiamo rischiare, ma le immagini di piazze e strade piene, stipate di gente che ovviamente della mascherina fa l’ultimo dei suoi problemi, ci dà da pensare che gli insegnamenti, in realtà, siano stati ben pochi.

A questo si aggiunge l’evidente problema di civiltà che permette a stolti e imbecilli di mescolarsi indisturbati tra coloro che, al massimo, scendono in strada per sventolare un tricolore, e di questo ci ha dato prova Selvaggia Lucarelli in una delle sue storie, mostrando un rider – una persona che, mentre le altre festeggiavano infischiandosene di assembramenti e quant’altro, stava lavorando -, gettato a terra col suo scooter dal branco degli idioti.

Fonte: instagram @selvaggialucarelli

È stato preso a calci e pugni, Alessandro, 51 anni, e solo grazie all’intervento di qualcuno con ancora il senso di civiltà, che lo ha aiutato a rialzarsi, è riuscito a tornare in sella al suo mezzo, trovando persino il coraggio, giorni dopo, di minimizzare l’episodio orribile di cui è stato vittima.

Dico la verità: non mi hanno dato colpi alla faccia, ma molti battevano le mani sul casco – ha raccontato – E anche quello fa male. Sono caduto perché qualcuno poi ha dato un calcio alla ruota. Ero disorientato, un po’ spaventato, ma non paralizzato dalla paura. Sono sicuro che volessero prendermi le pizze, forse una bravata, forse avevano fame. In realtà io stavo trasportando delle birre che avevo nello zainetto , non avevo pizze.

Ma per me è tutto superato. Certo al momento mi sono spaventato. Ma ricordo soprattutto i gesti di solidarietà: soprattutto un ragazzo e una ragazza che mi sono stati vicino e addirittura, pensando che mi avessero rubato le pizze, volevano ripagarmele. Quando li ho rassicurati dicendogli che stavo bene e che le birre erano in salvo mi hanno detto: vai e stai zitto, altrimenti, visto che non hanno trovato le pizze, ti rubano le birre. E ho continuato il mio lavoro.

Peggio ancora accade a Cuneo, dove un’auto investe uno scooter, sul sagrato di piazza Galimberti dove peraltro l’accesso delle auto è vietato; a bordo dello scooter un ventenne e una ragazzina di soli quattordici anni, che ha riportato un violento trauma  al volto. Sull’auto che girava come una trottola fregandosene dei divieti, invece, un venticinquenne risultato positivo all’alcoltest. La scena è stata ripresa, come purtroppo spesso accade ormai, dai cellulari, e dopo l’incidente la movida è andata avanti per un paio d’ore ancora, proprio come se non fosse successo nulla.

Difficile, di fronte a tanta stupidità, avere il coraggio di definirla “una festa”. Senza contare che lo scendere per strada a festeggiare non legittima comunque a dimenticare il codice della strada e a fare ciò che si vuole, noncuranti delle conseguenze. Il tifo e la gioia per una partita vinta non devono diventare gli alibi per dimenticare improvvisamente che esistono norme, leggi, il cui rispetto non va in vacanza e non si cancella perché l’Italia è arrivata in finale, e che non girare in tondo con una macchina rientrare esattamente tra le cose che non devono essere fatte.

Non c’è da fare del facile benaltrismo chiedendosi perché questa gente non scenda in piazza per cause più importanti di una partita di calcio – la crisi occupazionale, i diritti dei lavoratori sistematicamente calpestati, le disparità di genere e un’altra infinità di questioni-: una cosa non esclude (o non dovrebbe escludere) l’altra, e la questione della scarsa partecipazione attiva della gente ha poco a che fare col tifo, in realtà. Bisognerebbe chiedersi – e chiedere – piuttosto cosa spinge, come accaduto a Cagliari, a trasformarsi in esseri ignobili che deridono e umiliano chi in quel momento sta solo cercando di “guadagnare la pagnotta”, come si suol dire, o come si può pensare di uscire completamente dalla pandemia se non riusciamo neanche a rispettare delle regole elementari.

Le “notti magiche”, come recitava il famoso inno dei Mondiali di Italia ’90 firmato Nannini e Bennato, non sono purtroppo più quelle di due anni fa, in virtù del vissuto che tutti e tutte noi portiamo sulle spalle in questo momento, e non possiamo cancellare con un colpo di spugna tutta la sofferenza accumulata, ammassandoci come branchi di pecore per fare festa (che poi, sia chiaro, questo non vale solo per il calcio).

Tiferemo Italia perché vogliamo guardare al calcio come a qualcosa di bello in questo momento, che ci meritiamo, a quel qualcosa che può unirci e strapparci un sorriso, ma lo faremo con coscienza, senza mettere a repentaglio la vita di nessuno, senza far correre rischi inutili ai nostri cari, senza diventare bestie che prendono a calci gli scooter di lavoratori incolpevoli.

 

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