Perché nessuno parla delle "riammissioni informali" (e illegali) compiute dall'Italia?

Nel solo 2020 in Italia sono state illegalmente espulse dal territorio italiano circa 1300 persone migranti. Scopriamo il numero guardando Trieste è bella di notte, un documentario girato seguendo il percorso della rotta balcanica da Stefano Collizzolli, Matteo Calore e Andrea Segre. Ma soprattutto, perché dopo essere state dichiarate illegali (dalla legge italiane e anche rispetto al diritto comunitario), l'Italia ha dichiarato che riprenderà le 'riammissioni informali'? Un eufemismo per dire 'deportazioni forzate'.

Nel 2022 l’Italia, per mezzo della figura del Ministro degli interni Piantedosi, ha annunciato che riprenderà le riammissioni informali. Cosa implichi questo termine scivolo è poco chiaro persino agli Italiani, e non è un caso. 

Riammissioni informali o espulsioni illegali?

Nel solo 2020 in Italia sono state illegalmente espulse dal territorio italiano circa 1300 persone migranti. Scopro il numero guardando Trieste è bella di notte, un documentario girato seguendo il percorso della rotta balcanica da Stefano Collizzolli, Matteo Calore e Andrea Segre. 1300 persone il cui arrivo doveva essere accompagnato quantomeno dalle legittime procedure di richiesta di asilo, che invece sono state attivamente negate. Nel mentre, in Italia l’attenzione era catalizzata interamente sulle restrizioni e le preoccupazioni derivate dalla pandemia, con un monopolio informativo pressoché assoluto questi respingimenti non sono stati captati. 

Cosa sono le riammissioni informali? 

“Riammissioni informali” è un termine burocratico, dalla cadenza routinaria. Suggerisce una pratica semplice, qualcosa di poco conto e, magari, relativo al lavoro. La nomenclatura è evidentemente stata scelta per questa sua capacità di suonare per bene, come una qualsiasi prassi di ordinaria amministrazione. Copre quelle che di fatto sono deportazioni illegali compiute dalle forze dell’ordine italiano ai danni di persone migranti. Una procedura illecita sia sul piano dell’ordinamento interno sia su quello del diritto internazionale. 

La Giudice e il Ministro

A deliberare sulle “riammissioni informali” era stata la giudice Silvia Albano a cui era stato presentato il caso di un cittadino pakistano illegalmente espulso dall’Italia dopo il suo arrivo. La delibera del Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 18 giugno 2021, ha dichiarato queste pratiche contrarie alla legge italiana e pertanto da interrompersi. Cosa che è immediatamente stata fatta, ma senza alcun tipo di riconoscimento pubblico.

Per dirla in parole povere, senza che i cittadini dello stato italiano ne fossero ufficialmente informati. 

Come funzionano le “riammissioni”?

La rotta balcanica è l’ultimo tratto di un processo migratorio complesso ed articolato che principia nel paese di origine delle persone migranti e nell’impossibilità di rimanervi. A fare da ponte tra la destinazione e l’arrivo prescelto sono i trafficanti, persone che guadagnano denaro vendendo pacchetti di spostamento in grado di infrangere le barriere degli Stati di destinazione. A seconda del budget a disposizione, cambiano i trasporti, la lunghezza del viaggio e le modalità di ingresso. Con riferimento al flusso Sud del mondo – Nord del Mondo la procedura è molto articolata. Infatti, spesso, si tende a prediligere la migrazione interna – in zone più sicure del medesimo stato – o limitrofa, quindi in un altro paese del Sud del mondo.

Per raggiungere il Nord sono necessari percorsi lunghi e perigliosi, che possono richiedere anni. Infatti, anche il traffico di esseri umani si è specializzato e parcellizzato. Ad ogni trafficante la sua porzione di tratta ma, sopratutto, ad ogni portafoglio la sua fetta di viaggio. Si percorre solo quello che si può comprare, e nel mentre le attese si allungano. La rotta balcanica, quindi, è solo l’ultimo tratto di un percorso lungo, accidentato ed estremamente periglioso.

Dal film “Trieste è bella di notte”

I migranti chiamano questo ultimo attraversamento game, gioco. Il game può essere tentato diverse volte, perché non ha garanzie di esito positivo. Anche su questo, il denaro può avere influenza. Nel documentario Trieste è bella di notte, i migranti che hanno scelto di prestare testimonianza, raccontano che anche il traduttore a cui si ha accesso in fase di arrivo può essere determinante nell’ottenere informazioni e accesso alle procedure per richiedere asilo. Ma torniamo all’attraversamento.

