Siamo impegnati al lavoro o in casa e sentiamo il nostro smartphone squillare: è un momento davvero gioioso, perché quel suono, quel messaggio, ci indica che è arrivato il Green Pass. Come molti già sapranno si tratta di un documento digitale che attesta che abbiamo completato il ciclo di vaccinazione anti-Covid (il primo ciclo forse, ma è tutto in fieri).

Non sappiamo con certezza a cosa servirà ancora il Green Pass, ma solo perché le misure restrittive in Italia e nelle altre nazioni possono subire dei cambiamenti repentini – come potrebbe per esempio accadere nel Regno Unito, a causa della recrudescenza dei contagi dovuta alla variante delta. È quasi certo che questo documento digitale, aggiornabile, servirà per permetterci gli spostamenti attraverso il Paese e verso altri Paesi.

Naturalmente stiamo parlando per lo più di spostamenti turistici, dato che quelli motivati da esigenze di lavoro o di salute sono stati quasi sempre garantiti nell’ultimo anno e mezzo. Oppure potrebbe essere richiesto per accedere a qualche manifestazione o evento che richiede un rigido protocollo Covid free. Salvo appunto restrizioni dell’ultimo minuto che potrebbero cambiare tutti gli equilibri finora faticosamente raggiunti.

C’è però un fatto, ed è non poco preoccupante. Appena ricevuto il Green Pass, neanche il tempo di vedere bene di cosa si tratta, e molti tra noi lo condividono immediatamente sui social network, Facebook, Instagram, Twitter, Tik Tok e così via. Ma è la cosa giusta da fare? Sicuramente no. L’imprenditrice digitale Veronica Gentili ha pubblicato un post molto eloquente su LinkedIn. Da incorniciare, oseremmo dire.

In tanti stanno pubblicando le immagini del #greenpass appena ricevuto, simbolo di una sorta di libertà ritrovata – ha scritto Gentili – Quello che non sanno però è che il Qr-Code che contiene “è una miniera di dati personali invisibili a occhio nudo ma leggibili da chiunque avesse voglia di farsi i fatti nostri” per dirlo con le parole del Garante Privacy. Se non vogliamo rischiare che le nostre informazioni possano essere usate per finalità malevole, smettiamola subito. Ci lamentiamo spesso delle app e dei siti che “ci rubano i dati”, non rendendoci conto che spesso i primi a mettere a rischio la nostra privacy siamo proprio noi: abbiamo tutto il diritto di condividere la felicità dovuta a questo ulteriore passo verso la libertà, ma facciamolo con la testa.

Fondamentalmente, facendo un paragone che possa semplificare la questione, c’è da porsi una domanda. Condivideremmo il nostro indirizzo di casa sui social? Condivideremmo informazioni legate al nostro gruppo sanguigno o alle allergie di cui soffriamo? Condivideremmo la carta di identità, il codice fiscale, la patente, il certificato di nascita? Certo che no.

Il Green Pass va esibito soltanto se richiesto dalle forze dell’ordine o da altre persone che sono autorizzate a visionarlo, come può essere la security di un evento. Queste persone autorizzate tuttavia verificheranno solo se il codice è vero, se il codice esiste, non cosa contiene. Open riporta anche le parole del Garante Guido Scorza, che spiega esattamente cosa contengano i pixel di quel misterioso e gratificante Qr-Code:

Chi siamo, quando siamo nati, quante dosi abbiamo fatto, che tipo di vaccino, se abbiamo avuto il Covid-19 e quando, se abbiamo fatto un tampone, quando e il suo esito.

Insomma, meglio gioire in privato per il Green Pass.

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