100 kg di tritolo per uccidere Maurizio Costanzo. Le ragioni dell'attentato

Era il 14 maggio del 1993, quando è stata fatta esplodere un'autobomba fuori dal teatro Parioli di Roma. All'epoca, il conduttore era fortemente impegnato in televisione nel contrasto alla mafia.

Maurizio Costanzo si è spento il 24 febbraio all’età di 84 anni. A comunicarlo è il suo ufficio stampa. Giornalista, conduttore, autore, sceneggiatore, il suo volto è indissolubilmente legato al Maurizio Costanzo Show e anche a un episodio degli anni ’90, quando scampò per poco a un attentato mafioso.

È il 14 maggio del 1993 e Maurizio Costanzo sta dedicando una puntata della sua trasmissione alla lotta contro la mafia. Inizia così il racconto del fallito attentato al conduttore del Maurizio Costanzo Show e a sua moglie (all’epoca compagna) Maria De Filippi, fuori dal teatro Parioli di Roma. Questa storia è stata anche il soggetto di un episodio di Ex Voto, un podcast di Marco Damilano, prodotto da Chora Media.

Le ragioni dell’attentato di via Fauro si possono ricondurre al fatto che, all’epoca, Maurizio Costanzo era fortemente impegnato in televisione nel contrasto alla mafia (allo stesso tempo, in generale, la società civile italiana si stava fortemente risvegliando su questi temi).

In questo ambito, infatti, insieme a Michele Santoro, Costanzo aveva realizzato una maratona televisiva a reti unite Rai e Fininvest (la Mediaset di Berlusconi), dai toni molto aspri. Fu bruciata in diretta una maglietta con scritto Mafia made in Italy. A questo fatto, si aggiungeva anche la sua dichiarata amicizia con il magistrato Giovanni Falcone, talvolta ospite delle sue trasmissioni.

È per questi motivi che fuori dal teatro dove ogni sera il presentatore registrava il programma sono stati fatti esplodere, il 14 maggio del 1993, 100 kg di tritolo, al fine di ucciderlo.

Quella notte venne rubata una Fiat Uno, caricata di esplosivo e posizionata su Via Fauro. Tuttavia, al passaggio di Costanzo l’auto non esplose in tempo, per via di un pulsante premuto in ritardo. I mafiosi di Brancaccio, infatti, stavano aspettando il conduttore su un’Alfa Romeo, mentre lui spuntò su di una Mercedes blu non blindata, assieme a De Filippi. I due rimasero illesi, ma si contarono circa 22 feriti.

I palazzi nel quartiere elegante di Roma vennero distrutti, così come le auto parcheggiate nelle vicinanze. Nessuno credeva che la mafia potesse fallire, tantomeno dopo la strage di Capaci e quella di via D’Amelio del 1992, in cui – per mano di Cosa Nostra – persero la vita, rispettivamente, Falcone e Borsellino.

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