Il game può essere affrontato solo quattro mesi all’anno, quando le condizioni meteorologiche rendono più accessibili i valichi di montagna. Il viaggio, infatti, prevede l’attraversamento di boschi, discese in cordata, notti all’addiaccio nel gelo delle montagne e attraversamenti notturni. Il tutto con un carico di 30kg negli zaini o nei sacchetti, abiti non tecnici e la consapevolezza che, nonostante il peso, cibo e acqua scarseggeranno presto. Chi sopravvive al percorso giunge quindi sul suolo italiano, dove dovrebbe, in teoria, poter presentare richiesta di asilo. E invece, si ritrova ad essere prelevato dalle forze dell’ordine, caricato su una camionetta, trasportato per ore senza ricevere indicazioni di sorta sulla destinazione per poi essere scaricato in Slovenia. 

Slovenia,Croazia e Bosnia

Giunti in Slovenia, i migranti sono sostanzialmente tenuti in stato di fermo e, il più delle volte, derubati dalla polizia che si intasca le poche decine di euro che trova nelle loro tasche. Dalla Slovenia vengono poi ricaricati e trasportati in Croazia dove l’entità della violenza delle forze dell’ordine si intensifica. Le testimonianze raccolte nel documentario denunciano veri e propri atti di tortura, con tanto di prove fotografiche. I migranti vengono percossi e torturati con spranghe di ferro arroventante. Le violenze fisiche si concentrano su gambe e piedi, proprio per ridurre le possibilità che le persone migranti, una volta liberate, ripercorrano nuovamente la tratta.

La  destinazione finale di questa deportazione è la Bosnia. Dopo le torture – fisiche e psicologiche – le persone vengono nuovamente fatte salire su un furgone e liberate nel cuore della notte al confine, preferibilmente – stando alle testimonianze – in prossimità di canali che viene intimato loro di attraversare. I piedi, già provati dal viaggio andato a vuoto, feriti e aggrediti da gonfiori, geloni e vesciche si gonfiano per effetto del contatto con l’acqua rendendo complicate anche le camminate più brevi. In Bosnia, alle persone migranti non resta che guarire, vivendo grazie al solo supporto della società civile – principalmente rappresentata da volontari e ONG – in attesa di ripartire. 

Un’attesa tutt’altro che serena, come riporta il regista Stefano Collizzolli, che abbiamo intervistato.

Trieste è bella di notte 

Dal film “Trieste è bella di notte”

Collizzolli mi risponde dalla Slovenia, dopo una proiezione. Il tour è culminato il 6 febbraio con la proiezione in Parlamento. Mi racconta che no, non è stato complicato rintracciare le case abbandonate dove sostano i migranti tra i vari game. Anzi, “tutti sanno dove sono”, specifica in riferimento ai cittadini. La relazione tra chi è in attesa di ripartire e chi abita la città non è ottimale. “Ora ci sono gruppi di vigilanti che girano”, un cambio nella percezione che la popolazione bosniaca ha dei migranti. Prima erano più accoglienti, ora l’intolleranza sta avendo la meglio. Nel documentario sono integrati video personali delle persone intervistate. Non solo testimonianze di violenze e ferite, ma anche video condivisi sui social in cui i ripresi cammino in gruppo, accennano ad una posa, il tutto incorniciato da musica.

Collizzolli racconta che integrare la musica, oltre ai video, ha dato un livello di autenticità maggiore al racconto. Anzi, sebbene all’inizio fossero partiti con un’idea per la colonna sonora, hanno infine chiesto che questa fosse coerente con quella scelta dai migranti stessi per i loro video perché, specifica Collizzolli , anche la canzone faceva parte della storia che stavano raccontando. 

Le testimonianze sono in lingua, con una traduzione in sovrimpressione. Una scelta registica voluta. “Rende la testimonianza più libera”, raccontarsi nella propria lingua – la lingua madre – permette di tradurre sé stessi in maniera più autentica è più diretta. Inoltre, il lavoro di Collizzolli, Segre e Calore riesce a tutelare il riconoscimento dell’identità come autorappresentazione.

Non solo per la lingua, ma anche per la scelta espressiva, che inserisce video di una quotidianità disarmante nel racconto della migrazione. Video girati dalle stesse persone che poche inquadrature prima si erano riprese mentre scendevano in cordata, che raccontavano cosa accade quando muore qualcuno sul percorso e lo si può solo lasciare indietro o che spiegano la difficoltà dell’essere bloccati, incerti se proseguire con un altro – l’ennesimo – game o tornare a casa senza prospettive, e che nell’arco di pochi secondi assumono il controllo di come sono percepiti e percepibili. In un’Europa corrosa dalla xenofobia, ricordarsi e farsi riconoscere come persone da un sistema respingente non è facile. Trieste è bella di notte, racconta tutto il processo di trasporto, respingimento, mettendo sullo schermo tutta l’umanità che sta in mezzo. Dalle cene condivise alla paura, dalle violenze ai canti pakistani lanciati nell’aria per impigliare il tempo e la sorte. 

