Barbara Palombelli torna a parlare dell’affaire che l’ha coinvolta per via di una sua – alquanto discutibile – uscita nel corso di una puntata de Lo sportello di Forum, quando, introducendo la causa in cui si sarebbe parlato di violenza sulle donne e allargando quindi il discorso ai femminicidi, si è posta un quesito che ha inevitabilmente scatenato molte polemiche:

Questi uomini erano davvero fuori di testa, erano obnubilati, oppure c’è stato anche un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte?

Molti articoli sono stati scritti a commento di questa infelice domanda, e anche sui social la frase della giornalista è legittimamente diventata oggetto di critiche; difficile, del resto, aspettarsi il contrario, soprattutto visto che da tantissimi anni Palombelli si professa una paladina delle donne e, quindi, a maggior ragione un’uscita del genere è parsa quantomai fuori luogo.

Ci aveva già provato a Quarto grado a spiegare la sua posizione: ferita, affermò in quella circostanza, proprio per il fatto di essere stata messa in dubbio come donna che si batte per le altre donne.

Tutta la mia vita è su questa linea [che nessuna rabbia possa giustificare la violenza] e chiedo scusa se qualcuno, sentendo solo quella frase, ha capito che io sono passata dall’altra parte, a giustificare i femminicidi – le sue parole nella trasmissione di Gianluigi Nuzzi – Non c’è niente di più lontano da me, dalla mia storia, da tutto quello che ho scritto e detto nella mia vita personale, quindi quello era un altro discorso.

Posizione ribadita anche nella puntata di Verissimo del 2 ottobre.

Quando un giornalista non riesce a farsi capire, deve scusarsi, e io l’ho fatto e lo voglio rifare ancora, se ce ne fosse bisogno. Però è anche vero che i principi e la libertà di pensiero vanno difesi anche dalla campagne di aggressione, questo non vale solo per me, vale per tutti i cittadini, vale per tutti coloro che sono nel Web. Io ormai posso difendermi, io ho una corazza dopo tanti anni di professione, mentre ci sono giovani ragazzi che vengono massacrati proprio da queste aggressioni, che sono simili alla mia ma magari riguardano 50, 60 compagni di scuola che mettono una fotografia, oppure prendono un particolare, ecco, estrapolare un particolare dalla vita di una persona è sempre un po’ un’aggressione, e questo mi ha un po’ ferito, soprattutto quando è arrivata da persone che in passato erano state aggredite con lo stesso sistema. Però come vedi Silvia, ogni giorno c’è una vittima, ogni giorno c’è un plotone di esecuzione nei social che si muove. Poi per dimenticarti il giorno dopo e passare a un’altra vittima.

[…] Oggi direi semplicemente che del femminicidio mi interessa moltissimo capire il prima, dove si può fermare la violenza prima, se queste donne, che saranno poi vittime, possono prima portare questi uomini a curarsi, possono rimediare in qualche modo coi loro comportamenti, possono cambiare il loro destino e quello dei loro compagni. Moltissime di queste persone si tolgono la vita, quindi vuol dire che prima c’è una disperazione totale e assoluta.

Ancora una volta Palombelli liquida in fretta le scuse per puntare l’attenzione sul bullismo subito (sbagliato e assolutamente da condannare) ma il problema vero delle sue parole è un altro. La giornalista infatti fa ricadere di nuovo il compito e la responsabilità di “disinnescare la violenza” ancora sulle donne, le quali, per non essere o diventare vittime, devono occuparsi di curare il compagno o l’uomo che mostra atteggiamenti violenti.

Ancora una volta, non si è parlato di educare gli uomini fin da piccoli al rispetto dell’altro sesso, ad esempio, togliendo finalmente la responsabilità di “farsi rispettare” alle donne per dare agli uomini quella di “rispettarle” e basta. Oppure della necessità, a livello istituzionale, di rivedere i meccanismi di protezione delle donne che denunciano e della loro tutela, cosa, questa sì, che eviterebbe sul serio di farle diventare vittime.

È questo il vero problema del pensiero di Palombelli, sulla cui volontà di combattere i femminicidi nessuno ha mai avuto dubbi, ma quello che forse sfugge alla donna è che le sue parole fanno ricadere sulle vittime una nuova ennesima responsabilità: non solo rischiano di essere chiamate “esasperanti”, ma rischiano anche l’accusa di “non averci pensato prima”, di non aver curato prima l’uomo, il loro carnefice.

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