Nato il figlio di uno degli operai morti alla Toyota, ma non potrà avere il cognome del padre

È nato il figlio di uno dei due operai morti nell'esplosione dello stabilimento Toyota di Borgo Panigale; ma la compagna, ancora, non ha potuto dargli il cognome del padre. "Una complicazione enorme".

Il 23 ottobre scorso, a Borgo Panigale, nel bolognese, l’impianto di climatizzazione nello stabilimento della Toyota Material Handling prese fuoco, travolgendo il capannone contro cui poggiava e uccidendo due lavoratori; uno dei due, Lorenzo Cubello, aspettava un figlio quando la tragedia lo ha strappato alla vita prematuramente.

Oggi quel bimbo è nato, è la compagna dell’operaio, Paola (non si conosce il cognome) ha deciso di dargli proprio il nome del padre; peccato, però, che ufficialmente, per la burocrazia, il neonato non possa avere anche il cognome del suo papà.

A spiegarlo è la stessa Paola al Corriere di Bologna; la donna ha denunciato la complessità dell’iter necessario per garantire al piccolo il cognome paterno, visto che la coppia non era sposata. “Per garantire tutti i diritti a nostro figlio è stato necessario un lungo iter per il riconoscimento della paternità, che è stato molto oneroso – ha spiegato la compagna di Cubello, che aveva 34 anni al momento della sua morte, aggiungendo di aver dovuto eseguire un test di paternità, costato “oltre quattromila euro a carico mio. E poi tutto l’aspetto burocratico, che in una situazione così complicata è ancora più pesante”.

Alla giornalista Chiara Gabrielli Paola, che ha nazionalità polacca, parla di “Una complicazione enorme, in realtà. Si tratta di un percorso lunghissimo, devo ripetere gli stessi passaggi più e più volte. Un incubo”.

E racconta l’iter per il test: “Ora bisogna aspettare per fare il test di paternità, poi deve venire il medico legale, si fa la comparazione, infine si presenta tutto al giudice. In Italia, invece di semplificare le cose, sembra che vogliano complicarle. Non solo è complicato, ma anche costoso. Devo registrare il bambino, che al momento avrà quindi nazionalità polacca, la mia. E mio sarà anche il suo cognome. Appena sarà riconosciuto, diventerà italiano e cambierà tutto, cognome, codice fiscale e così via”.

La speranza, per lei, “è che ora si vada veloce e che non si superino i 300 giorni dalla morte di Lorenzo. Oltre quel tempo, scadono i termini per il sussidio dell’infortunio. Suo figlio deve essere riconosciuto. Anche perché io qui sono sola”.

Paola lancia anche un appello, “allo Stato italiano affinché semplificasse le procedure per le compagne come me, perché una famiglia non la fa solo una firma. La fa l’amore. Noi saremo per sempre una famiglia”.

Impossibile, poi, non parlare delle profonde conseguenze emotive lasciate dalla morte in circostanze tanto tragiche del compagno: “Nessuno mi potrà mai ridare indietro ciò che mi è stato tolto. Ora però ho nostro figlio; a lui ho il compito di insegnare cosa sia la felicità.

Sono passati quasi cinque mesi. Le domande sono tante ma di risposte ancora non ne è arrivata nemmeno una. Nessuno pretende un processo già concluso e so che nessuna risposta mi riporterà indietro Lorenzo, però almeno un perché di tutto questo sì. C’è un enorme problema, in Italia, sulla sicurezza sul lavoro: dopo quelle alla Toyota MH, ci sono state troppe altre vittime. Non è tollerabile né accettabile”..

Infine, il ricordo dell’ultimo giorno insieme: “Mi ha detto: ‘Ciao, amore’ e mi ha dato un bacio. Eravamo legatissimi, e lo siamo ancora. Il legame con Lorenzo va oltre questa vita, non si può spezzare”.

Assieme a Lorenzo Cubello nell’incidente all’impianto bolognese morì anche Fabio Tosi, di 37 anni; il lavoro nell’impianto è ripreso regolarmente lo scorso gennaio.

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