Riammissioni non informali ma illegali

Riammissioni informali, è un eufemismo  cortese e burocratico per indicare le espulsioni illegali commesse dallo Stato Italiano. Sono illecite sia ai sensi dell’Ordinamento interno, sia in luce di quello internazionale. Le forze dell’ordine dell’Europa sono attive in un processo di deportazione e tortura senza che nessuno lo sappia. Anche perché in Italia, prima della sentenza non se ne parlava proprio. Anche ora che il ministro dell’interno Piantedosi ha dichiarato che verranno riprese le deportazioni (28/11/2022), nonostante la sentenza del tribunale di Roma del 2021 ne abbia decretato l’illegalità, la situazione passa sotto silenzio.

Il nome non spaventa e la circolare che sancisce la ripresa delle espulsioni (peraltro giustificate con riferimento a un accordo del 1996 tra governo Sloveno e Italiano, mai ratificato dal Parlamento e che pertanto non ha forza di deroga delle leggi interne) non è nemmeno consultabile. La burocrazia diventa lo scudo delle azioni violente di stato, delle deportazioni imbellettate sotto il nome di “riammissioni” quasi si trattasse di una qualsiasi procedura amministrativa. L’ordinaria serenità del silenzio ha provato a cancellare violazioni, rimostranze e sentenze. Le riammissioni informali, sono l’ennesimo strumento che spazza via intere biografie in luce di una politica respingente e fortemente xenofoba. Si tratta di una violazione di diritto su più livelli, contraria alla legge italiana come stabilito dalla giudice Albano, tanto quanto dalle norme di diritto internazionale, con riferimento specifico agli art 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Eppure, nonostante il notevole apparato legislativo i migranti sono coattivamente espulsi e collocati in stati in cui la loro sicurezza non solo non è garantita ma è attivamente in pericolo. Sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, vittima dei gruppi vigilanti che amministrano violenza sommaria e di un apparato burocratico orientato a tutelare l’illiceità delle azioni dello Stato, della sicurezza dei migranti si occupano principalmente associazioni della società civile. 

La crescente carica xenofoba dell’Unione Europa

Dal film “Trieste è bella di notte”

Perché succede? Com’è possibile che uno stato democratico firmatario di diversi accordi internazionali sulla tutela dei diritti umani operi deportazioni di Stato e, anzi, le riprenda nonostante una chiara sentenza di illecità? 

Ebbene, la ragione è insita nella crescente carica xenofoba dell’Unione Europa che sta progressivamente cambiando la materia di gestione dei confini infrangendo norme e istituti internazionali. Prendiamo ad esempio il confine tra Polonia e Bielorussia, interessato da un flusso di migranti proveniente dall’Afghanistan. Attualmente è in corso la costruzione di un muro, onde frenare gli accessi che passano per la foresta di Bialowieza. In attesa che il muro sia compiuto – senza che nessuno studio abbia determinato l’impatto che questo avrà sulla foresta, l’ultima primordiale rimasta in Europa – cannoni ad acqua e confine militarizzato respingono i migranti da ormai più di un anno. Lasciandoli congelare nel freddo dell’inverno.

E ancora, sempre l’Italia paga ingenti somme di denaro per finanziare la guardia costiera libica affinché trattenga i migranti che tentano la via del mare; finanziando quindi violenze e campi di concentramento. L’Italia, come molti altri paesi, sta esternalizzando il controllo dei propri confini. Paradossale visto l’attaccamento morboso con cui cerca di difende l’idea arcaica di Stato definito da una continuità territoriale su cui l’autorità esercita il monopolio della forza. Il monopolio è stato ampliato, dislocato è gestito per procura. Le “riammissioni informali”, ovvero le deportazioni illecite sono un altro elemento che completa il quadro di un paese xenofobo, incapace di far fede persino ai principi su cui è fondato.

Perché succede? Perché l’Unione Europea, Italia in testa, non vuole confrontarsi con la migrazione a causa di una fortissima e sempre meno velata forma di suprematismo istituzionalizzato. Meno velata, perché ormai nelle aule e nelle piazze svettano parole d’odio, ma non del tutto scoperta. E infatti, delle riammissioni informali, di cosa siano realmente non parla quasi nessuno. 

Quasi. 

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