Sei mesi dopo l’entrata in vigore del decreto Caivano abbiamo assistito a una crescita non indifferente della popolazione carceraria minorile in Italia. Il provvedimento ha provocato un aumento del 10% dei minorenni detenuti, contrastando l’obiettivo di promuovere percorsi di recupero e pene alternative.

Secondo l’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale Antigone, “alla fine del febbraio 2024 erano 532 i giovani reclusi nei 17 Istituti Penali per Minorenni d’Italia. Solo due mesi prima, alla fine del 2023, si attestava sulle 496 unità. Alla fine del 2022 le carceri minorili italiane ospitavano 381 ragazzi. L’aumento, in un anno, è stato superiore al 30%”. Inoltre, riporta Antigone, “se alla fine del 2022 i minori e giovani adulti in carcere rappresentavano il 2,8% del totale dei ragazzi in carico ai servizi della giustizia minorile, oggi tale percentuale è pari al 3,8%. Dopo il calo delle presenze dovuto alla pandemia da Covid-19, i numeri stanno rapidamente risalendo”.

Questo incremento è in gran parte attribuibile alle pene più severe per reati come la detenzione di droga, che possono essere contestati a partire dai 14 anni. Di conseguenza, molti ragazzi tra i 14 e i 17 anni si trovano più frequentemente in detenzione preventiva. Inoltre, nel 2023, il 73,2% dei ragazzi stranieri entrati in Ipm proveniva dal Nord Africa, principalmente da Tunisia (133), Marocco (118), Egitto (113), e Algeria (40). Il 19,6% proveniva da Paesi europei. Nei centri si incontrano spesso ragazzi accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma parlando con gli operatori emerge che sono vittime del traffico, utilizzati dai veri scafisti per piccoli servizi a bordo.

Susanna Marietti, coordinatrice nazionale e responsabile dell’osservatorio minori dell’associazione Antigone, spiega che in Italia la reclusione è stata storicamente una misura residuale, applicata solo nel 3% dei casi, “rispetto al possibile ventaglio di opzioni per prendere in carico i minori accusati di reati, adesso invece le misure cautelari stanno nettamente crescendo”, ha dichiarato.

Marietti sottolinea che le relazioni individuali tra minori in carcere ed educatori, che un tempo erano personali e basate sulla conoscenza delle storie individuali, stanno scomparendo. “Purtroppo anche la vita dentro gli istituti minorili sta cambiando. prima, durante le nostre visite, apprezzavamo comunque una relazione individuale tra i minori e gli educatori, tutti chiamati per nome, le loro storie personali conosciute e seguite. Ora questa relazione non la percepisci più. Vedi minori stranieri soli con vite faticose alle spalle e problemi psicologici che andrebbero gestiti e invece si va avanti con dose massicce di psicofarmaci, punizioni, isolamento e altri carichi penali”.

“Gli psicofarmaci vengono troppo spesso utilizzati come strumento di gestione – e di neutralizzazione – dei ragazzi con problemi di disagio sociale e comportamentale”, si legge sul sito di Antigone. “Attraverso le nostre visite agli Ipm, abbiamo inoltre potuto constatare come questi ragazzi vengano spesso trasferiti da un carcere all’altro, specialmente dal nord verso il sud, così da mandare altrove il problema quando la gestione di un giovane diventa difficoltosa. Spesso accade anche che il ragazzo entra in carcere con un unico reato ascritto e nel giro di poco tempo ne colleziona molti altri. Le difficoltà comportamentali che spesso questi giovani dal difficile vissuto presentano fanno sì che manifestazioni di disagio si trasformino in accuse di resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento, rissa, in un circolo vizioso che rende molto difficile il recupero del ragazzo alla società”.

Se non si interviene per riequilibrare la situazione, il rischio è che la giustizia minorile italiana perda quella sua unicità (basata su basata su un approccio umanitario e rieducativo) che la rendeva un punto di riferimento per tutta l’Europa, trasformandosi in un sistema punitivo e meno efficace nel lungo termine.

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