Il preservativo è importante, ma contro l’AIDS iniziamo a parlare anche di altro, in altro modo


In occasione della Giornata Mondiale contro l'AIDS si lanciano tante campagne di prevenzione contro la malattia, spesso incentrate sull'obbligo dell'uso del preservativo, con toni allarmanti e poco concilianti. Forse è ora di cambiare.

Da più di 30 anni, il 1° dicembre si celebra la Giornata Mondiale contro l’AIDS, malattia responsabile di oltre 25 milioni di morti dal 1981.

Questi numeri hanno contribuito alla terribile fama della malattia, soprattutto dopo le stragi degli anni ’80, ma spesso si tratta di una conoscenza molto superficiale, a partire da chi ancora confonde l’HIV (che è il virus) dall’AIDS (che è la malattia eventualmente causata dal virus).

La superficialità con cui si tratta l’argomento si manifesta spesso anche nelle campagne di prevenzione, che non solo rischiano di generare un’informazione pressapochista, ma anche di alimentare uno stigma duro a morire.

Ve la ricordate la campagna anni ’90 del famoso “alone viola” che circondava ignari giovani rei di fare sesso non protetto?
A nulla valsero gesti come il bacio di Fernando Aiuti: i sieropositivi erano diventati gli appestati del nuovo millennio, e ancora oggi questo stigma fatica a decadere. Nonostante le cose siano molto cambiate. L’HIV infatti non è più una condanna a morte, si può convivere bene con il virus e soprattutto ci sono mezzi efficaci per non trasmetterlo mai.

Quali? Il pensiero va subito al preservativo, al quale abbiamo dedicato anche noi un post Instagram dal tono ironico per la giornata del 1° dicembre, con risposte piccate all’uomo di turno che si rifiuta di indossare quello che riteniamo l’unica barriera tra noi e un destino crudele.

Senza alcun intento di negare l’enorme utilità del preservativo, mi sento però di dire che questo elogio “senza se e senza ma” rappresenta un approccio un po’ superficiale.

Facciamo coincidere l’idea del “sesso protetto” con “sesso con preservativo”, anche se l’automatismo di questo parallelismo pecca per due motivi principali: le statistiche sull’uso del preservativo e l’esistenza di altri mezzi efficaci per un sesso sicuro.

Secondo dei recenti dati di Durex Italia, meno di 1 giovane su 2 userebbe sempre il preservativo e in generale, secondo un report dell’Istituto Superiore di Sanità, circa il 22% delle persone di entrambi i generi non usa il preservativo con regolarità nei rapporti occasionali.

Un dato che potrebbe stupire, ma basti pensare a quanti, nella propria quotidianità, usano o conoscono persone che utilizzano sempre il profilattico anche nei rapporti orali, spesso ignorati quando si pensa al sesso, ma che costituiscono comunque un possibile rischio di contagio.

Diffondere l’efficacia del preservativo è sacrosanto, ma puntare solo su quello, facendo finta di non sapere che, a fronte delle campagne più efficaci del mondo, ci sarà sempre una fetta di popolazione (e una fetta per niente piccola) che il preservativo comunque non lo userà, significa affrontare l’argomento con grande ingenuità e poca lungimiranza.

Volete sapere quale altro modo esiste per fare del sesso senza preservativo ma comunque sicuro? Fare sesso con una persona con HIV in terapia antiretrovirale che ha raggiunto una carica virale non rilevabile. Esatto, in questo caso fare sesso con una persona positiva vi assicura in modo certo di non contagiarvi.

Si tratta di un avanzamento scientifico al quale ancora non si dà la giusta rilevanza, nonostante l’efficace campagna riassunta nello slogan U = U, ovvero Undetectable = Untransmittable (non rilevabile = non trasmissibile). Vi rimando al sito di impossibilesbagliare per maggiori informazioni.

La terapia quindi non solo è in grado di non rendere più l’HIV una condanna a morte, ma anche di bloccare in modo certo la trasmissione. Questo significa che potenzialmente abbiamo in mano lo strumento per debellare per sempre l’HIV dal pianeta.

Perché dico “potenzialmente”? Perché c’è solo un modo per iniziare la terapia, ovvero sapere di essere positivi e per saperlo occorre fare i test. E qui casca l’asino.

Per l’Istituto Superiore di Sanità nel mondo sono circa 5,9 milioni le persone positive all’HIV senza saperlo.

Fare il test almeno una volta nella vita, o una volta all’anno se si hanno rapporti occasionali, dovrebbe infatti essere la norma, ma così non è, nonostante il nostro Paese offra la possibilità di fare i test in modo del tutto gratuito e anonimo.

Tra le motivazioni che non invogliano le persone a sottoporsi a questi test c’è anche la difficoltà di ammettere comportamenti che 30 anni di campagne di prevenzione hanno bollato non solo come rischiosi dal punto di vista sanitario, ma anche sbagliati dal punto di vista etico.

Il positivo all’HIV non è considerato al pari di chi ha un cancro al polmone per aver fumato una vita, per esempio, questo perché le malattie sessualmente trasmissibili soffrono ancora uno stigma che fa ricadere la “colpa” sul paziente.

Colpa che appare inevitabile dopo un diktat così chiaro e netto: “usa sempre il preservativo!” Colpa che però, paradossalmente, spinge le persone a evitare di fare il test, l’unica cosa che potrebbe davvero cancellare l’HIV per sempre.

E allora forse dovremmo rivedere il tiro con cui si fanno queste campagne e oltre a sottolineare l’importanza del profilattico, dovremmo anche parlare delle alternative, come la PREP, la profilassi pre esposizione, il trattamento che consente alle persone HIV negative di evitare il contagio (per informazioni vi rimando a Prep Italia), ma dovremmo anche cercare di evitare toni accusatori da Inquisizione spagnola, affinché le persone si sentano al sicuro di ammettere a se stesse e agli altri eventuali comportamenti a rischio e quindi di iniziare a porvi rimedio.

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