Nina Rima, 25enne modella e influencer milanese, esce con un libro, Tutto quello che non ti aspetti, in cui ripercorre la sua adolescenza tormentata, fino all’incidente che le ha cambiato la vita, portandole via una gamba.

“Prima o poi mi sarebbe accaduto qualcosa di brutto – racconta in un’intervista per Vanity Fair – E io sentivo di meritarmelo, sentivo che qualsiasi cosa tremenda potesse capitarmi era la giusta punizione per ciò che avevo fatto fino a quel momento e per ciò che ero, una figlia che nessuno voleva”.

Tutto quello che non ti aspetti. Come sono tornata dall'inferno

Tutto quello che non ti aspetti. Come sono tornata dall'inferno

La modella e influencer ripercorre la sua travagliata adolescenza in un'autobiografia romanzata, dando voce a se stessa attraverso il personaggio di Sophie: dalla vita difficile in famiglia allo stupro subito appena 15enne, fino all'amputazione della gamba.
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Rima cresce con un padre invisbile e una madre assente, coi servizi sociali che non fanno molto per aiutarla, così come i vicini, e non passa molto tempo prima che da ragazzina finisca nel vortice della cocaina.

Ma c’è un episodio, in particolare, della sua faticosa adolescenza, che ha influenzato moltissimo il modo di Nina Rima di rapportarsi con gli altri, soprattutto con le persone dell’altro sesso: appena quindicenne, venne stuprata da un uomo molto più grande.

Un uomo che nel libro, che lei definisce un'”autobiografia romanzata”, si chiama Luigi, mentre lei si chiama Sophie (è il secondo nome di Nina Rima) e il marito Elio (secondo nome del suo attuale marito, imprenditore nautico, Giuseppe Nolfo).

“Non leggerà mai il libro – dice – ma, se per caso dovesse capitargli tra le mani, si merita di rivedersi […] Schifoso. Un 40enne mezzo deejay e mezzo spacciatore. Raccontava che, nelle discoteche, si fingeva un carabiniere per perquisire i ragazzini e rubargli la droga”

Lo contatta una sera d’estate – si legge su Vanity Fairi suoi amici stavano andando a casa, lei voleva rimanere ancora fuori così gli dà appuntamento. Una volta in macchina, avverte una sensazione di disagio. Però non se ne va.
‘Non avevo un posto in cui tornare. Mia madre non era a casa, sarei rimasta sola e non ne avevo voglia. Così accetto di andare in un appartamento orrendo, tutto in disordine e senza finestre, che lui e i suoi amici usavano per fare i festini’.

Lì, lui le offre della cocaina.
‘Sì, cominciamo a pippare. E a quel punto io voglio continuare perché, dopo una striscia, il piacere di andare avanti c’è’.
Però scrive: con la droga ‘l’unico stato d’animo che si amplificava dentro di me era la paranoia’.
‘La paranoia c’era. Ma insieme c’era anche una strana sicurezza. Mi ero trovata altre volte in situazioni simili e non mi era mai successo niente. Mi ero illusa di sapermela cavare, invece ero stata solo fortunata. Mi ritenevo più smart di quanto non fossi in realtà’.

Ancora oggi Rima dice “Ho sempre fatto molta fatica a dire di no. Se mi piaceva un ragazzo e ci uscivo, poi magari capitava che lui mi volesse baciare mentre a me non andava più. Però pensavo: se mi tiro indietro ora, dopo che ci ho flirtato, dopo che ci sono uscita, passo io per la stronza o la snob. Meglio assecondarlo. Succede una volta, due, tre, poi diventa un’abitudine. Non quella notte, però. Quella notte sono stata chiara fin dall’inizio”.

Ci ho messo anni per capirlo – aggiunge – Ci ho messo tantissimo anche solo per parlarne, per far uscire quella parola dalla mia bocca: stupro. Finché rimaneva dentro di me, potevo fingere che non fosse accaduto davvero.

Il ricordo di quella notte è ancora vivido in lei, chiaro e tristemente crudo.

Com’è accaduto?
‘Lui ha provato a baciarmi e io l’ho frenato immediatamente. Gli ho detto: ‘Senti, quando tiro, mi irrigidisco, quindi non mi toccare. Possiamo stare qui a chiacchierare quanto vuoi, ma non avvicinarti, perché io ora sono proprio un palo di legno’.
E lui?
‘Mi ha risposto che quando si faceva, gli veniva voglia. Che dovevo lasciarmi andare. L’ho respinto, mi ha inseguito. L’ho scampata per un po’ finché non mi sono ritrovata con le spalle al muro, senza più spazio per scappare. Così mi ha presa: mi teneva ferma per le mani e con il suo corpo sul mio. Sentivo il peso addosso’.

Nonostante siano passati anni, e nonostante oggi Rima sia felice accanto al marito e alle figlie, Ella Noa, 2 anni e mezzo, e di Lea, 5 mesi, le conseguenze di quel trauma spesso tornano a farsi sentire: “[…] per molto tempo non sono più riuscita a fare sesso con nessuno. Tutt’oggi che sono felicemente sposata, a volte mi capita ancora. Magari si crea una situazione carina tra me e mio marito, stiamo per, mi torna in mente quella notte e, bum, basta. Gli dico: ‘Scusa amore, adesso no, non ho più voglia’. Quei cinque minuti durano anni”.

Per elaborare il trauma, racconta, ne ha parlato con le amiche, un anno dopo: “Lì, guardando le loro facce, ho cominciato a capire che, forse, non era proprio tutta colpa mia: erano schifate sì, ma non da me, da lui”. Una cosa solo apparentemente ovvia: “Allora no. Pensi che, il giorno dopo, a prendermi è venuto il compagno di mia madre. Io sono uscita dalla casa di uno sconosciuto tutta sfatta, con il mascara che colava. Era palese quello che era successo. Ma lui mi ha detto: ‘Se vuoi fare un certo tipo di vita, devi imparare a stare attenta'”.

Io invece mi sentivo colpevole: colpevole perché facevo una vita di merda.

Dopo aver cominciato e interrotto più volte la terapia, oggi Nina Rima pensa che sia arrivato il momento “di riaprire la ferita, per me stessa e per le mie bambine: non voglio essere una di quelle madri che riversa i propri vissuti irrisolti sulle figlie”.

Il suo stupratore non è mai stato denunciato; “di mezzo c’era la droga – dice – Cosa faccio, vado dalla Polizia e racconto che facevo uso di sostanze? Che cosa penseranno di me?”

Oggi dice di non sapere neppure dove sia quell’uomo, “non so neanche se è ancora vivo! Se è libero o in galera. Non so niente, neppure il suo cognome. E poi, se dopo che lo denuncio, lo dovessi rivedere?”.

Se mai dovesse capitare, però, Rima sa perfettamente cosa gli direbbe:

Che si merita una figlia femmina.

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