Condivido questa breve riflessione, fatta alcuni giorni fa sul mio canale Instagram personale, per articolarla meglio ora che sono uscite, per fortuna, anche altre riflessioni di questo tipo. Due su tutte: quella di Selvaggia Lucarelli su Il Fatto Quotidiano, dal titolo eloquente Murgia, agli ipocriti compassionevoli dico: “State zitti!”; e quella di Giulia Blasi nell’ultima edizione della newsletter Servizio a Domicilio.

Non si tratta solo del post di Giorgia Meloni, del becero paragone Murgia-Berlusconi avanzato da un Corrado Augias un po’ giù di brocca, se no non te lo spieghi, o altra roba brutta brutta letta in giro dopo l’intervista rilasciata da Michela Murgia ad Aldo Cazzullo (che mi auguro invece ogni persona abbia letto per la pregnanza di significato, il gesto politico e la scelta di autodeterminarsi fino alla fine in essa racchiusa).

In questi giorni ho dovuto scegliere di skippare post e commenti di persone, alcune anche stimate, perché mi sembra si stia facendo il “siparietto dei santini di Murgia”, come ho scritto sempre giorni fa.
Opposti schieramenti, ma la sostanza non cambia: i ‘nemici’ di Murgia – in più casi potrei levare le virgolette – si sono affrettati a dire che in fondo non sono poi così nemici, “volemose bene e tanti auguri”; alcune persone ‘amiche’, intese come coloro che condividono idee e istanze dell’intellettuale sarda, hanno cercato o comunque trovato il modo di elaborare la notizia per… Parlare di sé.

C’è chi condivide la foto con Murgia per mostrare una confidenza più o meno non solo social, chi racconta cosa ha imparato da Murgia, chi sfodera l’aneddoto da “quella volta che io e Michela…“.
In tutto questo il soggetto, a me pare, non sia davvero Murgia, ma l’io. Il nostro solito ego ipertrofico, il doverci essere, il dover dichiarare anche il minimo legame.

Eppure Murgia non è morta.

Murgia è anzi più viva, antifascista e autodeterminata che mai.
Al punto da fare un atto politico straordinario, quale essere sceneggiatrice, regista e attrice di tutta la sua vita, e pure della sua morte (che della vita è parte integrante). Un gesto, per inciso, anche artistico e di grande letteratura. Del resto, la letteratura di Murgia, come la saggistica, è atto politico, nel senso etimologico e più alto del termine.

Senza conoscere Murgia, mi permetto di avanzare l’ipotesi che  che non abbia alcuna intenzione di essere trattata con i guanti o risparmiata intellettualmente come si fa con una persona morente.
Il rispetto e l’ammirazione che ho per la donna e l’intellettuale mi impediscono di farne (e persino di pensare che lei voglia essere) un santino pre-mortem.
Credo anzi che pure l’idea dei santini post-mortem, pregni di retorica, protagonismo e ostensione del lutto, potrebbero farla parecchio arrabbiare, se non fosse per quell’ironia leggera che, almeno da morti ci potremo concedere – io mi auguro – nel fregarcene dei giudizi e delle piccolezze altrui.

Murgia abita il suo spazio, il suo tempo e la sua vita da protagonista. Quanti tra noi possono dire altrettanto?
Nel “ricordatemi un po’ come vi pare” di Murgia, del resto, c’è lo stesso guizzo che impresse sul volto di una Margherita Hack già avanti con gli anni un’espressione da bischera impenitente quando, interrogata a riguardo disse: “Una certa eredità l’ho lasciata, e poi, a dir la verità, a me non me ne frega nulla di lasciare l’eredità!”.

C’è il gesto politico, lo sberleffo, il colpo di teatro… La letteratura. Chapeau.

Insomma, basta santini. Murgia non è morta; in ogni caso non si sta parlando di noi.

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