Quanto sia equo il Paese in cui viviamo è una domanda che molti di noi si pongono ogni giorno. Oggi, una ricerca può aiutarci a rispondere non solo basandoci sulle nostre percezioni individuali, ma sui dati.

A commissionare l’indagine – realizzata nell’aprile 2022 dall’Istituto Nazionale AstraRicerche su un 1.021 italiani tra i 18-65enni e 1.005 lavoratori italiani in aziende con più di quattro lavoratori – è stata Omnicom PR Group, che ha diffuso i risultati all’indomani del 21 maggio, la Giornata Mondiale della Diversità Culturale, il Dialogo e lo Sviluppo.

Lo scopo dell’indagine era analizzare la percezione e la consapevolezza su temi legati a Diversity, Equity & Inclusion, sia tra la popolazione generale che più specificatamente tra i lavoratori, e sensibilizzare l’opinione pubblica circa le opportunità e i rischi dello scenario attuale, oltre che sul ruolo che le aziende posso ricoprire nella costruzione di contesti inclusivi, equi e rispettosi delle diversità.

I risultati, a volte sorprendenti, ci restituiscono un Paese che ancora non crede pienamente nella possibilità di costruire un mondo più equo, inclusivo e rispettoso delle diversità. In questo scenario le aziende assumono un ruolo chiave per aiutare lavoratori e intere comunità a orientarsi in conversazioni di valore per le generazioni attuali e future.

Ha affermato Massimo Moriconi, General Manager & Amministratore Delegato di Omnicom Public Relations Group Italia.

Il primo dato che emerge è che oltre la metà della popolazione italiana sente di non conoscere abbastanza questi temi: addirittura, il 7.0% non li ha sentiti affatto nominare nel dibattito pubblico. Solo il 49.6% afferma di essere ben informato su DE&I, una percentuale che nelle aziende sale al 53.7%.

 

grafico diversity e inclusion
Fonte: Omnicom PR Group

La maggior parte della popolazione (il 65.8%) crede che ci sia molta diversità in Italia: a pensarlo sono soprattutto le persone meno giovani (55-65enni: 72%) e gli abitanti dei piccoli comuni (72% nei comuni con meno di 10mila abitanti).

Significativamente, nella fascia 18-24 anni (la cosiddetta “Generazione Netflix) il livello di diversità percepita cala drasticamente sotto la media (59%) e il contesto italiano viene percepito come meno differenziato rispetto a quanto accade all’estero.

Finora abbiamo parlato di “diversità”, ma cosa intendono gli italiani quando utilizzano questo termine?

Al primo posto ci sono le “diversità” legate agli aspetti di identità e orientamento sessuale e di genere, mentre al secondo posto emerge il tema dell’origine e della cultura come il colore della pelle, l’etnia, il Paese di origine e lo stato di cittadinanza. Nella classifica si inseriscono anche abilità/disabilità, mentre solo il 15.5% pensa alle differenze di generazione o fascia di età e le differenze meno sentite sono quelle linguistiche.

diversità in italia
Fonte: Omnicom PR Group

A essere citati sensibilmente meno sono punti come il ceto sociale o economico, la religione e l’orientamento politico. D’altra parte, ricorda il comunicato di Omnicom PR Group

oltre metà della popolazione non veda opportunità positive nel contatto personale con le varie diversità. I valori più positivi sono inerenti al contatto con ciò che è diverso per etnia, lingua o origine geografica; meno rilevanti in termini di opportunità le diversità in ambito religioso e quello di orientamento politico.

A essere particolarmente significativi sono i risultati relativi alla percezione dell’equità. Alla domanda “secondo lei, attualmente in Italia sono garantite uguali opportunità a prescindere dalle condizioni di partenza (sesso, età, religione, etnia, cultura…) solo un terzo degli intervistati ha risposto “molto o abbastanza” (33.9%), mentre per poco più di un terzo (35.2%) la risposta è “così così”, e per il restante 30.9% è “poco o per niente vero”.

Fonte: Omnicom PR Group

Se la popolazione generale non vede opportunità nel contatto con la diversità e vede l’equità come un obiettivo lontano, le risposte all’interno delle aziende sono più ottimistiche:

La diversità, in tutte le sue manifestazioni, crea opportunità per il 60.1% dei lavoratori in Italia; è soprattutto rilevante per le donne (65% vs uomini 56%) e per i più giovani (18-34enni: 66% vs 55-65enni: 55%).

Anche il tema dell’equità è stato percepito dai lavoratori con più ottimismo: in azienda le condizioni di partenza contano molto meno per poter raggiungere uno ‘stato’ superiore. Oltre il 75% dei lavoratori crede l’equità in Italia sia “molto o abbastanza” garantita dalla meritocrazia.

Un punto su cui però popolazione generale e lavoratori sono concordi è che c’è ancora molta strada da fare in materia di inclusione.

d&I nelle aziende
Fonte: Omnicom PR Group

Ma perché si fa fatica a essere pienamente inclusivi? Dalla ricerca emergono tre aree principali: la prima (24.1%) ritiene che ci siano più cose da condividere con chi è più simile a sé, la seconda (22.8%) è convinta che vengano “prima gli italiani”, mentre la terza è l’unione di un senso di forte necessità di tempo (19.3%) e di mezzi culturali per comprendere la diversità ed essere inclusivi (il 14.9% afferma di non avere conoscenza su come comportarsi nei contesti della diversità).

È proprio su questo punto che le aziende potrebbero fare la differenza: addirittura il 65.5% dei lavoratori preferirebbe i prodotti di aziende impegnate in progetti DE&I e il 61.1% non ne comprerebbe i prodotti se venisse a conoscenza di comportamenti anti-inclusivi, di non valorizzazione della diversità.

Alle aziende, però, non si chiede solo di avere comportamenti virtuosi, ma di spingere attivamente i propri clienti ad essere inclusivi e “educare” cittadini e consumatori: a pensarlo è il 67.8% degli intervistati.

Anche i lavoratori pensano che le aziende possano e debbano fare di più: solo il 39.4% afferma che ci sono interventi strutturati in azienda, che sono più comuni nelle aziende con almeno 1.000 dipendenti.

La ricerca di Omnicom PR Group registra ancora troppe difficoltà di accettazione e di valorizzazione delle diversità e mostra quanto sia necessario intervenire per cambiare le cose. Un intervento che non può essere rimandato: in 3-5 anni, infatti, si stima che la diversità crescerà del 67,7%.

Cosa si può fare per cambiare le cose? Viaggiare all’estero apre la mente (lo pensa il 43,7% degli italiani), ma anche “partecipare ad attività di dialogo/ascolto che permettono di scoprire i propri pregiudizi” ha riscosso molto successo tra la popolazione (36.9%).

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